Cipollino interruppe quella chiacchierata per presentarsi:
— Mi chiamo Cipollino e sono prigioniero del Cavalier Pomodoro.
— Oh non si preoccupi, — disse la Talpa, — la stavo riconoscendo dall'odore. Però la compiango sinceramente. Dover stare giorno e notte in un posto così chiaro dev'essere una tortura.
— Per i miei guai, è già un posto abbastanza scuro.
— Non lo dica nemmeno per ridere. La compiango sinceramente. Eh, il mondo è cattivo. Dico io: se volete mettere qualcuno in prigione, mettetelo almeno in un posto dove possa riposarsi la vista. Ma dal giorno in cui i cartaginesi hanno esposto Attilio Regolo ai raggi del sole, dopo avergli strappato le ciglia, l'umanità è diventata sempre più crudele.
Cipollino comprese che non valeva la pena di fare una discussione sulla luce e sul buio con una talpa, che essendo abituata alle sue gallerie, ed essendo cieca per giunta, doveva avere sulla questione un parere molto diverso dal suo.
— Ammetto che la luce mi da molta noia, — sospirò.
— Lo vede? Cosa dicevo? — La Talpa era tutta commossa. — Se lei non fosse tanto grande… — cominciò a dire.
— lo? Ma sono piccolissimo, gliel'assicuro. Potrei passare comodamente per un buco di talpa.
— Può darsi, può darsi, giovanotto. Ma se non vuoi farmi torto non chiami buchi le mie gallerie. Chissà, forse potrei accompagnarla per un pezzo di strada.
— Potrei infilarmi nella galleria che lei ha finito adesso di scavare, — propose Cipollino. — Naturalmente se lei mi farà da guida, perché da solo avrei paura di perdermi: ho sentito dire che le sue gallerie sono molto complicate.
— Senta, — rispose la Talpa, — a fare sempre la stessa strada io mi annoio. Sa che cosa le dico? Scaveremo una galleria nuova.
— Da che parte? — domandò subito Cipollino.
— Da una parte qualunque, — rispose la Talpa, — purché si possa andare a finire in qualche posto scuro davvero e non in un'altro faro come questo.
Cipollino pensò subito alla prigione nella quale si trovavano Zucchina, Uvetta e gli altri. Sarebbe stata una bella sorpresa, per loro, vederselo arrivare di sottoterra.
— Credo che si debba scavare verso destra, — propose alla Talpa.
— Destra o sinistra per me fa lo stesso. Se lei preferisce la destra, andiamo a destra.
E senza pensarci due volte la Talpa ficcò il muso nella parete e cominciò a scavare così furiosamente che Cipollino si trovò tutto coperto di terriccio.
Gli venne un accesso di tosse che gli durò un quarto d'ora. Quando ebbe finito di tossire e di starnutire udì la voce della Talpa che lo chiamava:
— Allora si decide a venire, sì o no?
Cipollino si ficcò nell'imboccatura della galleria, che era abbastanza larga per permettergli di strisciare in avanti: la Talpa aveva già percorso parecchi metri, a una velocità sbalorditiva.
— Eccomi, eccomi, signora Talpa, — farfugliò sputando il terriccioio che gli si ficcava in gola.
Prima di proseguire, però, si fermò a tappare l'ingresso della galleria.
Quando scopriranno la mia fuga, — pensò, — non indovineranno da che parte me ne sono andato.
— Come si sente? — domandò la Talpa continuando a scavare.
— Benissimo, grazie, — rispose Cipollino, — qui c'è un buio perfetto.
— Glielo dicevo io che si sarebbe trovato subito meglio. Vuole che ci fermiamo un momentino? Io preferirei di no, perché ho una certa fretta, ma forse lei non è abituato a correre nelle gallerie.
— Andiamo pure avanti, — disse Cipollino, pensando che, a quell'andatura, in poche ore sarebbero giunti nelle vicinanze della prigione.
— D'accordo. — La Talpa ripartì a gran velocità. Scavando produceva un rumore simile a quello di un martello pneumatico. Cipollino faticava a tenerle dietro.
Un quarto d'ora dopo la fuga di Cipollino e della Talpa, la porta della fossa segreta si aperse e Pomodoro entrò con un sorriso trionfale.
Come aveva assaporato quel momento, il prode Cavaliere!
Mentre si dirigeva verso la prigione, gli pareva di essere diventato più leggero di una ventina di chili.
— Cipollino è nelle mie mani, — si diceva gongolando, — gli farò confessare tutto, dall'a alla zeta, e poi dalla zeta all'a, e infine lo farò impiccare. Quando questo sarà fatto, lascerò in libertà Mastro Uvetta e gli altri stupidi come lui; da quella gente non ho niente da temere. Ecco la porta della fossa segreta. Ah ah, come me la godo a pensare a quel marmocchio. Si starà certo struggendo in lacrime. Scommetto che mi cadrà ai piedi e mi supplicherà di perdonargli. Scommetto che mi luciderà le scarpe con la lingua. E io lo lascerò fare, dandogli qualche speranza di salvezza; poi gli toglierò ogni illusione e gli comunicherò la mia sentenza: morte per impiccagione.
Quando però ebbe aperto la porta e accesa una lampadina tascabile, non trovò nessuna traccia del prigioniero.
Pomodoro non credeva ai suoi occhi. Le guardie che gli stavano vicino lo videro diventare giallo, arancione, verde, azzurro, indaco e violetto, e infine più nero di uno scarafaggio.
— Dove può essersi cacciato? Cipollino, dove ti nascondi?
La domanda era abbastanza stupida: dove avrebbe potuto nascondersi Cipollino?
Pomodoro guardò sotto il tavolaccio, guardò nella brocca dell'acqua, scrutò il soffitto, ispezionò il pavimento e le pareti centimetro quadrato per centimetro quadrato: nulla.
— Chi lo ha fatto fuggire? — tuonò il Cavaliere, rivolgendosi aIle guardie.
Ma il capo delle guardie gli fece notare:
— Signor Cavaliere, le chiavi della fossa segreta le aveva lei.
Pomodoro si grattò in testa: anche questo era vero.
Per risolvere il mistero si sedette in mezzo alla fossa, pensando:
— A stare seduti si riflette meglio che in piedi.
Ma anche in quella posizione non gli venne in mente nulla. A un tratto, poi, per colpa di qualche corrente d'aria, la porta si richiuse bruscamente: Pomodoro dentro e le guardie fuori.
— Aprite, buoni a nulla! — strillò Pomodoro.
— Eccellenza, non si può, la chiave ce l'ha lei. Pomodoro provò ad aprire: ma la serratura era fatta in maniera che ci si poteva mettere la chiave solo dall'esterno.
A trovarsi prigioniero nella sua stessa prigione, Pomodoro voleva scoppiare.
Diventò violetto, indaco, azzurro, verde, arancione e giallo e minacciò di far fucilare sui due piedi tutte le guardie se non avessero aperto la porta, tempo di contare fino a cento.
A farla corta, per aprire la prigione bisognò far saltare la porta con la dinamite. Lo scoppio mandò Pomodoro a gambe all'aria e lo ricoperse di terra da capo a piedi. Le guardie scavarono febbrilmente e alla fine tirarono fuori Pomodoro come si estrae una patata dal solco. Lo portarono fuori e lo esaminarono ben bene per vedere se c'era qualcosa di rotto.
Difatti Pomodoro si era rotto il naso. Gli misero un cerotto e il Cavaliere corse a nascondersi a letto. Si vergognava troppo a mostrarsi in giro con quel cerotto al posto del naso, in mezzo alla faccia.
Cipollino e la Talpa erano già molto lontani, ma udirono l'eco dello scoppio.
— Che sarà mai? — domandò il ragazzo.
— Oh, non si preoccupi, — lo rassicurò la Talpa, — deve trattarsi di esercitazioni militari. Il Governatore Principe Limone si crede un grande condottiero, e non ha pace se non può fare qualche guerra, magari finta.
La Talpa, continuando a scavare alacremente, non finiva mai di lare gli elogi del buio e di dire quanto odiasse la luce.
— Ricordo che una volta, — raccontava, — mi capitò di dare un'occhiata a una candela. Vi giuro che dovetti fuggire a gambe levate: non resistevo a quella vista.
— Eh, sì, — approvava Cipollino, — certe candele fanno una luce abbagliante.
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