Volodyk - Paolini2-Eldest

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Seguì l'elfa che sgusciava dal cerchio di tende, attenta a evitare Trìhga, che aveva scelto il primo turno di guardia, per allontanarsi dalle orecchie indiscrete degli altri. Dentro di lui, Saphira lo controllava vigile, pronta a scattare al suo fianco se necessario.

Arya si sedette su un ceppo coperto di muschio e si cinse le ginocchia con le braccia, senza guardarlo in faccia. «Ci sono cose che devi sapere prima di raggiungere Ceris ed Ellesméra, per evitare di mettere in imbarazzo te stesso o me per la tua ignoranza.»

«Tipo?» Lui si accovacciò di fronte a lei, incuriosito.

Arya esitò. «Nel corso degli anni che ho passato come ambasciatrice di Islanzadi, sono arrivata alla conclusione che gli umani e i nani sono molto simili. Condividete la maggior parte delle passioni e delle credenze. Più di un umano è riuscito a vivere tranquillamente fra i nani perché poteva comprendere la loro cultura, così come loro comprendono la vostra. Entrambe le vostre razze amano, desiderano, odiano, combattono e creano grossomodo nella stessa maniera. La tua amicizia con Orik e l'aver accettato di entrare nel Dùrgrimst Ingietum ne sono una prova.» Eragon annuì, anche se per lui le differenze erano numerose e più che evidenti. «Tuttavia gli elfi non sono come le altre razze.» «Parli come se non fossi una di loro» disse lui, riecheggiando le parole di lei nel Farthen Dùr.

«Ho vissuto con i Varden abbastanza a lungo da abituarmi alle loro tradizioni» rispose Arya in tono irritato. «Ah... Perciò mi stai dicendo che gli elfi non provano le stesse emozioni dei nani e degli umani? Lo trovo difficile da credere. Tutti gli esseri viventi condividono gli stessi bisogni e desideri elementari.»

«Non sto dicendo questo!» Eragon trasalì, poi aggrottò la fronte e la studiò. Non era da lei comportarsi in modo così brusco. Arya chiuse gli occhi e si portò le mani alle tempie, inspirando a fondo. «Noi elfi viviamo tanti anni, e perciò consideriamo la cortesia come la suprema virtù sociale: non possiamo permetterci di offendere, quando il rancore rischia di sopravvivere per decenni, o secoli. La cortesia è l'unico modo per impedire all'ostilità di accumularsi. Non sempre riesce, ma ci atteniamo scrupolosamente ai nostri rituali, poiché ci proteggono dagli eccessi. E dato che non siamo molto fecondi, è essenziale evitare i conflitti fra di noi. Se avessimo lo stesso tasso di crimini di voi umani o dei nani, ben presto ci estingueremmo.

«C'è una maniera appropriata di rivolgersi alle sentinelle di Ceris; gesti formali da osservare quando verrai presentato alla regina Islanzadi; e un centinaio di modi diversi di salutare quelli intorno a te, quando non sia preferibile restare in silenzio.»

«Con tutti i vostri usi» si azzardò a commentare Eragon, «mi sembra che in realtà abbiate reso più facile offendere la gente.»

Un lieve sorriso affiorò sulle labbra dell'elfa. «Può darsi. Sai bene quanto me che verrai giudicato secondo criteri molto severi. Se commetti uno sbaglio, gli elfi penseranno che lo hai fatto apposta. Ancora peggio se scopriranno che era dovuto all'ignoranza. Meglio essere scortese e capace che scortese e incapace, altrimenti rischi di essere manipolato come il Serpente in una coppia di Rune. La nostra politica si muove in cicli estremamente lunghi e sofisticati. Quello che vedi fare o senti dire a un elfo un giorno potrebbe essere soltanto un'abile mossa di una strategia che risale a millenni addietro, e non avere niente a che fare con il comportamento che l'elfo adotterà il giorno dopo. È una partita che giochiamo tutti ma pochi sanno controllare, una partita in cui tu stai per entrare.

«Forse adesso ti rendi conto della ragione per cui sostengo che gli elfi non sono come le altre razze. Anche i nani vivono molto a lungo, ma sono più prolifici di noi, e non condividono la nostra riservatezza o il nostro gusto per l'intrigo. Quanto agli umani...» La sua voce si spense in un rispettoso silenzio.

«Gli umani» disse Eragon «fanno del loro meglio con quanto è stato dato loro.»

«Giusto.»

«Perché non dici queste cose anche a Orik, dato che anche lui, come me, resterà a Ellesméra?»

La voce di Arya si colorì di un certo nervosismo. «In una certa misura, conosce già la nostra etichetta. Tuttavia, in qualità di Cavaliere, sarà meglio che tu ti dimostri più educato di lui.»

Eragon accettò il monito senza protestare. «Cosa devo imparare?»

E così Arya cominciò a istruirlo, e attraverso di lui anche Saphira fu introdotta alle sottigliezze della società elfica. In primo luogo Arya spiegò che quando un elfo incontra un altro elfo, entrambi si fermano e si portano due dita alle labbra, per significare: "Non altereremo la verità durante la nostra conversazione." Poi segue la frase: "Atra esterni ono thelduin", alla quale si risponde: "Atra du evarirna ono varda".

«Inoltre» aggiunse Arya, «se la circostanza è particolarmente formale, si usa una terza formula: "Un atra mor'- ranrlifa unin hjarta onr" che significa "Possa la pace regnare nel tuo cuore." Queste frasi sono state tratte da una benedizione che pronunciò un drago a suggello del nostro patto. Recita così:

Atra esterni ono thelduin, Mor'ranr Ufa unin hjarta onr, Un du evarinya ono varda.

«Che sta per: "Che la fortuna ti assista, che la pace regni nel tuo cuore, e che le stelle ti proteggano."» «Come si fa a capire chi deve parlare per primo?»

«Se incontri qualcuno di rango sociale più elevato, o se desideri onorare un tuo subordinato, parli per primo tu. Se incontri qualcuno di rango inferiore, allora parli dopo. Se invece sei indeciso sulla posizione, offri alla controparte l'occasione di parlare, e se resta in silenzio, allora parli tu. È questa la regola.»

Vale anche per me? chiese Saphira.

Arya si chinò a raccogliere una foglia secca che sbriciolò fra le dita. Alle sue spalle, l'accampamento piombò nell'oscurità quando i nani spensero il falò, soffocando le fiamme con uno strato di terriccio affinchè i carboni e la brace si mantenessero caldi fino al mattino. «Essendo un drago, nessuno è superiore a te nella nostra cultura. Nemmeno la regina rivendicherebbe una simile autorità su di te. Puoi dire e fare ciò che desideri. Non riteniamo i draghi vincolati dalle nostre leggi.»

Poi insegnò a Eragon come muovere la mano destra e portarsela allo sterno in uno strano gesto. «Questo» disse «lo userai al cospetto di Islanzadi. Indica che le stai offrendo la tua lealtà e la tua obbedienza.»

«È vincolante, come il mio giuramento di fedeltà a Nasuada?»

«No, è soltanto un gesto di cortesia, e nemmeno troppo impegnativo.»

Eragon si impegnò a fondo per ricordare gli svariati modi per salutarsi che Arya gli andava via via insegnando. I saluti erano diversi a seconda che si trattasse di un uomo o di una donna, di un adulto o un bambino, di un ragazzo o una ragazza, e variavano in base al rango e al prestigio. Era una lista infinita, ma Eragon sapeva di doverla memorizzare alla perfezione.

Quando ebbe assorbito il più possibile, Arya si alzò e si spazzolò le mani. «Cerca di non dimenticare nulla, e tutto andrà bene.» Si volse per andarsene.

«Aspetta» disse Eragon. Tese una mano per fermarla, poi la ritrasse prima che lei notasse il suo gesto sfrontato. Lei lo guardò da sopra una spalla, con aria interrogativa; Eragon si sentì stringere lo stomaco mentre tentava di dare voce ai propri pensieri. Malgrado i suoi sforzi, finì per dire soltanto: «Stai bene, Arya? Mi sei sembrata distratta e di malumore da quando abbiamo lasciato Hedarth.» Quando il volto dell'elfa si trasformò in una maschera di granito, Eragon capì di aver scelto l'approccio sbagliato, anche se non riusciva a capire come la domanda avesse potuto offenderla tanto. «Quando ci troviamo nella Du Weldenvarden» lo informò lei asciutta, «mi aspetto che tu non ti rivolga a me in toni così familiari, a meno che tu non voglia insultarmi.» E si allontanò a grandi passi.

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