Stefano Vignaroli - Delitti Esoterici
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Legata al palo, Artemisia ripercorreva con la mente le principali tappe della sua vita, a partire dalla sua iniziazione, quando, poco più che tredicenne, si ritrovò al centro del cerchio magico, creato da sua mamma, sua nonna e altre adepte della setta, nei pressi della Fonte della Noce, una fontana situata sotto un grande albero di noci. Già allora aveva percepito la forte presenza del Maligno, una forza negativa all'esterno del cerchio, che voleva le sue vittime per assimilarne i poteri e diventare impareggiabile nella sua malvagia potenza. Gli insegnamenti trasmessi dalla mamma e dalla nonna, l'acquisizione dei poteri della veggenza e dell'uso del tatto e della vista per percepire e guarire i mali del corpo e dell'anima, erano stati da lei sempre utilizzati a fin di bene. Aveva appreso i poteri curativi delle erbe,diventando abile nel produrre pozioni che abbassavano la febbre, che toglievano i dolori, che aiutavano le donne partorienti durante il travaglio. Aveva imparato a usare, nelle giuste dosi, spore di funghi velenosi, da applicare su ferite infette per far regredire le secrezioni purulente. Aveva imparato a fabbricare talismani, a recitare le formule magiche di rito, a eseguire incantesimi di invisibilità, a formare i cerchi magici protettivi. Ma non aveva mai usato i suoi poteri per scopi malvagi, mai. Eppure, alla fine, era stata additata come strega e, insieme alle sue quattro compagne più fidate, Emanuela, Viola, Alessandra e Teresa, era stata imprigionata e torturata con la corda, con il fuoco e con l'acqua. All'inizio dell'estate del 1588 era giunto nella sua cella il Podestà, Stefano Carrega, che era colui che aveva iniziato la caccia alle streghe e, in quel momento, Artemisia aveva capito che era lui che rappresentava il male, la grande minaccia che incombeva su di lei e sulle sue amiche. Già indebolita dalle torture, fu denudata e legata mani e piedi a due pali di legno disposti formare una croce di Sant'Andrea, cosicché avesse braccia e gambe divaricate. I carcerieri le rasarono i peli della zona genitale, poi la lasciarono sola con il Podestà che le si avvicinò sollevando la tunica e mostrando un grosso membro già in erezione. Non c'era possibilità per Artemisia, legata com'era, di sottrarsi alla violenza sessuale, ma era conscia di dover essere forte in quella situazione, di non dover cedere al piacere, altrimenti, con l'atto sessuale, l'uomo le avrebbe sottratto tutti i suoi poteri e le sue conoscenze, assumendole su di sé. Ne uscì vittoriosa. Mentre sentiva il caldo eiaculato penetrare nelle sue viscere, dispose la sua mente a essere il più lontano possibile da lì, a vagare per i boschi a lei cari, e il suo corpo a non provare neanche un fremito, neanche un sussulto. Il Podestà, non essendo riuscito a raggiungere i suoi scopi, divenne furibondo.
«Peggio per te, strega! Morirete sul rogo, tu e le tue compagne, e la forza delle fiamme trasferirà su di me i vostri poteri.»
Il fatto di aver vinto quella battaglia le aveva dato un barlume di speranza e quando, nonostante la condanna degli inquisitori, lei e le sue quattro compagne vennero trasferite a Genova, pensò che il pericolo si fosse allontanato. Certo, dopo il rapporto col Podestà non le era più venuto il ciclo mensile. Era evidente che portava in grembo un figlio, o meglio, come poteva percepire, una figlia. Si rifiutava di ammettere che fosse figlia del maligno. L'avrebbe comunque iniziata alle pratiche magiche ed esoteriche, proprio come era stato fatto con lei da sua madre e da sua nonna, anzi, sentiva in cuor suo che quella figlia avrebbe avuto dei poteri soprannaturali davvero forti, in grado di contrastare qualsiasi potenza maligna e portare avanti nel bene la sua stirpe. Ma, dopo qualche mese, il maligno era rientrato in attività, si era alleato con il Consiglio degli Anziani e aveva inviato a Genova degli uomini incappucciati per riportare lei e le sue quattro compagne a Triora, dove sarebbero state giustiziate. Nel mese di Marzo Artemisia era quasi a termine gravidanza. Quando giunse a Triora, il capo del Consiglio degli Anziani, Giulio Scribani, volle accertarsi di persona del suo stato, in quanto non poteva permettere che, insieme alla strega, fosse bruciata sul rogo una creatura innocente. Artemisia usò tutti i suoi poteri per penetrare nella mente dell'anziano, in cui inculcò il concetto che lei si sarebbe sacrificata sul rogo, purché il suo sacrificio fosse servito a salvare sua figlia e le sue compagne. Il Podestà aveva fatto allestire i cinque roghi e già pregustava lo spettacolo di quella sera, in cui, per una rara congiunzione astrale, in quel giorno di equinozio di primavera, giorno di plenilunio, si sarebbe verificata un'eclissi totale della luna. Ma Giulio impose il suo volere.
«Non voglio assistere a una barbara strage. Ho mandato una levatrice da Artemisia, conosce i sistemi per procurarle un parto anticipato. Il neonato sarà affidato a una nutrice. Solo Artemisia, che è la più potente delle streghe, sarà bruciata. Le altre, legate ai loro pali, assisteranno alla sua esecuzione, poi saranno marcate in modo tale che chiunque le incontri le riconosca come streghe e le eviti. Ognuna di loro ha già uno strano tatuaggio sulla gamba destra, nella parte interna del polpaccio. Vi sono raffigurati tre tomi, che rappresentano i libri che hanno consultato e che hanno studiato per diventare adepte della loro setta. Faremo completare il tatuaggio con delle fiamme che avvolgono i libri e lo stesso tatuaggio sarà fatto a ogni primogenito femmina nella discendenza di queste streghe!»
Il Podestà lanciò lampi di odio nei confronti dell'anziano, ma non poteva contraddirlo. Almeno avrebbe potuto assumere la parte dei poteri di Artemisia. Ma questa, legata al palo, in attesa che le fiamme fossero appiccate alla sua catasta, rimaneva concentrata e formava una barriera protettiva nei confronti delle sue amiche, che erano in contatto telepatico con lei. La posizione a semicerchio degli altri patiboli dietro il suo favoriva la protezione. Così, quando dalla folla degli spettatori si levarono grida «Non le risparmiate, bruciatele tutte!» e un uomo, con una torcia accesa in mano, riuscì a scavalcare la barriera delle guardie e avvicinare la fiamma al rogo di Teresa, due armigeri lo presero sottobraccio e lo rispedirono in mezzo al pubblico con un calcio be assestato nel sedere. L'uomo rotolò a terra e si fermò proprio ai piedi di Larìs, che gli lanciò uno sguardo di disapprovazione.
Pochi istanti dopo, il boia prese una torcia da un braciere, prima la sollevò in alto per mostrare a tutti le fiamme, poi la avvicinò alla catasta di legna ai piedi di Artemisia, che si incendiò.
Artemisia, prima che le fiamme cominciassero ad avvolgere il proprio corpo, rivolse lo sguardo alla luna, che in quel momento era oscurata dal fenomeno dell'eclissi e percepibile solo come una sfera rossastra circondata da un alone, e lasciò andare il suo spirito. Doveva evitare che i suoi poteri e la sua sapienza si trasferissero a Carrega, indirizzandoli invece, con l'aiuto telepatico delle compagne, alle quali il suo sacrificio aveva salvato la vita, verso la bambina che aveva da poche ore partorito e che si sarebbe chiamata Aurora, la prima luce del mattino. In breve, le fiamme ebbero ragione del corpo di Artemisia e lo avvolsero, la donna si trasformò in torcia umana, i capelli bruciarono, i vestiti si incenerirono, lasciando scoperta la carne, che diventò prima rossa, poi nera. La sagoma di Artemisia, che ancora si torceva, era ormai solo intuibile in mezzo al muro di fuoco, che ardeva rombante. Alla fine Artemisia, con un ultimo prolungato grido di dolore, spirò, mentre le fiamme continuavano a svolgere il loro crudele lavoro. Al termine, al suolo sarebbe rimasto solo un mucchietto di ceneri.
Quando Aurora e Larìs ritornarono alla realtà erano ancora nude, distese sul freddo pavimento di marmo, con i corpi imperlati di sudore per la tensione dell'esperienza appena vissuta. Aurora, ancora stordita, afferrò un kimono di seta, lo indossò, e ne offrì uno simile alla ragazza, che era in preda ai brividi e fu ben felice di indossarlo. Quindi Aurora andò in cucina a preparare una tisana rilassante, tornando dopo qualche minuto con due tazze fumanti, che spandevano un aroma di menta nel salone.
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