Jack Mars - Regno Diviso

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“Uno dei migliori thriller che abbia letto quest’anno. La trama è intelligente, e aggancia dal primo momento. L’autore ha fatto un lavoro superbo nel creare una serie di personaggi pienamente sviluppati e davvero interessanti. Non vedo l’ora di leggere il seguito.”--Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su A ogni costo) REGNO DIVISO è il libro numero 7 della serie bestseller di Luke Stone di USA Today, che inizia con A OGNI COSTO (libro 1), titolo scaricabile gratuitamente con più di cinquecento recensioni a cinque stelle!Nell’Africa settentrionale, viene attaccato un jet passeggeri da terroristi armati di RPG, e la conseguenza sarà un’enorme perdita in termini di vite umane. Eppure i rapporti di intelligence statunitensi affermano che si sia trattato di un mero diversivo, preludio di un peggiore attentato terroristico. Una nave cargo viene dirottata fuori dalla costa africana, e dei terroristi rimangono perplessi di trovare nella sua vasta stiva un’unica cassa misteriosa. Contiene un’arma che non comprendono – arma di vitale interesse per Al Qaida. Si tratta di un’arma, veniamo a sapere, che infliggerà danni catastrofici agli Stati Uniti, se non verrà fermata in tempo.L’arma scompare nel cuore dell’Africa, e quando tutte le speranze di recuperarla paiono perdute, viene convocato Luke Stone. Costretti ad attraversare deserti e inoltrarsi in giungle, Luke e la sua squadra si imbarcano in una folle corsa attraverso l’Africa in missione suicida: distruggere l’arma prima che sia troppo tardi. Thriller politico con azione ad alto tasso di adrenalina, ambientazioni internazionali drammatiche e suspense al cardiopalma, REGNO DIVISO è il libro numero 7 della serie bestseller acclamata dalla critica di Luke Stone, un’esplosiva nuova serie che vi terrà svegli di notte fino all’ultima pagina.“La narrativa thriller al suo meglio. I fan del genere che apprezzano l’esecuzione precisa di un thriller internazionale, pur cercando profondità psicologica e credibilità in un protagonista che affronta sfide contemporaneamente sul piano professionale e personale, troveranno qui una storia avvincente difficile da abbandonare.”--Midwest Book Review, Diane Donovan (a proposito di A ogni costo)Il libro 8 della serie di Luke Stone sarà presto disponibile.

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Il primo scalatore era ancora vivo, e ancora una volta si faceva strada verso la cima. Altri due erano passati dal motoscafo alla scaletta argentata.

“Ancora!” urlò Eddie. “Voglio altri uomini sulla nave.”

Diavolo, ci sarebbe andato lui. Vedere i suoi uccisi gli aveva attizzato il sangue nelle vene. Urlò al pilota di avvicinare la nave. Il primo motoscafo si stava già scostando. Mentre il suo si avvicinava, la scala di alluminio della barca cominciò ad allungarsi. Eddie ci fu sopra prima ancora che la nave fosse stata agganciata.

La scala sorse a un angolo di quarantacinque gradi verso il mercantile. Lui la scalò, rapido come un gatto, anche se così traballante sferragliava e tremava. Si udirono altre armi. Guardò alla sua destra. La barca da pesca stava inondando i ponti superiori della nave di fuoco automatico.

“Bene!” urlò. “Fateli a pezzi.”

Eddie aveva quasi raggiunto la pensante scala di metallo di emergenza. Era a poco più di un metro di distanza, in avvicinamento, e poi si allontanava. Coprì la distanza con un balzo, poi si rimise a salire, stavolta dritto in linea verticale.

In meno di un minuto aveva salito altri due piani. Fece un respiro profondo e fece capolino col capo oltre la cima. C’erano tre dei suoi – ancora vivi, lì a tenere quell’angolo del ponte. Benissimo. Potevano portare tutti gli uomini su per di là.

Eddie abbassò lo sguardo. C’erano altri quattro uomini che salivano dietro di lui. Otto combattenti pesantemente armati presto sarebbero stati a bordo, con altri in arrivo. I trafficanti di quella nave probabilmente non avevano mai avuto più di una dozzina di uomini, tanto per cominciare.

Scivolò oltre la ringhiera.

I suoi erano accucciati sull’orlo in cui il passaggio curvava, e gli restituivano lo sguardo. Due contrabbandieri giacevano sulla passerella, a malapena cadaveri, i corpi eviscerati dal fuoco della mitragliatrice.

Eddie li guardò appena. Scuri neri, piccoli, congolesi, probabilmente hutu. Africani sì, ma selvaggi. Eddie Killem Dead era kanuri. Un’eredità di cui essere orgogliosi. Quelli lì erano spazzatura.

“Andiamo,” disse ai suoi. “Finiamo la cosa.”

Aveva un Uzi assicurato alla schiena. Lo prese e svoltò l’angolo. Cinquanta metri avanti, una spruzzata di pallottole mandò in pezzi i muri. La nave da pesca stava ancora mitragliando il fianco del mercantile. Altri due uomini giacevano morti sul passaggio. Oltre c’erano il frastornante cielo azzurro e il mare scuro.

Eddie e i suoi risalirono il passaggio, con gli stivali che producevano un rumore metallico sulla maglia d’acciaio sottostante. La passerella stessa sussultava a ogni passo – pareva che potesse separarsi dalla cornice. Quel mercantile era messo male.

Davanti, da un oblò spuntò fuori un’altra bandiera bianca che si mise a sventolare su un bastoncino. Forse questa era la vera resa, forse no.

Eddie aveva il megafono agganciato alla spalla. Lo abbassò e se lo portò alle labbra. “Gettate fuori le armi!” disse. “Tutte.”

Un AK-47 scivolò fuori dall’oblò successivo. Poi una pistola semiautomatica nove millimetri. Un machete. Un’altra pistola. Sferragliavano con un clangore quando colpivano la passerella.

Eddie fece cenno ai suoi di avanzare.

“Fatelo saltare,” disse.

Il primo prese una granata dalla tasca del giubbotto, tirò la spoletta e la lanciò attraverso l’oblò. Da dentro giunsero urla convulse. Gli uomini di Eddie indietreggiarono. Passò un secondo. Due.

BUUUUM.

Dagli oblò giunse un bagliore rosso e arancio. Adesso dentro c’era qualcuno che urlava. Eddie si portò al primo oblò e ci guardò attraverso. La cabina andava a fuoco. Il pavimento era disseminato di corpi e parti del corpo. Sembravano esserci ancora due uomini vivi. Uno se ne stava in silenzio a respirare pesantemente, col petto che si sollevava. Sarebbe morto presto. L’altro strillava, con occhi da pazzo.

Eddie guardò uno dei suoi e fece il gesto di tagliarsi la gola. Quello annuì e scivolò dentro all’oblò frastagliato. Un attimo dopo, le urla cessarono.

Eddie si mosse rapidamente, scattando su per una serie di scale in ferro. Adesso con sé aveva otto uomini. L’arrembaggio nemico era completo. Nessuno avrebbe tenuto la nave contro di loro. Sorrise al pensiero.

La sua truppa era efficiente, cavoli. Assassini.

Arrivarono alla timoniera, che era tutta finestre. Dentro c’erano tre uomini. Eddie riuscì a guardare dentro e a vederli chiaramente. Non provarono neanche a tenere fuori Eddie e i suoi. A che sarebbe servito?

Eddie si limitò ad aprire la porta e a entrare.

Gli uomini erano piccoli e di mezza età, ciascuno con addosso un’uniforme marrone chiaro. Sembravano agenti governativi di un qualche tipo. Che barzelletta. Erano trafficanti che veleggiavano con un vecchio mercantile decrepito indossando uniformi rubate o finte. La maggior parte dell’attrezzatura della timoniera sembrava scassata, inutile. Eddie sorrise agli uomini.

“Chi è il capitano?”

I tre lo fissarono, incerti.

“Ditemelo o uccido tutti e tre.”

Quello in mezzo, il più piccolo e il più vecchio dei tre, annuì. Era assolutamente calvo. Aveva mani larghe e la pelle nero scuro. Aveva la faccia profondamente rugosa. “Sono io il capitano.”

Eddie annuì. Guardò i suoi.

Risuonarono due colpi, e gli uomini accanto al capitano si afflosciarono istantaneamente a terra, entrambi morti prima di toccare il pavimento.

L’odore di polvere da sparo sorse nella stanza.

“Dove sono i diamanti?” disse adesso Eddie.

Il capitano era calmo. Sembrava appena sorpreso della morte che lo circondava. A vedersi, era in vita e in mare da molto tempo. Probabilmente era abituato a questo genere di cose. Abbassò le mani e scosse la testa.

“Non ci sono diamanti.”

“Niente diamanti?” disse Eddie con il sorriso più ampio che mai. “Ne sei sicuro?”

“Sì. Non c’è niente che potete volere voi.”

“E perché avete combattuto? Che cosa cercavate di proteggere?”

Il capitano fece spallucce. “Noi stessi. Perché voi siete sporchi pirati nigeriani. Sapevamo che ci avreste massacrati se aveste catturato la nave.”

“Che c’è a bordo?” disse Eddie. “Di sicuro qualcosa c’è.”

“Lo ripeterò,” disse il capitano. “Non c’è niente che volete voi. E sareste più felici se la lasciaste dove l’avete trovata. Ve lo assicuro.”

Eddie rise. “Allora qualcosa di importante. Fammi vedere.”

Scesero sotto ai ponti. Il capitano accompagnò Eddie e i suoi da una stiva vuota all’altra, scendendo sempre più nelle viscere della nave. Non c’erano segni di vita, nemmeno topi. Non c’erano neanche segni di merci – solo buie e arrugginite stive vuote e ripulite.

Alla fine entrarono in uno stanzone. Nell’oscurità si profilava un’alta mole. Gli uomini di Eddie non ebbero bisogno di farsi dire che cosa fare. Ci piazzarono su le torce.

Mentre si avvicinavano, la cosa divenne più chiara. Era un ampio box d’acciaio, color canna di fucile. I margini erano saldati insieme. Non era chiaro come si aprisse, oltre forse a tagliarlo con una fiamma ossidrica. C’erano dei segni in cirillico all’esterno – CCCP. Interessante. Le iniziali della vecchia Unione Sovietica. Voleva dire che quel coso vagabondava da più di vent’anni. Torreggiava sopra le loro teste.

“Cos’è?” disse piano Eddie, con la voce che echeggiava per la stiva cavernosa. “Un’arma?”

“Non lo so,” disse il capitano.

Eddie lo guardò severamente. “Non sai che cos’è?”

Scosse la testa. “Sapere non è il mio lavoro. Non sono affari miei.”

Quel coso aveva fatto uccidere tutti sulla nave, e ben presto avrebbe fatto uccidere anche lui. Però non erano affari suoi.

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