Iain Banks - Canto di pietra

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Canto di pietra: краткое содержание, описание и аннотация

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In un mondo senza tempo e senza nome, devastato da una guerra che ha rivelato il fondo barbarico della natura umana, tra cumuli di macerie e colonne di profughi in fuga, si erge un antico castello di pietra. Tra le sue austere mura vive, assieme alla sorella-amante Morgan, Abel, l’ultimo discendente di una famiglia aristocratica. Per i due giovani, quel castello sarebbe un rifugio ideale, se un giorno, a turbare la loro idilliaca «intimità», non sopraggiungesse una banda di soldati irregolari, guidati da un oscuro personaggio femminile. Stregati dal fascino magnetico e perverso di quella donna senza volto e senza anima, Abel e Morgan si trasformano ben presto nelle pedine di un sordido gioco a tre, mentre l’antica dimora diviene teatro di inaudite violenze, eccessi e distruzioni, che porteranno in un crescendo di tensione e di suspense alla catastrofe finale.

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«Venite!» grida la luogotenente mulinando le braccia. I suoi battitori si fanno avanti; uno mi tocca sulla schiena col fucile. Procediamo, mentre lo stormo fugge seguendo la discesa del pendio; la luogotenente spara ancora e un altro corpicino sussultante cade sull’erba a ciuffi. Ricominciano intanto i colpi sordi di quella lontana artiglieria pesante, mentre la luogotenente scorge alcuni scoiattoli che si arrampicano su un albero vicino; apre il fuoco contro quei bersagli minuscoli e mette fine al loro comico zampettio con una piccola esplosione di rami, foglie, aghi, pelo e sangue. Quando la raggiungiamo ai margini di un boschetto lei sta scalciando un arbusto spinoso e ricarica la doppietta; è rossa in viso, il suo respiro è veloce.

«Verbale, raccogli gli uccelli che prendiamo, d’accordo?» Uno dei soldati torna indietro arrancando per recuperare i trofei conquistati dalla luogotenente. «Ma come…?» comincia, poi si calma e alza una mano. «Verbale, giù!» sibila. Il soldato che sta raccogliendo gli uccelli morti si abbassa, obbediente come un vero cane da caccia. Un altro stormo di uccelli sta volando in cerchio, piegando verso la discesa da un passo sulle montagne; rotea e picchia sopra lo stagno, un’unica entità di ronzanti puntolini bruno-nerastri, come uno sciame racchiuso in un’immensa sacca invisibile, dai bordi elastici, che si espande e cambia forma, si fende, si fende un’altra volta e infine, con un ultimo slancio, si posa. La luogotenente getta un’occhiata verso di noi, annuisce e poi spara.

I pallini esplodono sull’acqua dello stagno, sollevando migliaia di piccoli spruzzi in mezzo al disperato battito d’ali dello stormo terrorizzato.

La luogotenente mi fissa, corruga per un attimo la fronte e poi sorride. «Cattiva forma, eh, Abel?» grida. Apre il fucile, e saltano fuori le cartucce fumanti. «Ma un gran divertimento!» conclude, e scoppia a ridere. Aspetto finché gli uccelli sono in volo, poi sparo per mancarli, troppo basso. Tu ne prendi un altro paio. La luogotenente, sempre ridendo, ha il tempo di ricaricare prima che lo stormo riesca a fuggire; i suoi bersagli volano sopra di noi, e i colpi di fucile fanno cadere una grandinata di foglie e rametti che picchiettano su se stessi. Fra di loro cadono anche gli uccelli moribondi, un minuscolo detrito di morte in mezzo agli echi e ai rimbombi — anche se penso che la luogotenente non li senta — del più grande conflitto nel mondo sotto di noi.

Un’attesa eccitata, nascosti al limitare del bosco, poi appare un altro volo d’uccelli. Comincio a chiedermi se non è la stessa massa di idioti a ritornare ogni volta, con la memoria troppo corta per ricordare le recenti perdite, ma questo stormo è più grosso di quelli che abbiamo visto finora e credo che la luogotenente si sia imbattuta nella rotta seguita da questa specie nella loro migrazione verso sud all’inizio dell’inverno, lungo queste alte vallate.

La luogotenente si alza in piedi, spara, avanza e spara di nuovo, abbattendo altri uccelli; tu ne colpisci un altro prima che lo stormo si disperda. Imbraccio il fucile aperto; nessuno pare accorgersene.

Gli uomini della luogotenente raccolgono i corpicini e li infilano in una vecchia sacca per le cartucce. Tu chiedi permesso, e ti inoltri nella foresta scura alle nostre spalle. La luogotenente, senza fiato per l’eccitazione, ti guarda sorridendo, poi si volta verso di me.

«Cerchi di partecipare, Abel», dice con un sorriso a labbra strette, fissando il mio fucile. «Non bisogna fare i pesi morti, in queste uscite, no?»

«Mi sembrava che stesse facendo così bene lei», le dico, in malafede. «Mi sento completamente superfluo.»

Le sue labbra si increspano per un istante. «Certo. Ma non sta bene, non è vero? Bisogna fare uno sforzo.»

«Davvero?»

Lei dà un’altra occhiata nella tua direzione. «Morgan sta facendo del suo meglio; mi sembra che si diverta, per quello che posso capire.» Corruga la fronte.

«È docile di natura.»

«Mmm», fa la luogotenente, annuendo, sempre cercandoti con gli occhi. «È molto silenziosa, vero?»

«Quando pensa ad alta voce», dico alla luogotenente, con un sorriso educato.

Penso proprio di averla presa alla sprovvista. Poi esce in una risata leggera. «Be’, accidenti», dice sottovoce, «lei è molto aspro.»

Fisso anch’io le cupe profondità marine degli alti tronchi dove sei scomparsa tu. «Qualcuno apprezza un po’ di asprezza», le dico.

Ci pensa un attimo, poi trae un sospiro profondo. «Davvero? Un debole per l’asprezza?» Alza gli occhi e scruta il cielo. «Allora ci sarà in giro un sacco di gente soddisfatta, di questi tempi.»

Apre il suo fucile, fa saltar fuori le cartucce, ne inserisce con cura altre due. «Bene», dice, richiudendo di scatto il fucile con una mano sola. Io sbatto le palpebre. «Voi due siete sposati? È sua moglie?»

«Non esattamente.»

Sempre tenendo il fucile con una mano sola, mira lungo la canna puntando al suolo. «Ma in pratica.»

«Già. Anzi, è una relazione più intima di qualunque altra.»

Credo che la luogotenente vorrebbe continuare con le domande, ma in quel momento ritorni tu, con un sorriso timido e gli occhi bassi, e imbracci di nuovo il tuo fucile. In alto appare uno stormo più piccolo, del tutto ignaro.

Spariamo ancora un po’. Io continuo a puntare per sbagliare, tu hai qualche successo ma non sei mai stata una buona doppietta, mentre la luogotenente sembra essersi scoperta un talento particolare, e fa cadere uccelli morti e moribondi sulle rive dello stagno.

«Come tiratore mi sembra molto scarso, Abel», mi dice con la faccia severa, mentre i suoi uomini recuperano il suo bottino. «Davo per scontato che fosse molto meglio.» Brandisce la sua doppietta. «Tutti questi fucili erano per gli altri? Lei non andava mai a caccia?»

«Sono abituato a bersagli più grossi», le dico, e in effetti è la verità.

«Anche Eros.» Sorride a uno dei soldati. «Facciamo provare anche a lui.»

Devo cedere il mio fucile. Il soldato — un giovane rigido, dall’aria goffa, con una faccia dieci anni più vecchia della sua corporatura — ha bisogno di un po’ di istruzioni, ma poi si abbandona al divertimento. Il suo compagno continua a ricaricarti il fucile. Il sacco pieno di cadaveri piumati mi viene ficcato in mano e sono costretto a occuparmi della raccolta dopo la loro caccia.

«Bene, Eros!» La luogotenente dà istruzioni mentre siamo in attesa tra due ondate di uccelli. «Eros si sta comportando molto bene, non le pare, Morgan?» Il tuo breve sorriso potrebbe essere assente. «Molto bene per un uomo ferito. Mostrale le tue cicatrici, Eros.»

Il giovane soldato ha un’aria esitante mentre scopre una spalla — per fortuna non quella che subiva il rinculo del fucile — e ti mostra un bendaggio sudicio. «E il resto? Non essere timido, su!» ringhia la luogotenente, quasi sprezzante, dando una sculacciata al ragazzo.

Il soldato deve sbottonarsi i pantaloni, se li cala fino alle ginocchia e arrossisce. Un altro voluminoso bendaggio attorno a una coscia (non avevo nemmeno notato che zoppicasse, anche se, adesso che ci penso, mi rendo conto che sì, zoppicava). Le mutande sono anche più grigie delle bende, e adesso la sua faccia è più scura delle une e delle altre. Comincio a provare pietà per lui.

«A un pelo da qualcosa d’altro là sotto, eh, Eros?» dice la luogotenente strizzando l’occhio. Il giovane fa una risata nervosa e si riveste velocemente. Tu hai guardato da un’altra parte. «Eros se l’è cavata per un soffio», ti dice la luogotenente, scrutando il cielo in cerca di nuovi divertimenti. «Shrapnel, vero, Eros?» Il ragazzo soldato grugnisce, sempre imbarazzato. «Granata», ci informa la luogotenente. «Magari è stata sparata da uno di quei cannoni che sentiamo adesso», dice stringendo gli occhi, con il naso levato nella direzione del vento. I due soldati sembrano confusi e tu non hai nessuna reazione. Io mi concentro, e c’è infatti, lo sto sentendo di nuovo, quel rullio distante, quasi impercettibile, dell’artiglieria lontana. «Ah…» sospira la luogotenente, mentre un’altra macchia confusa di minuscoli uccelli si precipita incontro a noi dalle montagne e rotea sopra lo stagno.

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