Volodyk - Paolini2-Eldest

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La velocità con cui si andava formando l'Occhio del Cinghiale sconvolse Roran. «Sarà meglio che tu avverta Uthar» disse.

Baldor scavalcò il bordo della coffa. «Legati all'albero, altrimenti verrai spazzato via.»

«Lo farò.»

Roran lasciò le braccia libere quando si legò, tenendo il coltello a portata di mano nel caso che avesse dovuto tagliare le corde per liberarsi. L'ansia cresceva mentre studiava la situazione. L'Ala di Drago aveva già superato di un miglio la mediana dell'Occhio, con le corvette a due miglia di distanza, mentre l'Occhio stesso stava per raggiungere il parossismo della sua furia. A peggiorare le cose, il vento, disturbato dal gorgo, soffiava a singhiozzi, irregolare, spirando prima da una parte, poi dall'altra. Le vele si gonfiavano per un momento, poi si afflosciavano, poi si riempivano di nuovo, a seconda dell'umore del vento.

Forse Uthar aveva ragione, pensò Roran. Forse mi sono spinto troppo oltre e ho sfidato un avversano che non si può sconfìggere con la sola determinazione. Forse ho consegnato i miei compagni fra le braccia di un destino orrìbile. Le forze della natura erano immuni alle intimidazioni.

L'orbita dell'Occhio del Cinghiale doveva ormai misurare quasi dieci miglia di circonferenza, e nessuno poteva ! calcolare la profondità del gorgo, tranne quelli che vi erano rimasti intrappolati. I lati del vortice avevano una pendenza di quarantacinque gradi, solcati da rilievi simmetrici I come argilla bagnata plasmata sul tornio di un ceramista. : Il sordo ululato divenne più forte, finché a Roran non parve che tutto il mondo sarebbe crollato in frantumi per l'intensità delle vibrazioni. Un glorioso arcobaleno emerse dalla nebbia sull'abisso vorticante. La corrente li trascinava a rotta di collo, spingendo l'Ala di Drago rasente i margini del gorgo; la prospettiva di riuscire ad affrancarsi dalla porzione meridionale dell'Occhio era sempre più improbabile. Così prodigiosa era la corrente che l'Ala di Drago sbandò a dritta al punto che Roran si ritrovò sospeso sull'acqua ruggente.

Malgrado i progressi dell'Ala di Drago, le corvette continuavano a guadagnare terreno. Le navi nemiche veleggiavano ormai fianco a fianco col mercantile, a meno di un miglio di distanza, coi remi che si muovevano in perfetta sincronia, due pinne d'acqua che si levavano dalla prua che fendeva l'oceano. Roran non potè che ammirare lo spettacolo. Si rimise il cannocchiale nella camicia; ormai non gli serviva più. Le corvette erano abbastanza vicine da scorgerle a occhio nudo, mentre il gorgo era sempre più oscurato dalle nubi di vapore bianco che eruttava. Attirato verso gli abissi, il vapore formava una sorta di spirale che imitava lo stesso vortice.

Poi l'Ala di Drago virò a sinistra, divergendo dalla corrente mentre Uthar la governava verso il mare aperto. La chiglia rumoreggiò tagliando il mare spumeggiante, e la velocità della nave si dimezzò, mentre l'Ala di Drago combatteva contro il risucchio mortale dell'Occhio del Cinghiale. L'albero di maestra fu scosso da una violenta vibrazione che fece sbattere i denti di Roran, e la coffa sbandò nella direzione opposta, dandogli le vertigini.

Roran si accorse con terrore che rallentavano sempre di più. Si liberò dalle corde e sprezzante del pericolo scavalcò la coffa, si afferrò alle sartie e cominciò a scendere così rapido che a un tratto perse l'appiglio e precipitò per parecchi piedi prima di riuscire ad aggrapparsi di nuovo a una cima. Saltò sul ponte, corse verso il boccaporto di prua e scese al primo banco di remi, dove si unì a Baldor e Albriech che spingevano un lungo remo di quercia.

Non si scambiarono una sola parola, ma continuarono a vogare al suono del loro respiro affannato, al battito frenetico del tamburo, alle grida rauche di Bonden, e al ruggito dell'Occhio di Cinghiale. Roran sentiva il potente gorgo opporre resistenza a ogni colpo di remi.

Nonostante i loro sforzi, l'Ala di Drago sembrava bloccata in un punto morto. Non ce la faremo, pensò Roran. La schiena e le gambe gli dolevano per lo sforzo. I polmoni gli bruciavano. Fra un battito e l'altro del tamburo, sentì Uthar gridare ai marinai sul ponte di orientare le vele per sfruttare il vento infido.

Due file davanti a Roran, Darmen e Hamund lasciarono il posto a Thane e Ridley, poi si distesero al centro del corridòio, tremanti di fatica. Meno di un minuto dopo, qualcun altro crollò sfinito fra i banchi, e fu subito sostituito da Brigit e un'altra donna.

Se sopr•avviveremo, pensò Roran, sarà solo perché siamo così numerosi da poter sostenere questo ritmo per tutto il tempo necessario.

Gli parve di passare un'eternità inchiodato a quel remo, in quello spazio buio e fumoso, a spingere e tirare, spingere e tirare, facendo del suo meglio per ignorare il suo corpo che gridava pietà. Il collo gli faceva male per essere stato troppo a lungo chino sotto il basso soffitto. Il legno scuro del remo era striato di sangue, colato dalle vesciche che gli si erano formate per poi scoppiare. Si strappò di dosso la camicia facendo cadere il cannocchiale, l'avvolse intorno al remo e riprese a vogare.

Alla fine non ce la fece più. Le sue gambe cedettero e Roran cadde di lato, scivolando sul pagliolato, in un bagno di sudore. Orval prese il suo posto. Roran rimase immobile finché non riprese fiato, poi si mise carponi e strisciò verso il boccaporto. Come un ubriaco in preda a una sbornia colossale, risalì a tentoni la scaletta, barcollando a ogni movimento della nave e appoggiandosi alla paratia per riposare. Quando uscì sul ponte, si fermò un istante a inspirare l'aria fresca, poi arrancò verso poppa, con le gambe che minacciavano di tradirlo a ogni passo.

«Come va?» chiese ansimante a Uthar, che manovrava la ruota del timone.

Uthar scosse il capo.

Guardando oltre il parapetto, Roran vide le tre corvette a mezzo miglio di distanza, leggermente spostate a ovest, più vicine al centro dell'Occhio. Sembravano immobili rispetto all'Ala di Drago.

Lì per lì, Roran ebbe l'impressione che la posizione delle quattro navi restasse invariata. Poi avvertì un lieve mutamento nella velocità dell'Ala di Drago, come se la nave avesse superato un punto cruciale e le forze che la bloccavano si stessero arrendendo. Era una differenza sottile, non più di qualche piede al minuto, ma abbastanza perché la distanza fra il mercantile e le corvette aumentasse. A ogni colpo di remi, l'Ala di Drago guadagnava velocità. Le corvette non riuscivano comunque a contrastare la terrificante potenza del gorgo. I remi via via rallentarono finché, una dopo l'altra, le navi furono trascinate all'indietro verso il muro di nebbia, oltre il quale le attendevano le turbinanti pareti d'acqua nera e gli aguzzi scogli sul fondo dell'oceano.

Non riescono a remare, capì Roran. Gli uomini degli equipaggi sono troppo pochi e troppo stanchi. Non potè fare a meno di provare un impeto di compassione per il destino dei marinai sulle corvette.

In quel preciso istante, dalla nave più vicina fu scagliata un freccia, che scoppiò in una vampa di fiamme verdi prima di raggiungere l'Ala di Drago. La freccia doveva essere sostenuta dalla magia per volare così lontano. Colpì l'albero di mezzana ed esplose in globi di fuoco liquido che piovvero incendiando tutto quel che toccavano. Nel giro di pochi secondi, venti piccoli incendi ardevano lungo l'albero di mezzana, la vela, e il ponte di sotto.

«Non riusciamo a spegnerli» gridò uno dei marinai, in preda al panico.

«Tagliate tutto quello che brucia e gettatelo fuori bordo!» ruggì Uthar.

Sfoderando il pugnale da caccia, Roran si mise all'opera per asportare un grumo di fuoco verde dalle tavole ai suoi piedi. Passarono lunghi minuti di tensione, ma in breve tempo i fuochi innaturali furono eliminati e si ebbe la certezza che l'incendio non si sarebbe propagato al resto della nave.

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