Jack Mars - Minaccia Primaria - Le Origini di Luke Stone—Libro #3

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Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3: краткое содержание, описание и аннотация

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“Uno dei migliori thriller di quest’anno.”--Books and Movie Reviews (re A ogni costo)In MINACCIA PRIMARIA (Le origini di Luke Stone—Libro #3), un travolgente thriller dello scrittore di bestseller #1 Jack Mars, il veterano della squadra d’élite Delta Force Luke Stone, 29 anni, guida il Gruppo di Intervento Speciale dell’FBI per risolvere un sequestro di ostaggi su una piattaforma petrolifera nelle remote regioni artiche.   Quello che all’inizio sembrava un semplice attacco terroristico si rivela molto di più. Con il dispiegarsi di un malefico piano russo nelle regioni artiche, Luke potrebbe arrivare sull’orlo di una nuova guerra mondiale.  E Luke Stone potrebbe essere l’unico uomo in grado di fermarla. MINACCIA PRIMARIA è un thriller militare da leggere tutto d’un fiato, un’avventura eccitante che vi terrà svegli tutta la notte. Il precursore della serie bestseller #1 LUKE STONE, ci porterà indietro dove tutto ha avuto inizio. Una serie emozionante dall’autore di bestseller Jack Mars, definito “uno dei migliori scrittori di thriller” del momento. “Il thriller al suo meglio.”--Midwest Book Review (re A ogni costo)Inoltre è disponibile la serie thriller bestseller di Jack Mars LUKE STONE (7 libri), che inizia con A ogni costo (Libro #1), un download gratuito con più di 800 recensioni a cinque stelle!

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Gli apparve un’immagine della donna nella mente: c’era qualcosa in lei che faceva pensare a un corvo. Aveva occhi infossati con iridi tanto scure da sembrare nere. Il suo naso era adunco, simile a un becco. Aveva un’ossatura sottile e un fisico snello, e la tendenza a incombere nei paraggi, come la foriera di cattive notizie.

Ma poi il Gruppo d’Intervento Speciale aveva portato a termine un paio di casi di spicco, e Audrey e Lance avevano incontrato il leggendario Don Morris, il fondatore delle operazioni speciali e direttore del GIS.

All’improvviso, avevano ritenuto che lui e Becca avessero bisogno di una casa migliore, più vicina al suo lavoro. E come niente fosse, eccoli lì.

Luke non riusciva ancora a credere alla velocità con cui si erano svolti gli eventi. In missione era sempre stato noto per la rapidità dei suoi riflessi e dei suoi tempi di reazione, ma l’acquisto di quella casa era stato sbrigato tanto in fretta da fargli girare la testa.

Due persone che per anni lo avevano detestato intensamente gli avevano fatto un regalo di proporzioni indescrivibili.

Si prese un momento per godersi il silenzio. Fece un profondo respiro, quasi con lo stesso ritmo del suo figlio neonato. No. Non era vero. Il vero dono era stato quel bambino. La casa non era niente in confronto a lui.

Sul tavolo davanti a lui gli si illuminò il cellulare. Lo guardò. Il chiarore bianco e bluastro lanciava ombre bizzarre nella penombra. Era silenzioso, gli aveva tolto la suoneria. Non aveva voluto disturbare il bambino, né Becca, che si stava godendo un meritato e necessario riposo in camera da letto.

Lanciò un’occhiata all’ora. Erano le dieci passate. Poteva significare diverse cose. Forse qualche ex compagno dell’esercito lo stava chiamando da sbronzo. Oppure qualcuno stava sbagliando numero, o magari… Lo lasciò squillare fino a quando non si spense e tornò buio.

Un momento dopo ricominciò.

Sospirò, studiando il numero. Ovviamente era il suo lavoro.

Prese il cellulare.

“Pronto?”

Dalla voce che usò si capiva che si stava riposando e avrebbe preferito non essere disturbato.

Gli rispose una voce femminile. Trudy Wellington. Se l’immaginò: giovane, bellissima, intelligente, con i suoi lunghi capelli castani sciolti sulle spalle.

“Luke?”

“Sì.”

Era seria, concentrata sul lavoro. Sembrava si stesse lasciando alle spalle quello che era quasi successo tra di loro e di cui non parlavano mai. Probabilmente era meglio così.

“Luke, abbiamo un problema. Don sta richiamando i soliti sospetti. Io sono già qui. Swann, Murphy ed Ed Newman stanno arrivando.”

“Subito?” Lo chiese anche se conosceva già la risposta.

“Sì. Subito.”

“Può aspettare?”

“Proprio no.”

“Mmh.”

“E Luke? Porta una borsa da viaggio.”

Lui alzò gli occhi al cielo. Il lavoro e la sua vita personale erano in lotta costante. Non per la prima volta, si chiese se quello che faceva per vivere non fosse incompatibile con la famiglia felice che stata cercando di costruire con Becca.

“Dove dobbiamo andare?”

“Informazione riservata. Lo scoprirai alla riunione.”

Luke annuì. “Okay.”

Richiuse il telefono e fece un lungo sospiro.

Sollevò il bambino tra le braccia e si alzò, per dirigersi verso la camera da letto padronale in fondo al corridoio. Era buio, ma vedeva quanto bastava. Becca stava sonnecchiando sul grande letto matrimoniale. Si chinò per poggiarle accanto Gunner, accarezzandole appena la pelle. Nel suo dormiveglia, la moglie emise un verso di piacere e mise una mano sul bambino.

Lui rimase fermo a guardarli per un po’. Madre e figlio. Un’onda di amore tanto intenso da sembrare incomprensibile lo travolse. Quasi non lo capiva lui stesso, era impossibile riuscire e esprimerlo a parole. Era indicibile.

Erano la sua vita.

Ma doveva partire lo stesso.

CAPITOLO CINQUE

11:05 p.m. Ora legale orientale

Quartier generale del Gruppo d’Intervento Speciale

McLean, Virginia

“Perché siamo qui?” chiese Kevin Murphy.

Era vestito in stile business casual, come se fosse appena uscito da un incontro per giovani professionisti.

Mark Swann, il cui abbigliamento era tutt’altro che adatto al lavoro, sogghignò. Portava una maglietta nera dei Ramones e un paio di jeans strappati. I suoi capelli erano raccolti in una coda di cavallo.

“In senso esistenziale?”

Murphy scosse la testa. “No. Quello che voglio sapere è perché siamo tutti in questa stanza nel bel mezzo della notte.”

La sala conferenze, che a volte Don Morris chiamava ottimisticamente il Centro di Comando, era occupata da un lungo tavolo rettangolare con un dispositivo per il vivavice montato al centro. C’erano prese in cui attaccare il portatile, a distanza di un metro circa l’una dall’altra. Sulla parete erano montati due grossi monitor.

Era uno spazio piuttosto ristretto, e Luke aveva partecipato a riunioni in cui una ventina di persone si erano strette lì dentro. Venti persone lo avevano fatto sembrare un vagone della metropolitana di Tokyo all’ora di punta.

“Va bene, gente,” esordì Don Morris. L’uomo anziano indossava una camicia aderente con le maniche arrotolate sugli avambracci. C’era del caffè in un bicchiere di carta di fronte a lui. I suoi capelli bianchi erano tagliati molto corti sul cranio, come se fosse appena stato dal barbiere. Il suo linguaggio del corpo era rilassato, ma i suoi occhi erano duri come l’acciaio.

“Grazie per essere venuti tanto in fretta. Ma ora basta con le chiacchiere, se non vi dispiace.”

In tutta la sala, i presenti mormorarono in assenso. Oltre a Don Morris, Swann, Murphy e Luke, c’era anche Ed Newsam, stravaccato sulla sedia. Indossava una maglietta nera con le maniche lunghe che gli abbracciava il torace muscoloso. Portava jeans e scarponcini gialli Timberland slacciati. Aveva l’espressione di qualcuno che fosse stato profondamente addormentato appena prima di andare a quella riunione.

C’era anche Trudy Wellington. Era in camicetta e pantaloni eleganti, come se non fosse mai andata a casa dal lavoro. I suoi occhiali rossi erano sollevati sulla testa. Sembrava sveglia e stava bevendo del caffè. Aveva già iniziato a battere informazioni nel portatile che aveva davanti. Qualsiasi cosa stesse succedendo, era stata la prima a esserne informata.

Dall’altro capo del tavolo, vicino ai monitor, c’era un generale a quattro stelle alto e magro, abbigliato in un’impeccabile uniforme. Portava i capelli grigi tagliati molto corti. Aveva il volto liscio, rasato di fresco. Nonostante l’ora tarda, sembrava lucido e pronto ad agire per le seguenti ventiquattro o quarantotto ore, o per tutto il tempo che fosse stato necessario.

Luke lo aveva già incontrato una volta, ma anche se non l’avesse mai visto prima, conosceva il tipo. Ogni mattina al suo risveglio, prima di qualsiasi altra cosa, rifaceva il letto. La prima missione compiuta di una giornata, per spianare la strada a tutte le successive. Con ogni probabilità, prima ancora del sorgere del sole, correva dieci miglia e mandava giù una sbobba fredda con del caffè molto forte. Aveva militare di carriera scritto a lettere cubitali sulla fronte.

Seduto al tavolo accanto a lui c’era un colonnello con un portatile aperto di fronte, oltre a una pila di documenti. L’altro non aveva ancora alzato lo sguardo dal computer.

“Gente,” disse Don Morris, “vorrei presentarvi il generale Richard Stark degli Stati Maggiori Riuniti, e il suo attendente, il colonnello Pat Wiggins.”

L’uomo anziano guardò il generale.

“Dick, i cervelli del Gruppo d’Intervento Speciale sono a tua disposizione.”

“Se così vogliamo chiamarli,” commentò Mark Swann.

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