Il suono uniforme dei loro passi fu infine interrotto da Tesos. “Qui”, disse, e fece un cenno con la mano verso una casa a un piano tutta fatiscente che si ergeva in un angolo. Non si distingueva affatto dall’ambiente circostante se non per il fatto che, a differenza degli edifici vicini, non aveva una porta. Un tappeto spesso, quasi marcito sui bordi per l’umidità e la sporcizia, svolgeva tale funzione. Il luogo dell’incontro non aveva nulla di diverso rispetto ai numerosi nascondigli per i senzatetto che in città si contavano a centinaia. Era un posto scelto con assennatezza.
“Bene. Tutto procede secondo gli accordi, dunque. Ti aspettiamo”, tagliò corto Gort.
Senza esitare nemmeno un istante, Tesos abbassò la testa ed entrò.
Un corridoio insolitamente stretto, simile piuttosto a un tunnel, conduceva allo spazio quasi vuoto che componeva l’interno. Al centro della stanza si trovava un tavolo di legno, e quello era l’intero inventario. Di lì sorrideva un volto conosciuto.
“Sei arrivato”. Il Verde gli indicò con la mano una sedia vuota che lo stava aspettando.
“Verde”, disse Tesos in segno di saluto.
“Così mi chiamano”, rispose quello, e passò la mano tra i lunghi capelli dello stesso colore del suo soprannome. Aveva molti nomi, e nemmeno l’Ordine possedeva dati affidabili. La cosa non rappresentava un problema. Se hai bisogno del Verde, sarà lui a trovarti. Delinquente esperto, piccolo o pericoloso criminale, era quasi impossibile attribuirgli persino quei misfatti la cui paternità era senz’ombra di dubbio sua.
Tesos si sedette. La luce dell’unica candela accesa non sarà stata proprio una torcia, ma bastava, in combinazione con il suo udito sopraffino e l’esperienza pluriennale, perché lui avvertisse la presenza di qualcun altro.
“Come vanno le cose nell’Ordine ultimamente? Ci difendete sempre dal male?”. Negli ultimi tempi l’ironia era divenuta il tratto caratteristico di ogni criminale, e la cosa lo innervosiva. La crisi aveva indebolito la fiducia nella legge, e permesso alle comuni nullità di sentirsi superiori al sistema.
“Noi sterminiamo i criminali, se ti serve protezione dal male, rivolgiti alla Chiesa”.
Il Verde sorrise. “Mi piaci quando sei così tagliente. Pensavo che un criminale fosse necessariamente malvagio, ma ecco, con voi s’impara ogni giorno qualcosa di nuovo”.
“Non sono venuto qua per filosofeggiare”.
“Oh…”, la sua finta sorpresa era quasi credibile. “Accetta le mie scuse. Dimmi dunque, perché sei dove sei?”.
In tutta risposta, Tesos appoggiò il pesante tubo sul tavolo. Senza attendere la reazione dell’interlocutore, ne toccò la punta arrotondata, quindi la premette e fece un movimento semicircolare con la mano intorno alla nuda sommità. Il flebile rumore di un meccanismo squarciò l’oscurità. Palpò con le dita la giuntura, l’estremità opposta all’impugnatura saltò, si aprì, e rovesciò sul tavolo il suo contenuto, finora invisibile. Uno strano congegno simile a una grande mano di ferro giaceva contratto davanti a loro, legato al suo precedente nascondiglio da un cappio forte e sottile che Tesos strappò con un solo tiro, per poi gettare il contenitore a terra.
“Un pesce piccolo del sistema giudiziario ha deciso di vendere il suo prezioso trinciante”, commentò il Verde con un sorriso beffardo. “A essere sincero, mi aspettavo merce contraffatta”.
“Verme. Sapevi benissimo cosa stavo portando”.
“Sono solo realista, non mi sembra un delitto. O almeno non lo era l’ultima volta che ho ascoltato la legge. Inoltre, se ricordo bene, penso che il commercio di qualsiasi arma, figuriamoci dei celebri trincianti, sia severamente vietato. Almeno, un tempo lo era. Forse le cose sono cambiate”.
“Non provare a darmi lezioni”.
“Non ci penso neanche”, rispose il verde. “Dimmi, allora. Cosa ti porta a offrirmi questo?”.
“Non ho intenzione di discutere con te delle mie ragioni”.
“Quanta arroganza! Che cosa triste”. Sembrava che questa volta il Verde avesse riflettuto seriamente prima di parlare. “Faccio questo lavoro da oltre trent’anni. Spesso il prezzo che chiediamo dice più della stessa roba che offriamo. Ci parla delle nostre condizioni, del ceto, delle necessità e circostanze in cui ci troviamo. Se t’interessa, posso illustrarti le tipologie di mercante che preferisco”.
“Probabilmente chiunque riesci a spellare. Quelli della cui sfortuna puoi approfittare per bene”, tagliò corto Tesos.
Il Verde agitò la mano in aria.
“Non lo nego. Ma questo è lavoro, e tu non capisci proprio. Quel che io capisco perfettamente in tutta questa storia è che per l’arma più costosa del sottosuolo di Tarnek non mi hai chiesto né gioielli né vestiti”.
“Ti ho chiesto del balsamo”.
“Esatto. Se le colonne della società, gli onorevoli membri dell’Ordine, custodi dell’ordine pubblico e della legge, tradiscono i propri principi per ottenere del balsamo, allora posso concludere che ce la passiamo davvero brutta”. La sua voce assunse di nuovo un tono particolare. “Non mi fai fesso, quand’è stata l’ultima volta che te lo sei spalmato?”.
La domanda era straordinariamente maleducata, e Tesos si trattenne a fatica dal prenderlo per il collo. Come se quanto stava facendo non fosse già di per sé un’umiliazione sufficiente, gli toccava pure sopportare le offese della peggior feccia. Un tempo a elementi del genere avrebbe legato mani e piedi e li avrebbe gettati nelle Tenebre. Il Verde, un maestro del suo mestiere, si accorse del cambiamento sul volto dell’interlocutore. Non era una cosa difficile quando si aveva a che fare con Tesos. Nelle zone in cui prestava servizio si era sparsa molto in fretta la voce dei suoi scatti d’umore.
“Non prendertela, si scherza. Non vorrai mica mandare in rovina una trattativa così importante?”.
Ci vollero alcuni momenti perché si calmasse e gli rispondesse.
“Il tuo kas ha detto che mi avresti pagato bene per questo pezzo”.
“La cosa è relativa, dipende dai punti di vista. Quello che per te è un buon prezzo, per me può essere una minuzia insignificante. E viceversa”.
“Una riserva annuale di balsamo. Di prima scelta, uso quotidiano”.
Il Verde allargò i suoi denti neri in un tentativo di sorriso.
“Piano. Non ti stai un po’ sopravvalutando?”.
“Sai bene quel che ti offro. Non fare il finto tonto. Il sogno di ogni rinnegato di Tarnek è mettere le mani su una bellezza del genere. Un movimento del dito e apre il petto di un avversario. Fa un foro abbastanza grande da passarci attraverso”.
“Mi darebbe fastidio rimetterci la testa”.
“Come ti pare. Non è roba facile da reperire sul mercato nero”.
“I tuoi colleghi fanno offerte più vantaggiose. E sono anche più cortesi. Dicono che presto non ne avranno più bisogno. Sostengono che presto arriverà la salvezza dall’altra parte delle mura, e li guiderà nella luce futura. Forse si sono fatti irretire dalle storie dei santoni”.
Il Verde si comportava come se non sapesse con chi parlava. Anche se l’eresia fosse sbocciata, nessun abitante di Kazis avrebbe potuto lasciare la città in cui si era risvegliato. Quel privilegio inglorioso era riservato solo ai peggiori delinquenti, e li aveva sempre portati a morte certa. Creature terrificanti si aggiravano per i Territori. Anche se in teoria sarebbe stato possibile raggiungere le mura di qualche altra città di Kazis, non vi era speranza di ricevere il permesso di entrare. È lì dove ti sei risvegliato che ti addormenterai, e così andrà avanti in eterno. Vi erano confini precisi, invalicabili tra quel che rimane dentro e quel che abita fuori, e se qualcuno avesse provato a infrangere questa regola, il Custode se ne sarebbe occupato e lo avrebbe trascinato nel nulla. Solo i Reggenti e i Sommi Sacerdoti potevano comunicare tra loro, ed era una l’unico legame che testimoniava l’esistenza di un ordine dall’altra parte del muro. Perché quindi mentire in modo tanto stupido? Che cosa pensava di ottenere? Il suo padrone di casa era ovviamente soddisfatto dall’assenza di reazioni.
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