UNA LINEA SOTTILE
Di Fabio Santoro e Oreste Maria Petrillo
Copertina di Matteo Venturi (www.epubsolution.com)
“L'avvocato deve sapere in modo così discreto
suggerire al giudice gli argomenti per dargli ragione,
da lasciarlo nella convinzione di averli trovati da sé.”
Piero Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, 1935
Prologo
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Guardò ripetutamente lo schermo bianco del suo laptop. Sperava che tra gli spazi bianchi del messaggio appena ricevuto ci fosse scritto dell’altro. Qualcosa che desse un significato diverso alle parole che gli stavano agghiacciando il cuore. Il dottor Francisco Alvarado era un uomo di scienza. Pragmatico, conciso.
Ai problemi cercava soluzioni, non scuse. Nella sua vita non c’era spazio per i “se” ma solo per i “come”.
Almeno questo era ciò che aveva sempre creduto. In quel momento, solo allora, si accorse di quanto si sbagliava. Realizzò come, anche un uomo come lui, potesse scoprirsi incredibilmente fragile superata la soglia di un limite quasi invisibile.
Quella soglia oltre la quale si distruggono vite e si cambiano esistenze. Un confine che non voleva più superare.
Si appoggiò allo schienale della poltrona, nell’enorme soggiorno quasi interamente arredato con mobili in legno di noce. Si prese il volto tra le mani ed emise due profondi sospiri. Era stanco. Stanco dei compromessi e dell’ipocrisia.
Gli ultimi giorni erano stati, per certi versi, i peggiori e, al contempo, i migliori della sua vita. Avevano tirato fuori una parte di lui che aveva completamente rimosso: la paura.
Si alzò e puntò dritto all’armadietto dei liquori. Aveva bisogno di qualcosa di forte. Si versò una generosa dose di whisky invecchiato diciott’anni e tornò alla sua poltrona ancora con mille domande che bersagliavano la sua mente come schegge all’impazzata.
Doveva riflettere ancora. Era bravo in quello.
Lasciò scivolare il liquido ambrato dentro la gola tutto d’un fiato proprio mentre la sua casella di posta elettronica gli segnalava l’arrivo di un altro messaggio. Appoggiò il bicchiere sul tavolo con un tonfo sordo e agguantò il mouse per controllare il mittente.
Di nuovo lui.
La punta di angoscia che lo tormentava ruppe gli argini e scavò un abisso nel suo petto.
Da persona razionale scelse di aprire il messaggio anche se avrebbe avuto un disperato desiderio di non farlo.
Si pentì immediatamente di non avere assecondato il suo istinto.
Le palpebre si sbarrarono per parecchi secondi e il respiro gli morì in gola.
<>, disse in un soffio silenzioso che si perse tra le pareti della stanza.
<>.
Capitolo 1 Capitolo 1
Fabrizio Tancredi
Capitolo 2
Riccardo Ferrari
Capitolo 3
Il caso
Capitolo 4
Un nuovo cliente
Capitolo 5
Lo straniero
Capitolo 6
Il ritorno
Capitolo 7
Faccia a faccia
Capitolo 8
La spia
Capitolo 9
Il bluff
Capitolo 10
A casa di Alvarado:
l’ interrogatorio
Capitolo 11
Nell’altra stanza
Capitolo 12
L’imprevisto
Capitolo 13
Una lunga notte
Capitolo 14
Alla Salus
Capitolo 15
Chiamata da Londra
Capitolo 16
L’accordo
Capitolo 17
Qualcosa è cambiato
Capitolo 18
Il consiglio di amministrazione
Capitolo 19
La visita
Capitolo 20
Al deposito
Capitolo 21
Quello che resta
Capitolo 22
Il nipote
Capitolo 23
Poggioreale
Capitolo 24
L’accusa
Capitolo 25
Dettagli
Capitolo 26
Tutta la verità
Capitolo 27
La donna amata
Capitolo 28
Cercare in famiglia
Capitolo 29
L’altro nome
Capitolo 30
Insieme!
Capitolo 31
La difesa
Capitolo 32
Il processo
Capitolo 33
Quelli che contano
Capitolo 34
Alla barra
Capitolo 35
Arriva la scientifica
Capitolo 36
Puntare il dito
Capitolo 37
La traccia
Capitolo 38
Il collega
Capitolo 39
La parola alla difesa
Capitolo 40
Il movente
Capitolo 41
La teste
Capitolo 42
Sella
Capitolo 43
Senza macchia
Capitolo 44
Il nuovo testimone
Capitolo 45
Fare coraggio
Capitolo 46
L’ arringa
Capitolo 47
…e due
Capitolo 48
…e tre
Capitolo 49
Pensare al futuro
Capitolo 50
La sentenza
Capitolo 51
Libero!
Capitolo 52
L’ultimo filo
Capitolo 53
La verità
Capitolo 54
…tutta la verità
Capitolo 1
Fabrizio Tancredi
Vincitori e perdenti.
Cacciatori e prede.
Ecco di cos’è fatta un’aula di tribunale.
Ecco di cos’è fatto il mio mondo.
Un mondo dove tra la prima e la seconda categoria aleggia una linea sottile.
Una realtà dove un soffio di vento può fartela varcare.
Da tempo ho capito qual è il lato giusto della linea nel quale stare.
Io sono un vincente.
La mia non è inutile arroganza ma una semplice constatazione. Ogni uomo, in fondo, non fa altro che seguire gli istinti della propria natura.
E io sono nato per cacciare. Sono nato per vincere.
E c’è una ragione per la quale, nella maggior parte dei casi, riesco a non varcare quel confine. Sono bravo a calcolare il vento.
Nei miei trent’anni di vita ho dovuto lavorare come uno schiavo per imparare tutto ciò che un avvocato ha bisogno di sapere per emergere. Ma per essere il migliore ho dovuto sviluppare una dote che nessun libro può trasmettere e che nessun maestro può insegnare: il fiuto animale. Una affinità per i cambiamenti di rotta che all’interno di un palazzo di giustizia può salvare il culo più spesso di quanto si immagini. Lo stesso fiuto che mi ha fatto percepire una esitazione di troppo, una piccolissima pausa che ha messo in moto una congettura poi rivelatasi esatta. Lo stesso fiuto che stamattina mi ha fatto recapitare una sentenza che profuma di vittoria. Carenza dei requisiti di legittimazione.
Un modo squisitamente giuridico per dire che hai buttato nel cesso cinque anni di cause legali e ventimila sterline di spese legali, cui si aggiungeranno altre diecimila che la società difesa dallo studio per cui lavoro, sarà ben felice di versare per averle evitato un risarcimento di qualche milione.
Al volo riassetto il nodo della cravatta grigia che cala immacolata su un vestito di pura seta, mentre entro dalle porte trasparenti della Smithson Partnership e punto dritto agli ascensori che ormai cavalco da cinque anni. Detesto le cravatte ma ogni mondo ha le sue etichette, ogni vita ha qualche compromesso e, in tutta onestà, quello delle cravatte è, forse, il meno gravoso cui accondiscendere.
Tre minuti e sedici piani dopo sono nel corridoio esterno a fissare la sorridente segretaria dello studio. Uno schianto dai capelli castani e occhi marroni assunta la scorsa settimana alla quale ancora non sono riuscito a chiedere il nome. C’è qualcosa di carico, di solare in quel sorriso. Il radioso raggiare di una ragazza che ha vissuto quest’ambiente troppo poco tempo. Forse è proprio questo che mi piace di lei. Mi riprometto di invitarla a bere qualcosa se mai ci sarà tempo e luogo. Mentre le passo davanti mi fa un brevissimo cenno della mano per catturare la mia attenzione.
<>
Lupus in fabula.
<> per un attimo mi illudo le sia sfuggita la pausa appena accennata che sottintende il “come cavolo ti chiami?”
<<...Sofia, mi chiamo Sofia avvocato>>.
“Giusto, Sofia”.
<>.
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