Volodyk - Paolini2-Eldest

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Veloce come un elfo, Eragon corse al Palazzo di Tialdari, dove trovò Orik seduto nel solito angolino, intento a giocare un solitario di rune. Il nano lo accolse con una calorosa pacca sul braccio. «Eragon! Cosa ti porta qui a quest'ora del mattino? Credevo fossi sul campo a incrociare le spade con Vanir.»

«Saphira e io partiamo» disse Eragon.

Orik rimase a bocca aperta, poi socchiuse gli occhi, facendosi improvvisamente serio. «Ci sono novità?» «Te ne parlerò in seguito. Vieni con noi?»

«Nel Surda?»

«Sì.»

Un ampio sorriso solcò la faccia barbuta del nano. «Dovresti mettermi in ceppi per farmi restare qui. Non ho niente da fare a Ellesméra, se non diventare un pigro botolo di lardo. Un po' di eccitazione mi farà bene. Quando si parte?» «Appena possibile. Fa' i bagagli e vediamoci sul campo di addestramento. Vedi se riesci a procurarti dei viveri che ci bastino per una settimana.»

«Una settimana? Ma ci vorranno...»

«Voleremo su Saphira.»

La pelle intorno alla barba di Orik impallidì. «Noi nani non amiamo troppo le altezze, Eragon. No, per niente. Sarebbe meglio se andassimo a cavallo, come abbiamo fatto per venire qui.»

Eragon scosse la testa. «Ci vorrebbe troppo. Per giunta, è piuttosto facile cavalcare su Saphira. Se cadi, lei viene a prenderti.» Orik mugugnò, poco convinto. Lasciando il palazzo, Eragon attraversò di corsa la città silvana e raggiunse Saphira. Insieme volarono alla rupe di Tel'naeìr.

Oromis era seduto sulla zampa anteriore destra di Glaedr

quando arrivarono. Le squame del drago riflettevano una

miriade di bagliori dorati tutto intorno. Né l'elfo né il drago

si mossero. Disceso da Saphira, Eragon s'inchinò. «Maestro Glaedr. Maestro Oromis.»

Glaedr disse: Avete deciso di tornare dai Varden, non è così?

Sì, rispose Saphira.

La sensazione di essere stato tradito ebbe la meglio sulla compostezza di Eragon. «Perché ci avete nascosto la verità? Siete così decisi a tenerci qui da ricorrere a questi bassi espedienti? I Varden stanno per essere attaccati e voi non ci avete detto una parola!»

Serafico come sempre, Oromis rispose: «Non volete sapere perché?»

Volentieri, maestro, intervenne Saphira prima che Eragon avesse il tempo di replicare. Poi, in privato, lo ammonì: Sii educato!

«Vi abbiamo taciuto gli eventi per due ragioni. Innanzitutto perché anche noi non sapevamo nulla fino a nove giorni fa, e la reale entità, la posizione e lo spostamento delle truppe dell'Impero ci sono rimaste nascoste fino a tre giorni fa, quando Lord Dàthedr è riuscito a penetrare

gli incantesimi che Galbatorix usava per deflettere la nostra cristallomanzia.»

«Questo ancora non spiega perché non ci avete detto niente» esclamò Eragon. «Non solo, ma quando avete scoperto che i Varden erano in pericolo, perché Islanzadi non ha esortato gli elfi alla battaglia? Siamo o non siamo alleati?» «Islanzadi ha esortato gli elfi, Eragon. La foresta riecheggia di martelli, di stivali, di lamenti di coloro che stanno per essere separati. Per la prima volta in cento anni, la nostra razza sta per emergere dalla Du Weldenvarden per sfidare il nostro più grande nemico. È giunta l'ora per gli elfi di camminare di nuovo per le terre di Alagaèsia.» Con gentilezza, Oromis aggiunse: «Sei stato distratto, di recente, Eragon, e ti capisco. Ora devi vedere oltre te stesso. Il mondo richiede la tua attenzione.»

Rosso dalla vergogna, Eragon riuscì soltanto a dire: «Mi dispiace, maestro.» Rammentò le parole di Blagden e sorrise amaramente. «Sono cieco come una talpa.»

«Non direi, Eragon. Ti sei comportato bene, considerando le enormi responsabilità che ti abbiamo chiesto di assumere.» Oromis lo guardò con aria grave. «Aspettiamo nei prossimi giorni una missiva di Nasuada in cui chiederà l'aiuto di Islanzadi e che tu ti unisca ai Varden. Intendevo informarti della situazione dei Varden allora, quando avresti avuto ancora tempo di raggiungere il Surda prima del levarsi delle armi. Se te l'avessi detto prima, il tuo giuramento di fedeltà ti avrebbe imposto di partire prima che avessi completato l'addestramento, per correre in difesa della tua signora. Ecco perché io e Islanzadi non ti abbiamo detto nulla.»

«Il mio addestramento non serve a niente se i Varden vengono distrutti.»

«No. Ma potresti essere l'unica persona in grado di impedire la loro distruzione, perché esiste la possibilità, remota ma terribile, che Galbatorix stesso scenda in campo. È troppo tardi perché i nostri guerrieri aiutino i Varden, il che significa che se Galbatorix sarà presente alla battaglia, tu dovrai affrontarlo da solo, senza la protezione dei nostri maghi. Date le circostanze, era di vitale importanza che il tuo addestramento continuasse il più a lungo possibile.» In un istante la collera di Eragon sbollì, sostituita da un freddo e duro calcolo, mentre capiva la necessità del silenzio di Oromis. I sentimenti personali erano irrilevanti in una situazione disperata come la loro. Con voce piatta disse: «Hai ragione. Il mio giuramento mi impone di accorrere in difesa di Nasuada e dei Varden. Tuttavia non sono pronto per affrontare Galbatorix. Non ancora, almeno.»

«Allora ti suggerisco» disse Oromis, «se Galbatorix dovesse presentarsi, di fare di tutto per distrarlo dai Varden finché le sorti della battaglia non saranno decise, nel bene o nel male, e di evitare di scontrarti con lui direttamente. Ma prima che ve ne andiate, voglio chiedervi una cosa: che giuriate, una volta che gli eventi lo permettano, di tornare qui a completare l'addestramento, perché avete ancora molto da imparare.»

Torneremo, promise Saphira, legandosi nell'antica lingua.

«Torneremo» ripete Eragon, e decretò il loro destino.

Soddisfatto, Oromis portò una mano dietro la schiena e prese una sacca rossa ricamata che aprì allargando i cordoni. «In previsione della tua partenza, ti avevo preparato tre regali, Eragon.» Dalla sacca estrasse una fiaschetta d'argento. «Innanzitutto, del faelnirv potenziato con qualche incantesimo personale. Questa pozione ti sosterrà quando tutti gli altri falliranno, e potrai trovare utili le sue proprietà anche in altre circostanze. Ma bevila con parsimonia, perché ho avuto il tempo di prepararne solo qualche sorso.»

Porse la fiaschetta a Eragon; poi dalla stessa sacca estrasse un lungo cinturone nero e blu. Eragon lo trovò insolitamente solido e pesante quando se lo fece scorrere tra le mani. Era fatto di fili di tessuto intrecciati in un disegno che raffigurava un tralcio di Liani Vine. Seguendo le istruzioni di Oromis, Eragon tirò un tassello alla fine della cintura e rimase senza fiato quando una striscia al centro scivolò indietro per rivelare dodici diamanti, ciascuno grande un pollice. Quattro diamanti erano bianchi, quattro neri, gli altri erano rossi, blu, gialli e marrone. Scintillavano freddi e brillanti, come ghiaccio all'alba, riflettendo un arcobaleno di colori sulle mani di Eragon.

«Maestro...» Eragon scosse il capo, a corto di parole. «Sei sicuro di volermi fare questo dono?» «Abbine cura, perché nessuno abbia la tentazione di rubartela. Questa è la cintura di Beloth il Savio, di cui hai letto nella storia dell'Anno delle Tenebre, ed è uno dei più grandi tesori dei Cavalieri. Sono le gemme più perfette che i Cavalieri siano riusciti a trovare. Alcune le abbiamo comprate dai nani. Altre le abbiamo vinte in battaglia, o estratte dalle miniere noi stessi. Le pietre non contengono magia, ma potrai usarle come ricettacolo del tuo potere e attingere alla riserva quando ne avrai bisogno. Questo, oltre al rubino incastonato nel pomo di Zar'roc, ti consentirà di ammassare una scorta di energia che ti aiuterà a non sprecare invano le tue forze nell'evocare incantesimi in battaglia, o quando dovrai affrontare stregoni nemici.»

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