Goran Segedinac - Le Mura Di Tarnek

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Sta succedendo qualcosa nella città di Tarnek. I kasi, popolo un tempo immortale, dedito alla religione e al benessere, devono affrontare un terrore primordiale e un’inconcepibile paura della morte. Le leggende si sono risvegliate e, mentre il mondo per come lo conoscevano va lentamente a pezzi, essi devono sconfiggere i dogmi e accettare la verità sulle proprie origini e sul proprio destino.
Sta succedendo qualcosa nella città di Tarnek. I kasi, popolo un tempo immortale, dedito alla religione e al benessere, devono affrontare un terrore primordiale e un’inconcepibile paura della morte. Le leggende si sono risvegliate e, mentre il mondo per come lo conoscevano va lentamente a pezzi, essi devono sconfiggere i dogmi e accettare la verità sulle proprie origini e sul proprio destino. 
Hanno venerato per secoli falsi dèi? Quali forze demoniache hanno creato l’illusione in cui hanno vissuto? Esiste un modo per ricostruire la civiltà e salvarsi dalla dannazione? Sono solo alcune delle domande a cui i protagonisti dovranno trovare una risposta per evitare conseguenze incommensurabili.
“Le mura di Tarnek” è stato inserito nell’elenco dei cinque migliori manoscritti del 2016 al concorso letterario per la prima opera letteraria “Vrata Knjige” dell’editore Portalibris. 
Strillo di Dragoljub Igrošanac, editore di Art-Anima: 
“Le mura di Tarnek” è un romanzo fantasy che ruota intorno alla politica spietata e alle lotte di classe e di religione all’interno delle mura dell’isolata città di Tarnek, i cui abitanti immortali si ritrovano per la prima volta ad affrontare il rischio di un trapasso violento o naturale. Tradimenti, cospirazioni, intrighi, crimine, corruzione, alleanze forzate, terrorismo e altre piaghe sono tratteggiati in modo estremamente convincente e calate nella vita reale di un sistema cittadino chiuso su sé stesso. L’opera prima di un autore noto per i suoi risultati nell'ambito del racconto fantastico ci racconta la storia dinamica e immaginifica di eroi che affrontano immensi ostacoli, sfide e circostanze impreviste, le cui decisioni e mutamenti richiamano molti personaggi dell’odierna vita pubblica e politica. Quest’opera immerge la fiction nel mondo contemporaneo, ma anche nel suo criticismo freddo e spietato.

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Certo, non si tratta di un unico problema.

Soltanto un kas stupido lo avrebbe presupposto. Se tutto era diventato evidente con la carenza di balsamo, ciò non significava necessariamente che fosse quello l’unico focolaio. Che cosa mai aveva portato al crollo definitivo della produzione? Per quale motivo le elargizioni dall’Anello Esterno si stavano praticamente estinguendo? Come mai quel suolo per secoli fertile era d’improvviso diventato sterile? E perché in nome di tutto il Consiglio Cittadino non si esprimeva a riguardo? Possibile che il Reggente non contattasse la Gilda dei Veggenti? Sarius era presente quando alla riunione annuale Tenej il Gioioso aveva chiesto al Santo Fratello Kalej la posizione ufficiale della Chiesa su tale questione. Sconsiderato nell’affrontare l’argomento, aveva gettato l’ombra del dubbio sul Sommo Sacerdote e sul suo impegno nella più alta struttura del potere. Fu ammonito all’istante. Sarius lo compativa, profondamente convinto che le sue intenzioni non fossero cattive. Un predicatore tanto rispettato, abbastanza da essere condannato alla rovina. Tuttavia, la decisione doveva essere rispettata, e in un certo senso poteva capirne i retroscena. I tempi erano tali da non permettere dubbi sulla forza e la correttezza dell’autorità, soprattutto negli ordini ufficiali.

Eternorisorto, dacci la forza per superare tutta questa follia.

Camminava a rilento attraverso un fiume di kasi. Li guardava in volto, e sembrava che fosse l’unico a farlo. Si spingevano e cadevano, strillavano e s’insultavano. Gli sembrò che a qualche metro da lui fosse scoppiata una lite ma non poteva esserne sicuro per il gran chiasso.

Un tempo non vi erano risse.

Strinse forte l’involto sul petto pensando al proprio compito. Quelli che oggi avevano bisogno di lui non si trovavano tra la folla. Si diresse verso il monumento alle stelle ed entrò nel Viale della Luna. La spazzatura non incenerita era ammucchiata attorno a una fontana inaridita. Una filigranetta ricoperta di polvere ne beccava inutilmente l’arida sommità. Gli uccelli sono creature fragili e hanno bisogno di acqua. In tempi più felici le fontane cittadine lavoravano solo per loro, e loro mostravano la propria gratitudine col canto. Da tempo non li vedeva più in stormi.

Sei rimasto solo, piccolo. Qui non placherai la tua sete.

Prese a destra all’incrocio successivo, e si fermò davanti a una baracca mezza crollata. Era solo una tra le tante in città che offrivano rifugio agli emarginati. Come se volesse assicurarsi di essere nel posto giusto, fissò attentamente la porta cadente prima di imboccarla e procedere all’interno.

“Che l’Eternorisorto vi porti la pace”, annunciò la propria presenza. In tutta risposta, qualcuno gemette. Rimase fermo sul posto per qualche istante, finché i suoi occhi non si abituarono all’oscurità. Poi, con un movimento che mostrava la sicurezza di quanto cercava, smosse il mucchio di stracci che si trovava vicino ai suoi piedi.

Era messa peggio del giorno prima, la cancrena si era diffusa più in fretta di quanto potesse immaginare. Era partita dal petto, ma come un fiore si era diffusa nell’intero torace e aveva preso tutti gli arti e parte del viso. Solo gli occhi potevano ancora muoversi, e lasciavano trapelare una tristezza infinita. Sta per morire , pensò, se la sposto andrà in pezzi . Coprì la poveretta, consapevole che ungerla sarebbe stato solo uno spreco della preziosa risorsa. Per lei non poteva più fare niente. Le chiuse gli occhi.

Sarto dei sogni, accorcia la pena della tua serva fedele e guidala verso il riposo eterno.

I due malati successivi non erano messi tanto meglio, e Sarius prese la difficile decisione di non ungerli col balsamo. La misericordia era una cosa, ma un inutile spreco di quel prezioso unguento su corpi immobili in cui si stava irrimediabilmente spegnendo la vita era tutt’altra cosa. Sperava che anche la loro coscienza fosse ormai andata, che gli infelici non fossero coscienti di cosa li aveva colpiti. Il corpo era la cosa più sacra per ogni kas, e la sua conservazione il primo dei propri doveri. Essere negligente nei confronti del proprio corpo o annientare quelli altrui erano peccati al di sopra di ogni peccato. Qualcosa per cui non vi era perdono.

Solo che loro non sono responsabili della propria rovina.

La morte cancrenosa, un’epidemia che devastava i tessuti, era diventata realtà. Il balsamo, un bene dato per scontato di cui la Gilda riforniva la città, e la ghiera che teneva insieme la società, era diventato un lusso. La sua scomparsa definitiva era ancora ben lontana, ma persino quei fortunati che continuavano a ricevere la razione regolare erano preoccupati per la sua efficacia. Le conseguenze di tale situazione giacevano di fronte a Sarius. L’unico kas ancora capace di muoversi, accanto a cui si era accovacciato, alzò con gran pena la testa e si appoggiò al muro.

“Come stai oggi, Kalon?”, domandò Sarius con dolcezza.

“Meglio, predicatore. Ero convinto di poter fare una bella corsetta, ma le gambe mi hanno stranamente tradito”. La gola di Kalon emise un suono stridente, un misero tentativo di risata. Sarius era stupito dalla combattività del suo spirito.

“Fammi vedere”. Sollevò la coperta sporca temendo ciò che avrebbe trovato. La situazione era tutt’altro che buona. La gamba destra sembrava quasi non appartenergli più, giusto un paio di strisce di pelle secca la teneva attaccata al resto del corpo. Delle bolle di un azzurro sbiadito non lasciavano spazio alla speranza che l’altra potesse sfuggire al destino della sua vicina.

“Sembra un po’ meglio”, mentì senza pensarci troppo su.

“Sembra, niente più”, rispose il malato. “Se si potesse ancora curare la cancrena, le probabilità di guarigione sarebbero ben più alte”.

Sarius avvampò per la vergogna. “Volevo dire che l’abbiamo un po’ rallentata”.

“Lo so, predicatore. Voi siete un buon kas, le vostre intenzioni sono pure. Una rarità, al giorno d’oggi”.

“Sono solo un servitore dell’Eternorisorto, il merito è suo”, rispose, slacciando il telo cerato che copriva l’involto. L’unguento diluito iniziò a gocciolare, e lui lo carpì velocemente con le dita e iniziò a sfregarlo sul punto dolente.

“L’Eternorisorto… avete ancora le forze per credere in lui?”.

Stupito dalla domanda, Sarius lo fissò. Prima che riuscisse a formulare una risposta, Kalon continuò.

“Stanotte ho pensato di strisciare fino a quei poveretti e di porre fine alle loro sofferenze. Sarebbe bastato tuffare le mani nella carne incancrenita e li avrei fatti a pezzi”.

“Perché dovresti voler fare una cosa del genere? Non ti hanno fatto nulla di male”, ribatté Sarius.

“Farmi del male?”, sorrise Kalon. “Oh, non mi hanno fatto nulla. Né a me, né a Dio. Eppure, lui li ha premiati con una morte lenta. Penso che avrebbero di gran lunga preferito il mio dono”.

“Uccidere un corpo è il più grave dei delitti”.

“Ma lui li uccide comunque. Perché?”.

“Abbiamo tutti un destino, ci svegliamo con esso, lo viviamo e alla fine ci avviamo verso il riposo. Al di là del destino, però, esistono circostanze che in esso si possono manifestare in modo diverso. La morte cancrenosa è solo una di esse. Quando ci sono favorevoli, le chiamiamo fortune. Quando non lo sono, ci arrabbiamo con Dio e diciamo che è ingiusto”.

“Le circostanze giustificano le mie intenzioni. Non sarebbe forse sensato abbreviare la loro sofferenza? I corpi non sentiranno l’invito nella Torre di Cristallo”. Kalon non si arrendeva.

Anche se era perfettamente consapevole di parlare con un morente, Sarius decise di essere sincero.

“Forse sembra sensato a te e a quelli che ti somigliano”, iniziò. “Al momento, non per tua colpa, la portata di ciò che ti turba si trova tra le mura questa stanza. Non è neanche più una malattia, perché è diventata parte di voi. Questa è la morte, Kalon, e tu per questo pensi che il culto del corpo non abbia senso. Quel che mi preoccupa, al di là dello spazio che al momento condividiamo, è quanto succede agli altri kasi che si trovano nella mia circoscrizione, e al di fuori di essa. Sono queste le mie mura. Tra di esse risiedono le mie speranze per un domani migliore, e per questo m’importano. Ora immagina una coscienza i cui confini non esistono, una cui singola scelta sbagliata possa sconvolgere l’ordine perfetto in cui anche noi siamo stati creati, immagina le sue mura e le sue speranze, poi dimmi – abbiamo il diritto di innalzarci al suo stesso livello?”.

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