“Ho bisogno di caffè,” disse Shelley, prima di scendere dall’auto.
Zoe era dello stesso parere. Il volo, per quanto breve, era stato un susseguirsi di interruzioni. Prima il decollo, poi le hostess che hanno offerto la colazione e i succhi non meno di cinque volte, e infine l’atterraggio; non c’è stato modo di concedersi un po’ di riposo in più. Nonostante entrambe avessero passato la maggior parte del viaggio in silenzio, parlando dei loro piani e di dove avrebbero preso l’auto a noleggio soltanto dopo l’atterraggio, non avevano assolutamente riposato.
Zoe seguì Shelley nell’edificio, tradendo ancora una volta il suo ruolo di agente superiore e più esperto. Shelley avrà anche ricevuto più elogi di lei, ma Zoe non era certo una novellina. Aveva fin troppi casi all’attivo, i giorni del suo addestramento erano così sbiaditi nel tempo che a stento li ricordava. Eppure, si sentiva più a suo agio a seguirla.
Shelley si presentò allo sceriffo locale, e lui rivolse loro un cenno e strinse loro le mani quando Zoe ripetè il proprio nome.
“Felice che siate arrivate,” disse lui. Questa era una novità. Solitamente, gli esponenti delle forze dell’ordine locali si indispettivano, ritenendo di potersi occupare personalmente del caso. Soltanto quando capivano che era al di fuori dalla loro portata diventavano felici di ricevere aiuto.
“Speriamo di riuscire a chiudere il caso con successo e togliere il disturbo entro la fine della giornata,” rispose Shelley, rivolgendo un sorrisetto a Zoe. “L’Agente Speciale Prime, qui, sta andando alla grande. Abbiamo chiuso il nostro primo caso insieme nel giro di poche ore. Vero, Z?”
“Tre ore e quarantasette minuti,” replicò Zoe, includendo il tempo che c’era voluto per portare il fuggitivo alla schedatura.
Si domandò brevemente perché Shelley le avesse rivolto quel sorriso così aperto e leggero. Sembrava piuttosto sincero, ma alla fine Zoe non era mai stata brava a capire la differenza – a meno che non ci fosse una sorta di tic o segno sul viso, una grinza attorno agli occhi, all’angolo destro, a indicare un qualcosa di strano. Dopo il loro ultimo caso, per non parlare del silenzio durante il viaggio in aereo e in auto, si aspettava ci fosse della tensione tra di loro.
Lo sceriffo inclinò la testa. “Sarebbe fantastico accompagnarvi a prendere l’aereo per tornare a casa entro sera, se posso permettermi. Vorrebbe dire scrollarmi un peso dalle spalle.”
Shelley rise. “Non si preoccupi. Siamo quelli con cui non volete mai avere a che fare, vero?”
“Senza offesa,” convenne allegramente lo sceriffo. Pesava ottantaquattro chili, pensò Zoe, guardandolo camminare con quell’angolazione ampia tipica delle persone in sovrappeso.
Si spostarono nel suo ufficio e iniziarono ad esaminare il rapporto. Zoe prese i documenti e iniziò a sfogliarli.
“Dimmi tutto, Z,” disse Shelley, appoggiandosi alla sedia e aspettando con impazienza.
Sembrava che avesse già un soprannome.
Zoe alzò lo sguardo un po’ sorpresa ma, vedendo l’espressione seria di Shelley, iniziò a leggere ad alta voce. “Tre corpi in tre giorni, a quanto pare. Il primo in Nebraska, il secondo in Kansase il terzo in Missouri, cioè qui.”
“Cos’è, il nostro assassino sta facendo una gita?” disse Shelley, sarcasticamente.
Zoe raffigurò le linee nella sua mente, disegnando un collegamento tra le città. Una direzione principalmente sud-orientale; la cosa più probabile era che proseguisse attraversando il resto del Missouri fino all’Arkansas, al Mississippi e forse un po’ del Tennessee, nella zona di Memphis. A meno che, ovviamente, non lo avrebbero fermato prima.
“L’ultimo omicidio è avvenuto all’esterno di una stazione di servizio. La vittima era l’unica inserviente. Il suo corpo è stato rinvenuto fuori.”
Zoe riuscì a immaginare lo scenario. Una stazione di servizio buia e solitaria, emblema di qualsiasi altra remota stazione di servizio in questa parte del paese. Isolata, le luci del parcheggio le uniche nel raggio di chilometri. Iniziò ad ispezionare le fotografie della scena del crimine, passandole a Shelley dopo aver terminato.
Spuntò una foto più dura. Una donna morta a terra, con il corpo rivolto verso l’ingresso; stava tornando chissà da dove. Era stata attirata fuori e aggredita non appena aveva abbassato la guardia? Aveva sentito un qualche tipo di rumore, magari scambiandolo per coyotes, o forse si era trattato di un cliente che lamentava dei problemi all’auto?
Qualsiasi cosa fosse, era stato sufficiente per attirarla fuori nell’oscurità, di notte, al freddo, lontano dalla sua postazione. Doveva essersi trattato per forza di qualcosa.
“Le vittime erano tutte donne,” Zoe continuò a leggere. “Nessuna particolare affinità nel loro aspetto estetico. Diverse fasce d’età, colore dei capelli, peso, altezza. L’unica cosa in comune è il genere.”
Non appena finì di parlare, Zoe delineò le immagini delle donne nella sua mente, come se fossero in piedi contro una lavagna da foto segnaletica. Una era alta un metro e sessantadue, una un metro e settanta e una un metro e settantotto centimetri. Una bella differenza. Otto centimetri alla volta: si trattava di un indizio? No; erano state uccise nell’ordine sbagliato. La donna più bassa era la più pesante, quella più alta era leggera, quindi magra. Probabilmente più facile da sopraffare fisicamente, nonostante la sua altezza.
Altezze diverse. Diverse distanze tra le scene; nessuna traccia di formule o algoritmi che le suggerissero a che distanza sarebbe stata la prossima vittima. L’orografia delle scene del crimine era diversa.
“Sembrano… casuali.”
Shelley sospirò, scuotendo la testa. “Temevo che lo dicessi. Per quanto riguarda il movente?”
“Crimine occasionale, forse. Tutte le donne sono state uccise di notte, in un luogo isolato. Nessun testimone né telecamere a circuito chiuso accese, da nessuna parte. Gli agenti della scientifica dicono che non c’era praticamente nulla, in termini di prove.”
“Quindi, abbiamo a che fare con uno psicopatico con la necessità di uccidere, che ha appena deciso di scatenarsi ma che conserva abbastanza autocontrollo da tenersi al sicuro,” riepilogò Shelley. Il suo tono era abbastanza asciutto da far capire a Zoe che doveva sentirsi turbata tanto quanto lei.
Questo non sarebbe stato il caso facile da risolvere in cui speravano di essersi imbattute.
La stazione di servizio era spaventosamente silenziosa quando Zoe arrivò, da sola, sulla scena del crimine. C’era nastro ovunque, per allontanare eventuali curiosi, e un unico agente appostato alla porta d’ingresso per tenere a bada i ragazzini ribelli.
“Buongiorno,” disse Zoe, mostrando il suo distintivo. “Vorrei dare un’occhiata in giro.”
L’uomo diede il suo consenso, non che le servisse, e lei lo superò, passando sotto il nastro per entrare.
Shelley aveva trovato il modo migliore per dislocare le loro uniche e specifiche competenze. Senza discuterne prima, propose di andare personalmente a interrogare la famiglia, inviando invece Zoe sulla scena dell’ultimo omicidio dopo aver usufruito di un passaggio. Era la cosa giusta da fare. Zoe avrebbe potuto trovare gli schemi sulla scena del crimine, mentre Shelley sarebbe stata in grado di leggere le emozioni e le bugie sul viso dei parenti della vittima. Zoe doveva riconoscerglielo.
Acconsentì, fingendo soltanto di essere al comando. Questa cosa funzionava solo grazie all’indole cordiale di Shelley e alla generale mancanza di interesse da parte di Zoe per la corretta osservanza delle gerarchie, a patto che il caso venisse risolto. Shelley apparve persino quasi dispiaciuta, così ansiosa di dimostrare che fosse pratica del mestiere da oltrepassare, seppure involontariamente, i limiti.
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