Fagen tenne lo sguardo basso sul tavolo da conferenza. Bastava il suo linguaggio del corpo per dire a Clement Dixon tutto ciò che doveva sapere.
“Signore, con le moderne tecnologie, le piattaforme petrolifere possono sfruttare importanti giacimenti sotterranei senza compromettere la fauna e la flora locale. So che lei ha espresso la sua preoccupazione proprio a questo riguardo…”
Dixon roteò gli occhi e alzò in alto le braccia.
“Ma che diavolo!”
Guardò il generale.
“Signore,” iniziò Stark. “La decisione di concedere quell’autorizzazione è stata presa due governi fa. Si tratta solo di perfezionare la tecnologia. Certo, è una questione controversa. E sicuro, anche se io e lei non concordiamo sul suo sfruttamento, credo sia un problema da affrontare in un altro momento. Ora come ora è in corso un’operazione terroristica, è già morto un numero imprecisato di civili americani e sono in pericolo altre vite. La rapidità è essenziale. E per quanto possibile, penso che sia necessario tenere l’incidente e la natura dell’impianto lontani dai riflettori. Almeno per ora. In seguito, dopo aver salvato la nostra gente e quando si saranno calmate le acque, avremo tutto il tempo per discuterne.”
Stark aveva ragione e Dixon lo detestò per quello. Odiava quei…
… compromessi.
“Che cosa suggerisce?”
Il generale fece un cenno con il capo. Sullo schermo, l’immagine cambiò per mostrare il disegno di quello che sembrava un gruppo di sub che nuotava verso l’isola.
“Consigliamo caldamente di mandare un gruppo di agenti speciali molto qualificati, Navy SEALs, perché si infiltri nell’impianto, scopra ogni dettaglio sui terroristi, faccia fuori chi ne è al comando e, se possibile, si riprenda la piattaforma con la minor perdita di vite civili permessa dalle circostanze.”
“In quanti soldati e tra quanto tempo?”
Stark annuì di nuovo. “Sedici, forse venti. Questa notte, entro le prossime ore, prima dell’alba.”
“I suoi agenti sono pronti?”
“Sissignore.”
Dixon scosse la testa. La presidenza era un terreno scivoloso. Lui non lo aveva mai capito, nonostante i suoi anni di esperienza. Tutti i suoi discorsi infuocati, la sua furia sul podio, i suoi sforzi per creare un mondo più giusto e più pulito… per cosa? Era costretto a calare la braghe ancora prima di iniziare.
Era proibito trivellare nell’Arctic National Wildlife Refuge. Non ci si poteva accedere dalla superficie. Quindi quella gente si era parcheggiata in mare aperto ed era passata da sotto. Ma certo. Erano termiti, mordevano e masticavano senza tregua, trasformando la costruzione più solida in un castello di carte.
E ora gli uomini al lavoro su quella trivella venivano attaccati e presi in ostaggio. E come presidente, lui cosa avrebbe dovuto dire: “Affari loro?”
Assolutamente no. Erano americani, e anche se era difficile da accettare, erano persone innocenti. Facciamo solo il nostro lavoro, signore.
Dixon guardò Thomas Hayes. Tra tutti i presenti nella sala, Hayes era l’unico che lo capiva. Probabilmente si sentiva in trappola, tradito, frustrato e sbalordito, proprio come lui.
“Thomas?” gli domandò. “Lei a cosa sta pensando?”
Hayes non esitò. “Capisco che sia una discussione da affrontare in un altro momento, ma mi sconvolge sapere che stiamo trivellando in un ambiente naturale che dovrebbe essere custodito e protetto. Sono sconvolto ma non sorpreso, e questa è la parte peggiore.”
Fece una pausa. “Dopo che avremo salvato quegli uomini, e come ha detto il generale si saranno calmate le acque, credo che dovremo rivedere la moratoria sulla trivellazione, e chiarire che il divieto di perforare è valido in assoluto, sia da sopra che da sotto il mare.
“Inoltre, se è necessario intraprendere un’operazione militare, dobbiamo accertarci che sia sotto il controllo civile all’inizio alla fine. Senza offesa, generale, ma voi del Pentagono avete l’abitudine di usare i cannoni per liberarvi dei moscerini. Abbiamo saputo tutti di troppi matrimoni nel Medio Oriente che sono stati annientati dai droni.”
Sembrò che il generale fosse sul punto di dire qualcosa in risposta, ma poi si trattenne.
“Può farlo, generale Stark?” chiese Dixon. “A prescindere dalle risorse militari coinvolte, può garantire il controllo e la partecipazione di un’agenzia civile durante l’intera operazione?”
Stark annuì. “Sì, signore. E conosco l’agenzia civile perfetta per questo compito.”
“Allora proceda,” ordinò il presidente. “E se può, salvi gli uomini sulla piattaforma.”
10:01 p.m. Ora legale orientale
Ivy City
Zona nord-est di Washington, DC
Un uomo robusto sedeva su una sedie pieghevole di metallo, in un angolo silenzioso del magazzino vuoto. Scosse la testa con un gemito.
“Non farlo,” supplicò. “Ti prego, non devi farlo.”
Era bendato ma nonostante lo straccio che gli nascondeva parzialmente il viso, si vedeva che era coperto di lividi e ferite. Aveva la bocca gonfia. Il suo volto era lucido e sporco di sangue, e sulla schiena la sua maglietta bianca era macchiata di sudore. C’era una macchia scura sul cavallo dei suoi pantaloni, dove se l’era fatta addosso appena qualche istante prima.
Un fitto intreccio di tatuaggi si alzava dai polsi fino alle maniche della sua maglia. Sembrava un uomo robusto, ma aveva le mani legate dietro la schiena e le sue braccia erano bloccate alla sedia con pesanti catene.
Era a piedi nudi e anche alle sue caviglie aveva dei ceppi metallici. Era legato tanto stretto che se anche fosse riuscito ad alzarsi, invece di camminare avrebbe dovuto avanzare a saltelli.
“Che cosa non devo fare?” domandò Kevin Murphy.
Murphy era alto, snello e muscoloso. I suoi occhi erano duri e aveva una piccola cicatrice sul mento. Indossava un’elegante camicia azzurra, pantaloni scuri e lucide scarpe di cuoio italiano. Si era arrotolato le maniche sugli avambracci. Non c’era niente di sgualcito, sudato o insanguinato nel suo aspetto. Non sembrava aver fatto il benché minimo sforzo fisico. In effetti, dava l’impressione di un uomo invitato a cena in un ristorante costoso. L’unico dettaglio che stonava erano i guanti di pelle nera che portava sulle mani.
Per qualche istante, Murphy e l’uomo sulla sedia parvero statue, menhir in un sito funerario primordiale. Le loro ombre si stagliavano in diagonale nella cupa penombra giallastra di quel piccolo angolo del grande magazzino.
Murphy si allontanò di qualche passo sul pavimento di pietra. Il rumore riecheggiò nello spazio cavernoso.
Stava provando una strana combinazione di emozioni. Da una parte, si sentiva rilassato e calmo. Aveva appena iniziato con l’interrogatorio e aveva tutto il tempo del mondo. Nessuno sarebbe entrato in quel posto.
Fuori dalla cancellata di quel magazzino c’era una baraccopoli. Era un deserto di cemento, in cui squallidi negozietti, rivendite di alcolici, agenzie di cambio e banchi di pegno erano ammassati insieme. Gruppetti di donne che stringevano buste di plastica aspettavano alle fermate degli autobus durante il giorno, mentre di notte uomini sbronzi bevevano birra e vino economico agli angoli delle strade.
In quel momento, riusciva a sentire i rumori del quartiere: le auto di passaggio, la musica, le grida e le risate. Ma si stava facendo tardi e presto sarebbe calato il silenzio. Persino in quella zona la gente andava a dormire a una certa ora.
Quindi sì, nell’immediato futuro, aveva tempo. Ma in senso più ampio, il tempo non era suo amico. Era un ex agente della Delta Force e dipendente in prova del Gruppo d’Intervento Speciale dell’FBI. Si stava distinguendo sul lavoro e durante il suo primo incarico aveva persino preso parte in maniera apparentemente brillante a una feroce sparatoria a Montreal.
Читать дальше