Oreste Maria Petrillo - Una Linea Sottile

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Legal Thriller incentrato su due avvocati che lavorano ai lati opposti della Manica e i cui destini risultano mortalmente intrecciati.
Un brevetto farmaceutico del valore di miliardi , un uomo barbaramente ucciso e un processo per omicidio che si profila quasi impossibile. Sono questi gli elementi intorno cui ruota la vita di due giovani avvocati. Due storie di uomini che provengono da due realtà contrapposte che si intersecano in un gioco di ombre e specchi. Dove denaro e vendetta tracciano il confine oltre cui i nemici diventano alleati e dove non esistono certezze ma solo dubbi e sospetti. Una linea sottile che divide esistenze normali da vite distrutte dalla paura e spetterà ad una coppia di avversari ai due lati della barricata legale ergersi al di sopra di un intrigo internazionale che potrebbe mettere a rischio le loro professioni e, forse, la loro stessa vita... Un legal thriller emozionante sin dalla prima pagina.

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L’appuntamento con l’avvocato della Salus è stato fissato qui per mia fortuna così ho tutto il tempo per salire sopra e cambiarmi.

La suite è magnifica e talmente tirata a lucido che potrei specchiarmi nelle pareti. Non ho molto tempo prima del meeting, quindi mi fiondo sotto la doccia e tiro fuori dal bagaglio il mio magnifico doppiopetto Anderson e Shepard comprato alla Savile Row di Londra. Non sono particolarmente amante delle cravatte, ma d’altro canto adoro la buona sartoria. Qualcuno potrebbe pensare che sono un egocentrico vanitoso. Quel qualcuno avrebbe ragione. Non esito ad annodarmi compiaciuto una bellissima “Marinella’’ rosso aragosta, un piccolo piacevole ricordo che porto da Napoli in giro per il mondo.

Laccato di tutto punto, raccolgo la mia ventiquattr’ore e prendo l’ascensore fino alla Hall. Nell’immenso salone ci sono svariati uomini che spaziano in lungo e in largo. Ognuno di loro potrebbe essere Ferrari. A passo lungo mi avvio alla receptionist per chiedere se un certo Riccardo Ferrari si è fatto vivo. La ragazza allunga una mano in direzione delle poltrone vicine all’ingresso e precisamente verso l’unica persona seduta. Lo sconosciuto si accorge che lo sto fissando e si alza.

Ha una forma imponente e uno sguardo deciso. Da questa distanza non posso esserne sicuro, ma da come gli cade addosso il vestito, avverto che ha un bicipite grosso come la mia testa e anche il resto del corpo pare seguire lo stesso repertorio.

È decisamente diverso da come me l’aspettavo. Credevo che avrei avuto a che fare con il solito ometto sudaticcio di mezz’età con l’aria da usuraio, un bel po’ di trippa sulla pancia e pochi capelli in testa. Questo qui mi sembra piuttosto il clone di un guerriero spartano con lancia e mantello.

Speravo di affrontare il Pinguino invece mi trovo davanti Batman.

È anche piuttosto sicuro di sé dall’aria che sfodera.

È venuto per la guerra.

Muove qualche passo e mi si fa incontro con un mezzo sorriso per stringermi la mano. Ricambio accondiscendente.

E guerra sia.

Le mani rimasero strette per alcuni secondi. Nessuno dei due mosse lo sguardo dagli occhi dell’altro. Abbassare lo sguardo prima dell’altro avrebbe mostrato una debolezza che un abile professionista avrebbe potuto sfruttare nelle future mosse. Questo duello occhi negli occhi fu interrotto dalla receptionist che li indirizzò nella sala riunioni prenotata dalla Smithson.

Senza emettere un fiato si accomodarono entrambi alla scrivania ovale in legno d’acero l’uno di fronte all’altro mentre la porta alle loro spalle veniva chiusa delicatamente. Ferrari emerse da quel silenzio carico di tensione e fece un cenno della mano verso un piccolo banco su cui stazionavano bibite e snack leggeri.

<> .

Tancredi passò lievemente una mano sulla cravatta di seta che scivolava magnificamente sul doppiopetto con un sorrisetto: <>

<>, disse Ferrari alzando il bricco del caffè per versarsi una generosa dose di caffeina.

<>.

<>.

Tancredi allungò una mano verso la ventiquattro ore e ne tirò fuori un voluminoso fascicoletto che posò alla sinistra del tavolo mentre Ferrari finiva il suo caffè.

<>.

Tancredi alzò lievemente le sopracciglia <>

<>, disse Ferrari con la granitica certezza che quello che Tancredi aveva tirato fuori dalla valigetta fosse solo un mucchio di carta.

Tancredi accavallò le gambe congiungendo le mani. <>.

Ferrari tirò indietro la testa e scoppiò in una fragorosa risata.

<>, Ferrari si alzò in tutta la sua massiccia statura e lento, raccolse la sua giacca. <>, disse avviandosi verso la porta.

<>, disse Tancredi con assoluta tranquillità.

Ferrari si bloccò mano sul pomello.

<>.

Ferrari lasciò andare la maniglia e si girò di nuovo verso il tavolo delle trattative.

<>, rispose Ferrari con aria di sfida.

<>, frecciò Tancredi.

Riccardo, spinto più dalla curiosità che dall’aperta sfacciataggine del suo avversario tornò a sedere.

<>.

Due secondi dopo, carte alla mano, emise un sibilo.

<>, domandò Tancredi.

<>, replicò Ferrari. Riccardo aveva appena posato gli occhi sull’intero trial clinico operato dalla Salus sotto la direzione di Alvarado. Documenti che, a rigor di logica, avrebbero dovuto essere secretati dall’ufficio amministrativo.

<>. Dall’incartamento tirò fuori un foglio matricolato dalla Dreddson e Co. e lo fece ciondolare davanti al suo ospite.

Ferrari afferrò di getto il pezzo di carta. <>, esclamò Ferrari. <>.

Tancredi alzò vagamente le spalle. <>, rispose, <>.

Ferrari era arrabbiato per l’imprevisto, ma evitò di perdere lucidità.

<>.

<>, rispose Tancredi.

<>, continuò Ferrari.

<>.

<>.

<>.

<>, disse Ferrari agguantando di nuovo il bricco e colmando la sua tazza vuota.

<>, asserì Tancredi.

A Ferrari poco mancò per rovesciare il caffè sul tavolo.

<>.

Tancredi era visibilmente stufo della spacconeria di Ferrari e si appoggiò gomiti al tavolo guardandolo fisso negli occhi.

<>. Tancredi raccolse in fretta i fogli e si alzò dal tavolo diretto alla porta.

Ferrari pensò avesse finito ma sulla soglia Tancredi, come per un ripensamento si girò.

<>.

Senza aggiungere altro si voltò e uscì.

Capitolo 7

Faccia a faccia

(Ferrari)

Immaginate di vivere fuori città, in un piccolo quartiere dove non c'è molto da fare. Quando nasci in una periferia malfamata la tua vita è condizionata da due scelte: o diventi un delinquente o un poliziotto. Io ho deciso di diventare un avvocato penalista. Non è stata una scelta dettata dal fatto che sono figlio di due avvocati. Bensì, la scelta è nata da fattori impulsivi. Ho sempre amato le storie di avvocati di successo, desideravo e immaginavo di diventare da grande un grosso avvocato newyorchese, un avvocato conosciuto soprattutto per la sua retorica e per la lotta a favore dei più deboli. Un gentile e ricco avvocato vincitore di innumerevoli class action.

Durante gli anni universitari alternavo a letture di testi universitari di diritto, tantissimi legal thriller di qualsiasi autore mi capitasse a tiro. Mi davano la carica per non arrendermi alle difficoltà della materia e mi facevano sognare. Meraviglia delle meraviglie, sembrava che avessi attratto quel mondo. Ora ero un protagonista di un legal thriller.

Fu così che il giorno dopo l'incontro scontro con Tancredi dovetti informare i miei clienti dell'accaduto per lavorare sul da farsi.

Anche se è sabato mattina devo informare Saveri e tutto il Consiglio di Amministrazione. Abbiamo poco tempo e dobbiamo decidere il piano di attacco. Fino ad ora abbiamo giocato in difesa aspettando cosa avevano da proporci gli inglesi. È venuto il momento di agire. Prendo di corsa il cellulare e compongo il numero di Saveri.

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