“Beh, come ho detto a telefono,” esordì Avery, “abbiamo parlato con Hal Bryson e ci ha detto che ha dovuto allontanarsi dal suo lavoro alla Esben Technologies. Potrebbe parlarcene?”
“Sì. Sfortunatamente stavo dedicando troppo tempo ed energie al lavoro. Ho iniziato a vederci doppio e ad avere delle cefalee a grappolo. Lavoravo ottantasei ore alla settimana per periodi che andavano dai sette agli otto mesi alla volta. Ero ossessionato dal mio lavoro.”
“Con quale aspetto del suo lavoro, di preciso?” chiese Avery.
“Ripensandoci, davvero non saprei dirglielo,” rispose lui. “Era semplicemente la consapevolezza di essere vicinissimo a creare delle temperature in laboratorio somiglianti a quelle che si sarebbero potute percepire nello spazio. Trovare dei modi per manipolare gli elementi con le temperature… c’è qualcosa di divino in ciò. Può diventare assuefacente. Non l’ho capito fino a quando non è stato troppo tardi.”
Di certo la sua ossessione per il lavoro corrisponde alla descrizione di chiunque stiamo cercando, pensò Avery. Tuttavia, dopo aver parlato con Nguyen per un totale di due minuti, era certa che Bryson avesse avuto ragione. Era impossibile che fosse stato lui.
“Su cosa stavate lavorando esattamente quando ha smesso?” gli chiese.
“È piuttosto complicato,” disse lui. “E da allora sono andato oltre. Ma essenzialmente, stavo cercando di rimuovere il calore residuo causato quando gli atomi perdono la loro velocità durante il processo di raffreddamento. Mi stavo destreggiando tra unità quantistiche di vibrazioni e fotoni. Attualmente, da quanto ne so, è stato tutto perfezionato dai nostri colleghi a Boulder, ma all’epoca stavo letteralmente impazzendo!”
“Oltre al lavoro che sta facendo per la rivista e le cose per il college, sta ancora seguendo degli studi?”
“Mi diletto qua e là,” disse lui. “Ma sono solo cose a casa. Ho un mio laboratorio privato in uno spazio in affitto qualche strada più in là, ma non è niente di serio. Vorreste vederlo?”
Avery intuì che non si trattava di un tranello o di falso entusiasmo. Nguyen era ovviamente molto appassionato del lavoro che un tempo aveva svolto. E più parlava di ciò che aveva fatto, più sprofondavano nel mondo della meccanica quantistica—un argomento a chilometri di distanza da un folle assassino che abbandonava un corpo in un fiume ghiacciato.
Avery e Ramirez si scambiarono uno sguardo, che lei concluse con un cenno del capo. “Bene, signor Nguyen,” disse, “apprezziamo molto che ci abbia dedicato il suo tempo. Mi lasci concludere con un’ultima domanda: durante il tempo passato in laboratorio, ha mai incontrato qualcuno, un collega, uno studente, chiunque, che le sia sembrato eccentrico o un po’ strano?”
Nguyen si prese qualche momento per riflettere ma poi scosse il capo. “Nessuno che mi venga in mente. Ma d’altra parte noi scienziati siamo tutti un po’ eccentrici. Ma se mi viene qualche idea, le farò sapere.”
“Grazie.”
“E se voi cambiaste idea e voleste vedere il mio laboratorio, ditemelo pure.”
Appassionato del suo lavoro e solo, pensò Avery. Accidenti… come me fino a qualche mese fa.
Lo capiva. E fu per quello che accettò con gioia il biglietto da visita di Nguyen quando lui glielo offrì davanti all’ingresso. L’uomo chiuse la porta mentre Avery e Ramirez scendevano le scale della veranda e tornavano all’auto.
“Hai capito qualcosa di quello che ha detto?” chiese Ramirez.
“Molto poco,” rispose lei.
La verità era che aveva detto una cosa in particolare che le era rimasta in testa. Non le aveva fatto pensare che Nguyen dovesse essere ulteriormente indagato, ma le aveva dato un nuovo indizio su come vedere il loro killer.
Trovare modi di manipolare gli elementi con le temperature, aveva detto Nguyen. C’è qualcosa di divino in ciò.
Forse il nostro assassino sta mettendo in piedi una specie di fantasia di divinità, pensò. E se pensa di essere un dio, potrebbe essere più pericoloso di quanto pensiamo.
Il criceto sembrava un blocco di ghiaccio peloso quando lo estrasse dal freezer. Anche al tatto sembrava un blocco di ghiaccio. Non riuscì a trattenere una risatina davanti al suono tintinnante che emise quando lo appoggiò sulla teglia da forno. Le sue zampine erano stese per aria, in netto contrasto con il modo in cui si erano agitate avanti e indietro per il panico quando lo aveva messo dentro al freezer.
Era successo tre giorni prima. Da allora, la polizia aveva scoperto il corpo della ragazza nel fiume. Lui era rimasto sorpreso di quanto si fosse mosso il cadavere. Fino a Watertown. E il nome della ragazza era Patty Dearborne. Sembrava pretenzioso. Ma accidenti se era stata bella.
Pensò pigramente a Patty Dearborne, la ragazza che aveva catturato ai confini del campus della BU, mentre passava un dito sulla pancia ghiacciata del criceto. Era stato molto nervoso, ma era stato piuttosto facile. Ovviamente non aveva avuto intenzione di ucciderla. Le cose gli erano sfuggite di mano. Ma poi… era come se tutto avesse acquistato un senso.
La bellezza poteva essere presa, ma non in una maniera mortale. Anche da morta Patty Dearborne era stata bellissima. Non appena l’aveva spogliata, aveva scoperto che la ragazza era praticamente priva di difetti. Aveva un neo in basso sulla schiena e una piccola cicatrice lungo la caviglia. Ma a parte quelli, era perfetta.
Aveva abbandonato Patty nel fiume e quando la ragazza aveva colpito l’acqua gelida, era stata già morta. Aveva guardato le notizie con grande anticipazione, chiedendosi se sarebbero stati in grado di portarla indietro… domandandosi se il ghiaccio che l’aveva avvolta in quei due giorni in qualche modo l’avesse conservata.
Ovviamente non era stato così.
Sono stato negligente, pensò, guardando il criceto. Ci vorrà del tempo, ma capirò come fare.
Sperava che il criceto facesse parte del processo. Con lo sguardo ancora fisso sul piccolo corpicino ghiacciato, prese due cuscini termici dal bancone della cucina. Erano il genere di attrezzatura usata dagli atleti per riscaldare i muscoli e promuovere il rilassamento in uno stiramento. Ne mise uno sotto il corpo e l’altro sulle sue rigide zampette e sul posteriore gelato.
Era sicuro che gli sarebbe servito un po’ di tempo. Ne aveva molto a disposizione… non aveva alcuna fretta. Stava cercando di ingannare la morte e sapeva che non sarebbe andata da nessuna parte.
Con quel pensiero in mente, riempì l’appartamento con una stridula risata da strega. Dopo un’ultima occhiata al criceto, andò in camera da letto. Era piuttosto ordinata, così come il bagno adiacente. Vi entrò e si lavò le mani con l’efficienza di un chirurgo. Poi si guardò allo specchio e fissò il proprio volto—un volto che a volte riteneva quello di un mostro.
C’era un danno irreparabile sul lato sinistro della sua faccia. Iniziava appena sotto l’occhio e continuava fino al labbro inferiore. Anche se la maggior parte della pelle e dei tessuti era stata salvata durante la sua giovinezza, su quel lato del volto c’era una cicatrice permanente e uno scolorimento. Oltretutto la sua bocca sembrava permanentemente paralizzata in una smorfia.
All’età di trentanove anni, aveva smesso di preoccuparsi di quanto fosse sgradevole alla vista. Era quello che era. Una pessima madre aveva provocato quell’orrore sfigurato. Ma andava bene lo stesso… si stava impegnando per aggiustarlo. Guardò il riflesso storpio allo specchio e sorrise. Avrebbero potuto volerci anni per capirlo, ma andava bene.
“I criceti costano cinque dollari l’uno,” disse al bagno vuoto. “E ci sono moltissime di quelle belle studentesse del college.”
Aveva svolto delle ricerche, principalmente in forum per infermieri e studenti di medicina. Supponeva che se voleva che l’esperimento con il criceto avesse successo, i cuscini termici sarebbero dovuti rimanere al loro posto per circa quaranta minuti. Doveva riscaldarsi lentamente, in modo da non turbare o sboccare il cuore congelato.
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