Stefano Vignaroli - Delitti Esoterici

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Poi avvicinò le sue labbra a quelle di Larìs, e la baciò.

«A presto!»

Aurora uscì dal tempio e raggiunse una radura isolata, dove si sedette in terra, avendo cura di non incrociare le gambe, si concentrò sul luogo in cui doveva recarsi e pronunciò la formula magica. Come catturato da un vortice, da una specie di tromba d'aria, il suo corpo svanì per riapparire a Triora, all'interno della sua dimora.

«Eccomi a casa!»

CAPITOLO IV

Ci dirigemmo a piedi verso la scena del delitto, che era già stata delimitata dalle strisce di plastica bianche e rosse con la scritta "Polizia di Stato". Il luogo era annerito dall'incendio e bagnato dall'acqua usata per spegnerlo, ma quello che più colpiva era l'odore nauseabondo che si era costretti a respirare. L'odore della carne umana bruciata, che ancora aleggiava nell'aria, era davvero insopportabile. Quando vidi il corpo, riuscii a trattenere a stento un conato di vomito. A prima vista sembrava un manichino, piegato su stesso, addossato a un cancello metallico che chiudeva una specie di grotta, la forma umana annerita dalle fiamme. Non c'era più traccia dei capelli e in qualche zona si intravedevano le ossa in mezzo a qualche brandello di pelle incartapecorita. Si intuiva che era il corpo di una donna dalla sagoma dei seni. All'altezza di polsi e caviglie si notavano come dei filamenti di plastica fusa, indice di qualcosa che doveva essere servita per legare la vittima al cancello. Il medico legale stava eseguendo i primi rilievi sul corpo, mentre gli uomini della scientifica erano in paziente attesa che questi terminasse per iniziare il loro lavoro. Dicendo a Mauro di attendermi, mi avvicinai oltrepassando la barriera di strisce di plastica. Quando avvertì la mia presenza, il medico sollevò la testa e sfilò i guanti di lattice, scuotendo la testa. La persona che stava porgendo la mano verso di me era una donna sulla trentina, minuta, capelli corti mori, occhi scuri e un piccolo piercing dorato al naso.

«La dottoressa Ruggeri, immagino! Piacere, dottoressa Ilaria Banzi, medico legale.»

«Che cosa mi può dire di questa povera donna?»

«Veramente raccapricciante, nella mia sia pur breve carriera non ho mai visto niente di simile. Non so dire ora se fosse viva o morta quando è stata data alle fiamme ma, dal momento che sembra evidente che sia stata legata mani e piedi a quel cancello con del nastro adesivo, penso proprio che sia stata bruciata viva. Questo particolare ce lo dirà l'autopsia. Per il momento posso dire che siamo in presenza di soggetto di sesso femminile, intorno ai trentacinque, quarant’anni al massimo, a giudicare dalla dentatura, ma non posso essere precisa neanche in questo, in quanto il fuoco ha alterato tutto. Appena la scientifica avrà fatto i suoi rilievi, disporrò il trasferimento del corpo all'obitorio e nel più breve tempo possibile le invierò il referto necroscopico. Tra poco sarà qui anche il magistrato. Le auguro buona fortuna, non sarà un'indagine semplice!»

Mi congedai da lei e andai verso gli uomini in uniforme.

«Si sa qualcosa dell'identità della vittima?» chiesi.

«Sicuramente non aveva documenti addosso!» fu la risposta sarcastica di un sovrintendente, che fulminai con lo sguardo. «Capisco, non era una battuta felice. Ciò che sappiamo è che la vittima è stata legata con del grosso nastro adesivo, quello da pacchi per intenderci, all'inferriata metallica ed è stato appiccato il fuoco. Quella specie di grotta è in realtà una vecchia legnaia, all'interno della quale c'era legna secca e altro materiale infiammabile. Dal momento che in questa zona si parla tanto di streghe, abbiamo pensato che qualcuno abbia voluto simulare l'esecuzione di una strega al rogo. Magari un gioco sadico tra due amanti, perché no? Lei si fa legare, consenziente, lui accende un fuocherello per dare più verve al gioco, ma poi la situazione sfugge di mano, si alza il vento, scoppia l'incendio e per la donna, così legata, non c'è scampo. Ci siamo fatti quest'idea.»

«Molto fantasiosa, direi, e mal supportata da elementi probatori. A lei piace fare giochetti di questo tipo con la sua compagna?»

Forse colpito nella sua intimità, arrossì, si schiarì la voce e cercò il modo di defilarsi: «Sta arrivando il magistrato. Ora sarà lui a formulare le ipotesi giuste. Mi perdoni, le mie erano solo congetture.»

Il magistrato era un uomo sui cinquant'anni, capelli brizzolati, alto quasi quanto Mauro, magro. A vederlo somigliava a un rapace, con il naso adunco, le labbra strette e gli occhiali da lettura alzati sulla fronte. Si avvicinò a Mauro, che gli strinse la mano e mi presentò.

«Dottor Leone, la dottoressa Ruggeri. La mia collega è appena arrivata da Ancona e si è già trovata nel pieno delle attività.»

«Già, vedo! Bene, credo che qui per me al momento ci sia poco da fare. Tenetemi aggiornato sulle indagini e cercate di chiudere questo caso nel più breve tempo possibile. Non siamo abituati a tali delitti efferati in questa zona e non voglio noie con i giornalisti.»

Cercai di intervenire, chiedendogli se volesse interrogare insieme a noi la proprietaria della limitrofa abitazione, la famosa Aurora, ma lui si congedò con una morbida stretta di mano e un “Buon lavoro!”.

Chissà perché ho sempre odiato le persone che quando ti danno la mano non la stringono, comunque intentai un sorriso a denti stretti e risposi: «Grazie.»

Quando si fu allontanato, mi rivolsi a Mauro.

«Se ora arrivasse anche il questore di Imperia e fosse altrettanto simpatico, rischierei di giocarmi il posto che ho appena ricoperto. Mi capisci, vero? Bene, mentre la scientifica fa il suo lavoro qui, andiamo a conoscere questa strega.»

Mauro mi sorrise con aria complice e mi seguì volentieri. Tutto sommato iniziava a starmi simpatico e presto avrei scoperto che, dietro l'aria da Rambo tutto muscoli, nascondeva un'intelligenza spiccata ed era un buon osservatore, tutti elementi che ne facevano un bravo poliziotto ed un valido collaboratore.

Un sentiero attraversava la vegetazione, usciva sulla strada sterrata da cui eravamo giunti e conduceva a un edificio isolato, una specie di casa colonica, dall'aspetto antico, ma in ottime condizioni.

Sullo spiazzo antistante faceva bella mostra di sé l'auto della padrona di casa, una Porsche Carrera di colore grigio metallizzato. Ci accolse una bella quarantenne, bionda, gli occhi di un verde-azzurro raro a vedersi, più alta di me, la carnagione chiara, liscia, senza una ruga evidente. Indossava un kimono scuro con degli strani disegni, in cui riconobbi alcuni simboli esoterici, chiuso sul davanti solo da una cinta. A ogni passo faceva capolino dall'abito una lunga coscia rosata. Il decolté dava buona visibilità al prosperoso seno e non lasciava molto spazio all'immaginazione. Vidi lo sguardo di Mauro posarsi con interesse sul soggetto, forse con la speranza che prima o poi l'insulsa vestaglia fosse caduta in terra, rivelando al suo occhio tutte le grazie della sua proprietaria.

«Accomodatevi, sono Aurora Della Rosa, e abito in questa umile dimora. Scusatemi, ancora devo riprendermi dallo spavento! Avevo timore che qui andasse tutto a fuoco questa notte. Dentro questa casa ho un patrimonio di libri e manoscritti, anche molto antichi, alcuni unici al mondo e, oltre alla mia incolumità, ho temuto molto di perdere tutto tra le fiamme.»

Ci accomodammo in un salone quadrato, dove notai scaffali pieni di libri e pergamene. Un'intera parete era occupata da una specchiera e il pavimento era in marmo lucidissimo di vari colori che, come un mosaico, rappresentava la figura di un pentacolo. Non credevo ai miei occhi. Vi trovavo riassunto tutto ciò che, a suo tempo, avevo studiato sull'esoterismo e sulle sette.

«Della Rosa.» dissi, ripetendo il suo cognome. «De La Rose era il nome di una casata francese di famosi Templari, i cavalieri custodi del tempio e del Sacro Graal.»

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