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Roberto Saviano: Gomorra

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Roberto Saviano Gomorra

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La reale forze dei mediatori, degli stakeholder che lavorano con la camorra, è la capacità di garantire un servizio in ogni sua parte, mentre i mediatori delle imprese legali propongono prezzi maggiorati, esenti dal trasporto. Eppure gli stakeholder non vengono quasi mai affiliati nei clan. Non serve. La non affiliazione è un vantaggio per le due parti. Gli stakeholder possono lavorare per diverse famiglie, come battitori liberi, senza dover subire obblighi militari, particolari imposizioni, senza divenire pedine da battaglia. In ogni operazione della magistratura ne beccano diversi, ma le condanne non sono mai pesanti, poiché è difficile dimostrare la loro diretta responsabilità, dato che formalmente non prendono parte a nessun passaggio della catena dello smaltimento criminale dei rifiuti.

Col tempo ho imparato a vedere con gli occhi degli stakeholder. Uno sguardo diverso da quello del costruttore. Un costruttore vede lo spazio vuoto come qualcosa da riempire, cerca di mettere il pieno nel vuoto; gli stakeholder pensano invece a come trovare il vuoto nel pieno.

Franco, quando camminava, non osservava il paesaggio, ma pensava a come poterci ficcare qualcosa dentro. Come vedere tutto l'esistente a mo' di grande tappeto e cercare nelle montagne, ai lati delle campagne, il lembo da sollevare per spazzarci sotto tutto quanto è possibile. Una volta, mentre camminavamo, Franco notò la piazzola abbandonata di una pompa di benzina, e pensò immediatamente che i serbatoi sotterranei avrebbero potuto ospitare decine di piccoli fusti di rifiuti chimici. Una tomba perfetta. E così era la sua vita, una continua ricerca di vuoto. Franco poi aveva cessato di fare lo stakeholder, di macinare chilometri con le auto, a presentarsi agli imprenditori del nord est, a essere chiamato in mezza Italia. Aveva messo su un corso di formazione professionale. Gli allievi più importanti di Franco erano cinesi. Venivano da Hong Kong. Gli stakeholder orientali avevano imparato da quelli italiani a trattare con le aziende d'ogni parte d'Europa, a proporre prezzi e soluzioni veloci. Quando in Inghilterra avevano aumentato i costi dello smaltimento, si presentarono gli stakeholder cinesi allievi dei campani. A Rotterdam la polizia portuale olandese ha scoperto nel marzo 2005, in partenza per la Cina, mille tonnellate di rifiuti urbani inglesi spacciati ufficialmente per carta da macero da riciclare. Un milione di tonnellate di rifiuti hi-tech ogni anno partono dall'Europa e vengono sversati in Cina. Gli stakeholder li dislocano a Guiyu, a nord est di Hong Kong. Intombati, stipati sottoterra, affondati nei laghi artificiali. Come nel casertano. Hanno così velocemente inquinato Guiyu che le falde acquifere sono completamente compromesse, al punto da essere costretti a importare dalle province vicine l'acqua potabile. Il sogno degli stakeholder di Hong Kong è fare di Napoli il porto di snodo dei rifiuti europei, un centro di raccolta galleggiante dove poter stipare nei container l'oro di spazzatura da intombare nelle terre di Cina.

Gli stakeholder campani erano i migliori, avevano battuto la concorrenza dei calabresi, dei pugliesi e dei romani perché, grazie ai clan, avevano fatto delle discariche campane un enorme discount, senza soluzione di continuità. In trent'anni di traffici sono riusciti a incamerare di tutto, a smaltire ogni cosa con un unico obiettivo: abbattere i costi e aumentare le quantità da appaltare. L'inchiesta "Re Mida" del 2003, che prende il nome da una telefonata intercettata di un trafficante: "E noi appena tocchiamo la monnezza la facciamo diventare oro", mostrava che ogni passaggio del ciclo dei rifiuti riceveva la sua quota di profitto.

Quando ero in macchina con Franco ascoltavo le sue telefonate. Dava consulenze immediate su come e dove smaltire i rifiuti tossici. Parlava di rame, arsenico, mercurio, cadmio, piombo, cromo, nichel, cobalto, molibdeno, passava dai residui di conceria a quelli ospedalieri, dai rifiuti urbani ai pneumatici, spiegava come trattarli, aveva in mente interi elenchi di persone e siti di smaltimento a cui rivolgersi. Pensavo ai veleni mischiati al compost, pensavo alle tombe per fusti ad alta tossicità scavate nel corpo delle campagne. Divenivo pallido. Franco se n'accorgeva.

"Ti fa schifo questo mestiere? Robbe', ma lo sai che gli stakeholder hanno fatto andare in Europa questo paese di merda? Lo sai o no? Ma lo sai quanti operai hanno avuto il culo salvato dal fatto che io non facevo spendere un cazzo alle loro aziende?"

Franco era nato in un luogo che l'aveva addestrato bene, sin da bambino. Sapeva che negli affari si guadagna o si perde — non c'è spazio per altro — e lui non voleva perdere, né far perdere coloro per cui lavorava. Ciò che si diceva e mi diceva, le scuse che si raccontava erano però dati feroci, una lettura inversa rispetto a come avevo sino ad allora visto lo smaltimento dei rifiuti tossici. Unendo tutti i dati emersi dalle inchieste condotte dalla Procura di Napoli e dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere dalla fine degli anni '90 a oggi, è possibile comprendere che il vantaggio economico per le aziende che si sono rivolte a smaltitori della camorra è quantificabile in cinquecento milioni di euro. Ero cosciente che le inchieste giudiziarie avevano scoperto solo una percentuale parziale delle infrazioni e quindi mi veniva come una vertigine. Molte aziende settentrionali erano riuscite a crescere, assumere, erano riuscite a rendere competitivo l'intero tessuto industriale del paese al punto da poterlo spingere in Europa, liberando le aziende dalla zavorra del costo dei rifiuti che gli era stata alleggerita dai clan napoletani e casertani. Schiavone, Maliardo, Moccia, Bidognetti, La Torre e tutte le altre famiglie avevano offerto un servizio criminale in grado di rilanciare l'economia e renderla competitiva. L'operazione "Cassiopea" del 2003 dimostrò che ogni settimana partivano dal nord al sud quaranta Tir ricolmi di rifiuti e — secondo la ricostruzione degli inquirenti — venivano sversati, seppelliti, gettati, interrati cadmio, zinco, scarto di vernici, fanghi da depuratori, plastiche varie, arsenico, prodotti delle acciaierie, piombo. La direttrice nord-sud era la strada privilegiata dai trafficanti. Molte imprese venete e lombarde, attraverso gli stakeholder, avevano adottato un territorio nel napoletano o nel casertano trasformandolo in un'enorme discarica. Si stima che negli ultimi cinque anni in Campania siano stati smaltiti illegalmente circa tre milioni di tonnellate di rifiuti di ogni tipo, di cui un milione solo nella provincia di Caserta. Il casertano è un'area che nel "piano regolatore" dei clan è stata assegnata alla sepoltura dei rifiuti.

Un ruolo rilevante, nella geografia dei traffici illeciti, viene svolto dalla Toscana, la regione più ambientalista d'Italia. Qui si concentrano diverse filiere dei traffici illegali, dalla produzione all'intermediazione, tutte emerse in almeno tre inchieste: l'operazione "Re Mida", l'operazione "Mosca" e quella denominata "Agricoltura biologica" del 2004.

Dalla Toscana non arrivano soltanto ingenti quantitativi di rifiuti gestiti illegalmente. La regione diviene una vera e propria base operativa fondamentale per tutta una serie di soggetti impegnati in queste attività criminali: dagli stakeholder ai chimici conniventi, sino ai proprietari dei siti di compostaggio che permettono di fare le miscele. Ma il territorio del riciclaggio dei rifiuti tossici sta aumentando i suoi perimetri. Altre inchieste hanno rivelato il coinvolgimento di regioni che sembravano immuni, come l'Umbria e il Molise. Qui, grazie all'operazione "Mosca", coordinata dalla Procura della Repubblica di Larino nel 2004, è emerso lo smaltimento illecito di centoventi tonnellate di rifiuti speciali provenienti da industrie metallurgiche e siderurgiche. I clan erano riusciti a triturare trecentoventi tonnellate di manto stradale dismesso ad altissima densità catramosa, e avevano individuato un sito di compostaggio disponibile a mischiarlo'a terra, e quindi a occultarlo nelle campagne umbre. Il riciclo arriva a metamorfosi capaci di guadagnare esponenzialmente a ogni singolo passaggio. Non bastava nascondere i rifiuti tossici, ma si poteva trasformarli in fertilizzanti, ricevendo quindi danaro per vendere i veleni. Quattro ettari di terreno a ridosso del litorale molisano furono coltivati con concime ricavato dai rifiuti delle concerie. Vennero rinvenute nove tonnellate di grano contenenti un'elevatissima concentrazione di cromo. I trafficanti avevano scelto il litorale molisano — nel tratto da Termoli a Campomarino — per smaltire abusivamente rifiuti speciali e pericolosi provenienti da diverse aziende del nord Italia. Ma è il Veneto il vero centro di stoccaggio, secondo le indagini coordinate negli ultimi anni dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere. Da anni alimenta i traffici illegali sul territorio nazionale. Le fonderie settentrionali fanno smaltire le scorie senza precauzioni, mischiandolo al compost usato per concimare centinaia di campi agricoli.

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