L'Orso si prestò gentilmente a ballare per i suoi ospiti. Fu una piacevolissima serata.
Quando l'Orso salutò per andarsene a letto, Cipollino lo accompagnò per un tratto di strada. Vedete, Cipollino era fatto così: non gli piaceva tanto parlare dei suoi guai; ma ci pensava spesso, e spesso, senza mostrarlo a nessuno, provava una gran tristezza.
Quella sera, per esempio, gli era tornato in mente il suo povero babbo prigioniero e voleva sfogarsi un poco con l'Orso.
— Che cosa faranno, — diceva Cipollino, — che cosa faranno in questo momento i nostri genitori?
— Io lo so, — rispose l'Orso. — Non sono mai stato in città, ma un fringuello amico mio vola spesso da quelle parti e mi porta notizie di mio padre e di mia madre. Dice che non dormono mai, e giorno e notte sognano la libertà. Io poi non so che cosa sia, questa libertà. Preferirei che sognassero di me. Dopotutto sono loro figlio.
— La libertà significa non avere padroni, — rispose Cipollino.
— Il Governatore non è un cattivo padrone. Il fringuello mi ha riferito che mio padre e mia madre mangiano a sazietà e si divertono a veder passare la gente davanti alla loro gabbia. Il Governatore è gentile, li ha messi in un posto dove possono veder passare moltissime persone. Tuttavia essi vorrebbero tornare al bosco. Ma lo stesso fringuello mi ha detto che la cosa è impossibile, perché le gabbie sono di ferro, e le sbarre sono solidissime.
Cipollino sospirò a sua volta.
— A chi lo dici? Quando sono stato a trovare il mio babbo prigioniero ho osservato molto attentamente le sbarre: è assolutamente impossibile fuggire. Eppure ho promesso al mio babbo di liberarlo, e un giorno o l'altro, quando sarò pronto, tenterò l'impresa.
— Tu sei un ragazzo coraggioso, — fece l'Orso, — vorrei anch'io andare a liberare i miei genitori. Ma non conosco la strada della città, ed ho paura di perdermi.
— Senti, — disse Cipollino all'improvviso, — la notte è appena cominciata. Se tu mi prendi in groppa, possiamo essere in città prima dell'alba.
— Che cosa vorresti fare? — domandò l'Orso, con un leggero tremito nella voce.
— Andiamo a trovare i tuoi genitori. Mi sembrerà di andare a trovare il mio babbo.
L'Orso non se lo fece dire due volte: si chinò in modo che Cipollino potesse salirgli in groppa, e spiccò la corsa.
Cipollino gli indicava la strada:
— A destra! — diceva, oppure: — a sinistra! — Oppure: — Passiamo dietro quella casa. Attento ora, siamo alle porte della città. Il giardino zoologico è da quella parte. Cerchiamo di far piano.
Un Elefante che sragiona e una Foca chiacchierona
Il giardino zoologico era immerso nel silenzio.
Il guardiano dormiva nella stalla dell'Elefante, con la testa sulla sua proboscide. Aveva il sonno profondo e non si svegliò quando Cipollino e l'Orso bussarono discretamente alla porta della stalla.
L'Elefante scostò con delicatezza la testa del guardiano e la posò su una balla di paglia, poi senza muoversi allungò la proboscide e aprì la porta, borbottando:
— Avanti.
I nostri due amici entrarono con circospezione.
— Buona sera, signor Elefante, — disse Cipollino. — Scusi tanto se siamo venuti a disturbarla a quest'ora.
— Niente, niente, — rispose l'Elefante, — non mi ero ancora addormentato. Stavo cercando di indovinare che cosa potesse sognare il mio guardiano. Cerco sempre di indovinare i suoi sogni, mentre dorme. Dai sogni si può capire se un uomo è buono o cattivo.
L'Elefante era un vecchio filosofo indiano, e aveva sempre dei pensieri strampalati.
— Siamo ricorsi al suo aiuto, — disse Cipollino, — perché conosciamo la sua saggezza. Ci saprebbe indicare la maniera di far fuggire dallo zoo il babbo e la mamma di questo Orso mio amico?
— Sì, — borbottò l'Elefante tra le zanne, — forse saprei indicarvi questa maniera, ma poi a che prò? Nel bosco non si sta meglio che nella gabbia, e nella gabbia non si sta peggio che nel bosco. Tutto sommato, dunque, mi sembra che ognuno dovrebbe rimanere al suo posto.
— Se proprio ci tenete, però, — aggiunse subito, — vi dirò che la chiave della gabbia degli orsi è nella tasca del mio guardiano. Vedrò di prenderla senza svegliarlo. Ha il sonno duro, non sentirà.
Cipollino e l'Orso dubitavano assai che fosse possibile compiere un'operazione così difficile servendosi di una proboscide, ma l'Elefante manovrò con tanta delicatezza che il guardiano non si accorse di nulla.
— Ecco la chiave, — disse, estraendo la proboscide dalla tasca del guardiano. — Vedete di riportarmela, dopo.
— Stia tranquillo, — disse Cipollino, — e accetti intanto i nostri ringraziamenti. Lei proprio non vuole seguirci nella fuga?
— Se avessi mai avuto l'intenzione di fuggire non avrei certo aspettato che arrivaste voi due ad aiutarmi. Buona fortuna.
E riprendendo la testa del guardiano sulla proboscide, cominciò a cullarlo con dolcezza per farlo dormire più profondamente mentre i nostri due amici tentavano il colpo.
Cipollino e l'Orso sgusciarono fuori della stalla e si diressero verso la gabbia degli orsi. Non avevano fatto che pochi passi quando una voce li chiamò:
— Ehi! Ehi!
— Sst! — fece Cipollino spaventato. — Chi chiama?
— Sst! Sst! — rispose la voce in tono canzonatorio. — Chi chiama?
— Smettila di far fracasso, sveglierai il guardiano.
E la voce:
— Smettila di fare il guardiano, sveglierai il fracasso. O che stupido, — aggiunse poi, — mi sono confuso.
— E' il Pappagallo, — bisbigliò Cipollino all'Orso, — ripete tutto quello che sente. Ma siccome non capisce nulla di quello che sente e di quello che dice, così spesso gli capita di parlare a rovescio.
L'Orso volle essere gentile con il Pappagallo e gli domandò:
— Si va bene di qui per andare alla gabbia degli orsi?
Il Pappagallo ripete:
— Si va bene con gli orsi per andare in gabbia? Si va bene in gabbia per mettere gli orsi nella sabbia?

Visto che da lui non c'era da cavar nulla, i nostri due amici procedettero con cautela. Una scimmia li chiamò con un leggero fischio.
— Sentite, signori, sentite!
— Non abbiamo tempo, — rispose l'Orso, — siamo molto occupati.
— Datemi retta solo un minuto: sono due giorni che cerco di sgusciare questa nocciolina e non ci riesco. Datemi una mano.
— Quando torniamo indietro, — disse Cipollino.
— Eh, dite per dire, — fece la scimmia crollando il capo. — Anch'io del resto dicevo per dire. Non me ne importa nulla di questa nocciolina e di tutte le noccioline della terra. Vorrei essere ancora nella mia foresta a saltare qua e là tra i rami, tirando noci di cocco sulle teste degli esploratori. A che cosa servono le noci di cocco se non ci sono scimmie per tirarvele in testa? No, io mi domando a che cosa servono gli esploratori se nessuno li può prendere per bersaglio. Non ricordo quant'è che ho tirato l'ultima noce. L'esploratore aveva una testa rasata e tutta rossa che era un piacere prenderla di mira. Ricordo anche che…
Ma Cipollino e l'Orso erano già lontani e non la sentivano più.
— Le scimmie, — spiegava Cipollino all'Orso, — sono animali stupidi, che si perdono in chiacchiere. Cominciano a parlare di una cosa e non puoi mai sapere come finirà il loro discorso. Tutto sommato, però, quella poveretta mi fa una certa compassione. Perche non dorme? Forse perché non riesce a sgusciare la nocciolina? No, no, non dorme perché sogna la sua foresta lontana.
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