Volodyk - Paolini2-Eldest
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I soldati impietrirono quando Saphira ruggì.
Eragon approfittò della distrazione per fortificarsi con l'energia conservata nel rubino del pomo di Zar'roc e poi uccidere gli ultimi tre uomini.
Spazzando il terreno con la coda, Saphira gli sgomberò la via da una ventina di soldati. Nel breve lasso di tempo, Eragon si guardò la carne viva e pulsante del braccio e disse: «Waise heill.» Si guarì anche i lividi, ricorrendo non solo al rubino, ma anche ai diamanti nella cintura di Beloth il Savio.
Poi i due ricominciarono a combattere.
Eragon e Saphira riempirono le Pianure Ardenti di cataste di cadaveri, ma l'Impero non accennava a fermarsi o a ritirarsi. Per ogni uomo che uccidevano, un altro prendeva il suo posto. Un senso d'impotenza cominciò a gravare sul cuore di Eragon nel vedere la massa di soldati nemici costringere via via i Varden a indietreggiare verso l'accampamento. Vide la sua stessa disperazione specchiata nei volti di Nasuada, Arya, re Orrin e persino di Angela, quando li incontrò sul campo di battaglia.
Tutto il nostro addestramento e non riusciamo ancora a fermare l'Impero, fu il suo grido di angoscia. Sono troppi! Non possiamo andare avanti così all'infinito. E Zar'roc e la cintura sono quasi esaurite.
Puoi attingere energia da quello che ti circonda, se necessario.
No, a meno che non riesca a uccidere un altro degli stregoni di Galbatorix per prenderla dai soldati. Altrimenti farei soltanto del male ai Varden, dato che non ci sono piante o animali qui attorno.
Col passare delle ore, Eragon si sentiva sempre più stanco e dolorante; privato di molte delle sue arcane difese, accumulò decine di ferite minori. Il braccio sinistro era intorpidito per aver assorbito gli innumerevoli colpi che gli avevano deformato lo scudo. Un fiotto di sangue caldo, misto a sudore, gli colava da un taglio sulla fronte accecandolo di continuo. E aveva la sensazione di avere almeno un dito rotto.
Saphira non stava meglio. Le armature dei soldati le laceravano le mucose della bocca, decine di spade e di frecce le perforavano le ali indifese, e un giavellotto le trapassò la corazza, ferendola a una spalla. Eragon vide arrivare il giavellotto e cercò di deviarlo con un incantesimo, ma fu troppo lento. Ogni volta che Saphira si muoveva, inondava il terreno con una pioggia di gocce di sangue.
Accanto a loro, caddero tre guerrieri di Orik e due Kull.
E il sole iniziò la sua parabola discendente.
Mentre Eragon e Saphira si preparavano per il loro settimo e ultimo assalto, a est risuonò uno squillo di tromba, limpido e potente, e re Orrin gridò: «I nani sono qui! I nani sono qui!»
I nani? Eragon battè le palpebre e si guardò intorno, confuso. Non vedeva altro che soldati nemici. Poi si riscosse in un fremito di eccitazione. I nani! Balzò in groppa a Saphira, che spiccò subito il volo, e rimase per qualche istante librata sulle ali malconce per osservare il campo di battaglia.
Era vero: un grande esercito avanzava da est verso le Pianure Ardenti. Alla sua testa marciava re Rothgar, con la sua cotta di maglia d'oro, l'elmo tempestato di gemme, e Volund, l'antica mazza da guerra, stretta nel pugno di ferro. Il re dei nani alzò Volund in segno di saluto quando scorse Eragon e Saphira.
Eragon ululò a pieni polmoni e ricambiò il gesto sventolando in aria Zar 'roc. Grazie a una scarica di rinnovato vigore dimenticò le ferite, e si sentì di nuovo gagliardo e feroce. Saphira aggiunse la propria voce alla sua, e i Varden la guardarono colmi di speranza, mentre i soldati imperiali esitavano per la paura.
«Cos'hai visto?» gridò Orik quando Saphira tornò a terra. «È Rothgar? Quanti guerrieri ha portato?» Ebbro di entusiasmo, Eragon si levò sulle staffe ed esclamò: «Animo, amico mio, re Rothgar è qui! E a quanto pare ha portato con sé ogni singolo nano! Schiacceremo l'Impero!» Quando gli uomini smisero di esultare, aggiunse: «Ora brandite le vostre spade e ricordate a questi codardi pidocchiosi perché devono avere paura di noi. All'attacco!» Proprio mentre Saphira stava per slanciarsi contro i soldati, Eragon sentì un secondo grido, questa volta provenire da ovest: «Una nave! Una nave che risale il fiume!»
«Maledizione!» ringhiò. Non possiamo permettere che una nave porti rinforzi all'Impero. Si mise in contatto con Trianna e le disse: Di' a Nasuada che ce ne occuperemo io e Saphira. Affonderemo la nave, se appartiene a Galbatorix. Come desideri, Argetlam, rispose la maga.
Senza un attimo di esitazione, Saphira si alzò in volo, tracciando cerchi sempre più ampi sulla pianura devastata e fumante. Mentre il clamore incessante della battaglia scemava con l'altezza, Eragon trasse un profondo respiro e si schiarì la mente. Sotto di loro, rimase sorpreso nel vedere come si erano frammentati gli eserciti. L'Impero e i Varden si erano disintegrati in una miriade di piccoli gruppi che si fronteggiavano in lungo e in largo per tutte le Pianure Ardenti. Fu in questo caos che si inserirono i nani, attaccando l'Impero su un fianco, come aveva fatto Orrin in precedenza con la cavalleria.
Eragon perse di vista la battaglia quando Saphira virò a sinistra e cabrò oltre le nubi verso il fiume Jiet. Una raffica di vento spazzò via il fumo di torba e svelò un grande veliero a tre alberi che risaliva l'acqua arancione controcorrente, spinto da due ordini di remi. La nave era scalfita e danneggiata, e non batteva alcuna bandiera che rivelasse la sua appartenenza.
Eragon si preparò a distruggere il veliero. Mentre Saphira scendeva in picchiata, Eragon fece roteare Zar'roc sulla testa e lanciò il suo terribile grido di guerra.
Convergenza
Roran era in piedi a prua dell'Ala di Drago e ascoltava il rumore dei remi che sferzavano l'acqua. Aveva appena finito il suo turno di voga e un dolore freddo e pulsante gli trafiggeva la spalla destra. Dovrò convivere per sempre con questo ricordo dei Ra'zac? Si asciugò il sudore dalla fronte e ignorò il disagio, concentrandosi sul fiume, oscurato da un banco di nuvole caliginose.
Elain lo raggiunse al parapetto. Si posò una mano sul ventre gonfio. «L'acqua ha un brutto aspetto» disse. «Forse dovevamo restare a Dauth, invece che andare in cerca di altri guai.»
Roran sospettò con timore che la donna avesse ragione. Dopo aver superato l'Occhio del Cinghiale, avevano veleggiato verso est, oltre le Isole Meridionali, per avvicinarsi alla costa. Entrati nella foce del fiume Jiet, erano arrivati al porto surdano di Dauth. Il tempo di toccare terra e le loro scorte erano oramai esaurite; gli uomini anche. Roran aveva avuto tutte le intenzioni di restare a Dauth, specie dopo aver ricevuto un'entusiastica accoglienza da parte del governatore, ledy Alarice. Ma questo era stato prima di venire a sapere dell'esercito di Galbatorix. Se i Varden fossero stati sconfitti, non avrebbe mai più rivisto Katrina. Così, con l'aiuto di Jeod, aveva convinto Horst e molti altri compaesani che se volevano vivere nel Surda, liberi dall'Impero, dovevano risalire iljiume Jiet per dare man forte ai Varden. Fu un'impresa difficile, ma alla fine Roran prevalse. E una volta che ebbero messo al corrente ledy Alarice delle loro intenzioni, l'alta funzionarla li rifornì di tutto il necessario.
Da allora, Roran si era chiesto spesso se aveva fatto la scelta giusta. Ormai nessuno più sopportava di vivere sulYAla di Drago. La gente era tesa e di malumore, e la situazione era peggiorata dalla consapevolezza di navigare dritti verso una battaglia. È stato puro egoismo da parte mia? si chiedeva. Lo faccio davvero per il bene del villaggio, o soltanto perché mi avvicinerò di un altro passo a Katrina?
«Forse dovevamo» rispose a Elain.
Insieme guardarono un denso strato di fumo raccogliersi nel cielo fino a oscurare il sole, filtrando la luce residua fino a tingere ogni cosa al di sotto di una nauseante sfumatura di arancio. Creava un crepuscolo innaturale come Roran non avrebbe mai immaginato. I marinai sul ponte si guardarono intorno intimoriti e mormorarono scongiuri, mostrando amuleti di pietra contro il malocchio.
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