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Roberto Saviano: Gomorra

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con i denti neri valgono cinquanta euro. Non hanno un grande mercato, alla clientela sembra non fare schifo l'idea della morte, quanto piuttosto il fatto che lo smalto dei denti lentamente inizi a marcire.

Da nord verso sud i clan riescono a drenare di tutto. Il vescovo di Nola definì il sud Italia la discarica abusiva dell'Italia ricca e industrializzata. Le scorie derivanti dalla metallurgia termica deU'alluminio, le pericolose polveri di abbattimento fumi, in particolare quelle prodotte dall'industria siderurgica, dalle centrali termoelettriche e dagli inceneritori. Le morchie di verniciatura, i liquidi reflui contaminati da metalli pesanti, amianto, terre inquinate provenienti da attività di bonifica che vanno a inquinare altri terreni non contaminati. E ancora rifiuti prodotti da società o impianti pericolosi di petrolchimici storici come quello dell'ex Enichem di Priolo, i fanghi conciari della zona di Santa Croce sull'Arno, i fanghi dei depuratori di Venezia e di Forlì di proprietà di società a prevalente capitale pubblico.

Il meccanismo dello smaltimento illecito parte da imprenditori di grosse aziende o anche da piccole imprese che vogliono smaltire a prezzi irrisori le loro scorie, il materiale di risulta da cui più nulla è possibile ricavare se non costi. Al secondo passaggio ci sono i titolari di centri di stoccaggio che attuano la tecnica del giro di bolla, raccolgono i rifiuti e in molti casi li miscelano con rifiuti ordinari, diluendo la concentrazione tossica e declassificando, rispetto al CER, il catalogo europeo dei rifiuti, la pericolosità dei rifiuti tossici.

I chimici sono fondamentali per ribattezzare un carico da rifiuti tossici in innocua immondizia. Molti forniscono un formulario di identificazione falso con codici di analisi menzognere. Poi ci sono i trasportatori che percorrono il paese per raggiungere il sito prescelto per smaltire, e infine ci sono gli smaltitori. Questi possono essere gestori di discariche autorizzate o di un impianto di compostaggio dove i rifiuti vengono coltivati per farne concime, ma possono anche essere proprietari di cave dismesse o di terreni agricoli adibiti a discariche abusive. Laddove c'è uno spazio con un proprietario, lì può esserci uno smaltitore. Elementi necessari nel far funzionare l'intero meccanismo sono i funzionari e dipendenti pubblici che non controllano, né verificano le varie operazioni, o danno in gestione cave e discariche a persone chiaramente inserite nelle organizzazioni criminali. I clan non devono fare patti di sangue con i politici, né allearsi con interi partiti. Basta un funzionario, un tecnico, un dipendente, uno qualsiasi che vuole far lievitare il proprio stipendio e così, con estrema flessibilità e silenziosa discrezione, si riesce a ottenere che l'affare si svolga, con profitto per ogni parte coinvolta. I veri artefici della mediazione però sono gli stakeholder. Sono loro i veri geni criminali dell'imprenditoria dello smaltimento illegale dei rifiuti pericolosi. In questo territorio, tra Napoli, Salerno e Caserta si foggiano i migliori stakeholder d'Italia. Per stakeholder si intende — nel gergo aziendale — quelle figure d'impresa che sono coinvolte nel progetto economico e che con la loro attività sono direttamente, o indirettamente, in grado di influenzarne gli esiti. Gli stakeholder dei rifiuti tossici erano ormai divenuti un vero e proprio ceto dirigente. E non era raro sentirmi dire nei periodi di marcescente disoccupazione della mia vita: "Sei laureato, le competenze ce le hai, perché non ti metti a fare lo stake?".

Per i laureati del sud, senza padri avvocati o notai, era una strada certa all'arricchimento e alle soddisfazioni professionali. Laureati, bella presenza, divenivano mediatori dopo qualche anno passato negli USA O in Inghilterra a specializzarsi in politiche dell'ambiente. Ne ho conosciuto uno. Uno dei primi, uno dei migliori. Prima di ascoltarlo, prima di osservare il suo lavoro non avevo capito nulla della miniera dei rifiuti. Si chiamava Franco, l'avevo conosciuto in treno, di ritorno da Milano. Si era ovviamente laureato alla Bocconi ed era diventato esperto in Germania di politiche per il recupero ambientale. Una delle abilità somme degli stakeholder è quello di conoscere a memoria il CER e di comprendere come destreggiarsi al suo interno. Questo gli permetteva di capire come trattare i rifiuti tossici, come aggirare le norme, come presentarsi alla comunità imprenditoriale con scorciatoie clandestine. Franco era originario di Villa Literno e voleva coinvolgermi nel suo mestiere. Aveva iniziato a raccontarmi del suo lavoro partendo dall'aspetto. Norme e divieti del successo di uno stakeholder. Se ti stavi stempiando, o avevi la chierica, dovevi evitare tassativamente riporti e parrucchi-ni. Era vietato, per un'immagine vincente, avere capelli lunghi ai lati del cranio per coprire gli spazi vuoti della pelata. Il cranio doveva essere rasato, o al massimo con una rada peluria di capelli corti. Secondo Franco, lo stakeholder se invitato a una festa, doveva essere sempre accompagnato da una donna, ed evitare di fare lo squallido tampinatore di tutte le gonne presenti. Se non aveva una fidanzata o non ne aveva una all'altezza, lo stakeholder doveva pagare le escort, le accompagnatrici di lusso, quelle più eleganti. Gli stakeholder dei rifiuti si presentano dai proprietari delle imprese chimiche, dalle concerie, dalle fabbriche di plastica e propongono il loro listino di prezzi.

Lo smaltimento è un costo che nessun imprenditore italiano sente necessario. Gli stake ripetono sempre la stessa medesima metafora: "Per loro è più utile la merda che cacano piuttosto che i rifiuti, per smaltire i quali devono sborsare valigie di soldi". Non devono però mai dare l'impressione di star offrendo un'attività criminale. Gli stakeholder mettono in contatto le industrie con gli smaltitori dei clan e, seppure da lontano, coordinano ogni passaggio dello smaltimento.

Esistono due tipi di produttori di rifiuti: quelli che non hanno altro obiettivo se non risparmiare sul prezzo del servizio, non curandosi dell'affidabilità delle ditte a cui appaltano lo smaltimento. Sono quelli che vedono la loro responsabilità terminare appena fanno uscire i fusti dei veleni dal perimetro delle loro aziende. E quelli direttamente implicati nelle operazioni illegali, che smaltiscono loro stessi illegalmente i rifiuti. In entrambi i casi la mediazione degli stakeholder è necessaria per garantire i servizi di trasporto e l'indicazione del luogo di smaltimento, e l'aiuto per rivolgersi a chi di dovere per la declassificazione di un carico. L'ufficio degli stakeholder è la loro automobile. Con un telefono e un portatile muovono centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti. Il loro guadagno va a percentuali sui contratti con le aziende, in relazione ai chili appaltati da smaltire. Gli stakeholder hanno un listino variabile. I diluenti, che per esempio uno stakeholder legato ai clan può smaltire, vanno dai dieci ai trenta centesimi al chilo. Il pentasolfuro di fosforo un euro al chilo. Terre di spazzamento delle strade, cinquantacinque centesimi al chilo; imballaggi con residui di rifiuti pericolosi, un euro e quaranta centesimi al chilo; fino a due euro e trenta centesimi al chilo le terre contaminate; gli inerti cimiteriali quindici centesimi al chilo; ifluff, le parti non in metallo delle auto, un euro e ottantacinque centesimi al chilogrammo, trasporto compreso. I prezzi proposti ovviamente tengono conto delle esigenze dei clienti e delle difficoltà di trasporto. I quantitativi gestiti dagli stakeholder sono enormi, i loro margini di guadagno esponenziali.

L'"Operazione Houdini" del 2004 ha dimostrato che un unico impianto in Veneto gestiva illegalmente circa duecentomila tonnellate di rifiuti l'anno. Il costo di mercato per smaltire correttamente i rifiuti tossici impone prezzi qhe vanno dai ventuno a sessantadue centesimi al chilo. I clan forniscono lo stesso servizio a nove o dieci centesimi al chilo. Gli stakeholder campani sono riusciti, nel 2004, a garantire che ottocento tonnellate di terre contaminate da idrocarburi, proprietà di una azienda chimica, fossero trattate al prezzo di venticinque centesimi al chilo, trasporto compreso. Un risparmio dell'80 per cento sui prezzi ordinari.

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