Volodyk - Paolini2-Eldest

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«Roran.»

La voce gli aveva sussurrato nell'orecchio destro. «Katrina?» Si affannò a mettersi seduto, battendo le palpebre quando lei socchiuse lo sportellino della lanterna e un fascio di luce gli colpì la gamba. «Che cosa ci fai qui?» «Volevo vederti.» I suoi occhi, grandi e misteriosi sul volto pallido, erano pozzi di ombre notturne. Katrina lo prese per mano e lo condusse sotto un portico deserto, lontano dalle orecchie indiscrete di Baldor e degli altri. Lì gli posò le mani sulle guance e lo baciò teneramente, ma lui era troppo stanco e preoccupato per rispondere con trasporto. Lei si ritrasse e lo studiò. «Qualcosa non va, Roran?»

Una risata senza allegria gli sfuggì di gola. «Qualcosa non va? Il mondo non va! È tutto storto, come una cornice appesa di sghimbescio.» Si piantò un pugno nello stomaco. «E sono io che non vado. Ogni volta che tento di pensare ad altro, vedo i soldati che sanguinano sotto il mio martello. Uomini che ho ucciso, Katrina. E i loro occhi... i loro occhi! Sapevano che stavano per morire, e non potevano farci niente.» Cominciò a tremare nel buio. «Loro sapevano... io sapevo... ma dovevo farlo. Non potevo...» Le parole gli vennero meno, quando sentì le calde lacrime scorrergli lungo il viso.

Katrina gli prese la testa fra le braccia e lo cullò, mentre Roran finalmente piangeva tutto il suo dolore. Piangeva per Garrow e per Eragon; piangeva per Parr, Quimby e gli altri morti; piangeva per se stesso; e piangeva per il destino di Carvahall. Singhiozzò finché la marea di emozioni non si ritrasse, lasciandolo prosciugato e inaridito come un guscio vuoto.

Tratto un profondo respiro, Roran guardò Katrina e si accorse delle sue lacrime, che asciugò con il pollice, dove brillarono come diamanti nella notte. «Katrina... amore mio.» Lo disse di nuovo, assaporando le parole. «Amore mio. Non ho niente da offrirti, se non il mio amore. Ma... devo chiedertelo. Vuoi sposarmi?»

Nella fioca luce della lanterna, Roran vide il volto di lei irradiare pura gioia e stupore. Poi Katrina esitò, e comparve l'ombra del dubbio. Roran non avrebbe dovuto farle quella domanda, e lei non avrebbe dovuto accettare, senza il permesso di Sloan. Ma a Roran non importava più; doveva sapere, e subito, se lui e Katrina avrebbero trascorso il resto della vita insieme.

«Sì, Roran» rispose lei in un soffio. «Sarò tua moglie.»

Sotto un cielo di piombo

Quella notte piovve.

Enormi masse di nuvole grigie si addensarono sulla Valle Palancar, aggrappandosi alle montagne con artigli tenaci; l'aria era satura di una nebbiolina densa e fredda. Dal coperto, Roran guardava la fitta cortina di pioggia che batteva sulle tremule foglie degli alberi, riduceva in fanghiglia la trincea intorno a Carvahall e inzuppava i tetti di paglia, scorrendo a fiumi giù dalle grondaie, mentre le nuvole si liberavano del loro carico. Tutto era fradicio, appannato e nascosto dall'inesorabile diluvio.

A metà mattina il temporale era cessato, anche se un'acquerugiola persistente continuava a filtrare dalla nebbia. Quando Roran andò a rilevare la guardia presso la barricata sulla strada maestra, si ritrovò subito capelli e abiti bagnati. Si accovacciò accanto ai pali aguzzi, scrollò il mantello e si tirò il cappuccio sul viso, cercando di ignorare il freddo. Malgrado il tempo, Roran era raggiante e in cuor suo esultava per la risposta di Katrina. Erano fidanzati! Aveva la sensazione che un pezzo mancante del mondo si fosse finalmente incastrato al posto giusto, che gli fosse stata infusa l'audacia di un guerriero invulnerabile. Che importavano i soldati, o i Ra'zac, o l'Impero stesso, davanti a un amore come il loro? Non erano altro che fuscelli al vento.

Nonostante il suo nuovo stato di grazia, però, non riusciva a distogliere la mente da quello che era diventato il fulcro della sua esistenza: assicurarsi che Katrina sopravvivesse alle ire di Galbatorix. Non pensava ad altro da quando si era svegliato. La cosa migliore per Katrina sarebbe andare da Cawley, decise, gli occhi fissi sulla strada nebbiosa, ma lei non accetterebbe mai di andarsene... a meno che Sloan non glielo ordini. Dovrei riuscire a convincerlo; sono sicuro che la vuole lontano dal pericolo almeno quanto me.

Mentre rifletteva sulla maniera migliore di accostarsi al macellaio, le nuvole tornarono ad addensarsi e la pioggia rinnovò il suo assalto al villaggio, scrosciando a ondate gelide e pungenti. Le pozzanghere intorno a Roran si animarono, colpite dalle gocce d'acqua che rimbalzavano come cavallette impaurite.

Quando gli venne fame, Roran passò la guardia a Lame - il figlio più giovane di Loring - e andò verso casa per pranzare, correndo dal riparo di una grondaia a un altro.

Svoltando un angolo, rimase sorpreso nel vedere, sul portico, Albriech che discuteva animatamente con un gruppo di uomini.

Ridley gridava: «... sei cieco... Seguiamo il pioppeto e non ci vedranno mai! Ti stai cacciando in una situazione senza via d'uscita.»

«Provaci, se ci tieni» ribatte Albriech.

«Puoi scommetterci!»

«Così mi potrai dire se ti piace il sapore delle frecce.»

«Magari» intervenne Thane «noi non siamo degli smidollati come te.»

Albriech si girò di scatto verso di lui, con un ringhio. «Le tue parole sono vuote come il tuo cervello. Non sono io lo stupido a rischiare la vita della mia famiglia portandola al riparo di qualche foglia che non ho mai nemmeno visto.» Thane strabuzzò gli occhi e la sua faccia si coprì di chiazze viola. «Be'?» incalzò Albriech. «Ti sei mangiato la lingua?» Thane ruggì e sferrò un pugno sullo zigomo di Albriech.

Il giovane si mise a ridere. «Sei debole come una femminuccia.» Poi prese Thane per le spalle e lo scaraventò giù dal portico, facendolo volare in mezzo al fango, dove rimase stordito e umiliato.

Impugnando la lancia come un bastone, Roran balzò davanti ad Albriech, impedendo a Ridley e agli altri di aggredirlo. «Basta» ringhiò Roran, su tutte le furie. «I nostri nemici sono altri. Più in là potremo organizzare un'assemblea e gli arbitri decideranno se il risarcimento spetta ad Albriech o a Thane. Ma fino a quel momento non possiamo azzuffarci fra di noi.»

«Per te è facile parlare» sibilò Ridley. «Tu non hai moglie o figli.» Poi aiutò Thane a rimettersi in piedi e si allontanò col gruppo di uomini.

Roran squadrò Albriech con aria severa, mentre un livido violaceo si allargava sotto l'occhio destro dell'uomo. «Chi ha cominciato?» chiese. «Io...» Albriech s'interruppe con una smorfia e si tastò lo zigomo. «Ero andato in perlustrazione con Darmen. I Ra'zac hanno appostato i soldati sulle colline. In questo modo possono controllare l'Anora e tutta la valle. Uno o due di noi potrebbero, dico potrebbero, riuscire a svignarsela senza farsi vedere, ma non ce la faremo mai a portare i bambini da Cawley senza uccidere i soldati. Tanto varrebbe dire ai Ra'zac dove stiamo andando.» Roran si sentì prendere dal panico, come un veleno che gli scorreva nelle vene e nel cuore. Cosa faccio? Fiaccato dalla sensazione di un destino incombente, cinse le spalle di Albriech con un braccio. «Andiamo. Sarà meglio che Gertrude ti dia un'occhiata.»

«No» disse Albriech, liberandosi dalla stretta con una scrollata di spalle. «Ha casi più gravi del mio.» Trasse un lungo respiro - come se stesse per tuffarsi in un lago - e si slanciò sotto la pioggia battente diretto alla fucina. Roran lo guardò allontanarsi, poi scosse il capo ed entrò in casa. Trovò Elain seduta sul pavimento, circondata da un gruppo di bambini che affilavano un mucchio di punte di lancia con lime e cote. Roran fece un cenno a Elain, e quando furono in un'altra stanza, le raccontò quello che era appena accaduto.

Elain imprecò con violenza - una sorpresa, perché Roran non l'aveva mai sentita usare un linguaggio simile - poi gli domandò: «E questo basta perché Thane proclami una faida?»

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