Stefano Vignaroli - Delitti Esoterici
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«Perché abbiamo avuto questa visione? Qual è il significato?» chiese Larìs, cominciando a riprendersi.
«Credo di aver capito che il maligno, che è rimasto quiescente per quattro secoli, stia riprendendo vigore e voglia sacrificare delle vittime per aumentare la sua forza e la sua potenza. Dobbiamo fare attenzione, perché quelle vittime potremmo essere io, tu o le altre nostre sorelle, discendenti di coloro che quattrocento anni fa scamparono alla morte tra le fiamme.»
«Come possiamo prepararci ad affrontarlo? Abbiamo abbastanza forza per farlo?»
«Mia cara Larìs, tu e io dovremo affrontare un lungo e periglioso viaggio fino al tempio dove vive il Grande Patriarca, che ci offrirà l'accesso al sapere universale, di cui egli è custode. Ci saranno date la forza e la sapienza necessarie.»
Passo dopo passo, reggendosi alle corde laterali, erano giunte circa a metà del ponte che oscillava a ogni loro movimento, quando una folata di vento più forte fece gelare il cuore di Larìs, che cercò di nuovo gli occhi di Aurora per sentirsi rassicurata. Con cautela, le due sfilarono gli zaini dalle spalle, indossarono le giacche a vento e proseguirono fino a raggiungere la radura erbosa al di là del ponte. Da lì iniziavano almeno cinque sentieri, che si dirigevano in direzioni diverse. Quale poteva essere quello giusto da seguire? Aurora vide due rami incrociati con della terra smossa intorno, cercò un lungo ramo e, facendo attenzione a non andare a calpestare la terra smossa, distrusse la croce poi, con lo stesso ramo, disegnò un cerchio in terra, recitando delle parole che Larìs riconobbe come quelle di un contro incantesimo. Qualcuno aveva messo in atto un sortilegio, per metterle in difficoltà sul cammino da seguire. Ma Aurora aveva molta esperienza. Completato il cerchio e rivolte le parole verso il cielo, fu evidente che dalla radura aveva inizio un solo sentiero, che era quello da seguire. Attraversata la lingua di un ghiacciaio, il sentiero volgeva in discesa, fino a che le praterie d'altura lasciavano il posto a un bosco, sempre più fitto man mano che si scendeva. Ad ogni bivio, ad ogni biforcazione del sentiero, le due, d'istinto, sapevano sempre quale direzione seguire.
Il bosco offriva frutti e bacche mangerecci e ogni tanto si rinveniva una fonte d'acqua fresca per cui, anche se i viveri di scorta cominciavano a scarseggiare, non c'era modo di dover soffrire la fame o la sete. Anche le temperature si erano fatte più gradevoli e non vi era più necessità di avere indosso le giacche a vento. Il quinto giorno di cammino, uscendo dal fitto bosco, si ritrovarono in un'amena vallata, in fondo alla quale videro la loro meta.
Il tempio era una costruzione antichissima che si era mantenuta intatta nel corso dei secoli e dei millenni, costruito com'era sulla solida roccia in un luogo non accessibile ai comuni mortali. Ciò che destò lo stupore delle due donne fu la centrale idroelettrica che si intravedeva sul retro del tempio. Una cascata, con la forza di un salto di alcune centinaia di metri, alimentava le turbine che fornivano energia elettrica all'antico edificio. Accanto alle turbine, una serie di pannelli solari provvedevano a fornire acqua calda e contribuivano anch'essi a generare elettricità. Un antesignano impianto fotovoltaico, non ancora in funzione, completava la centralina, che rendeva quell'oasi del tutto autonoma dal punto di vista energetico.
Giunte all'ingresso del tempio, furono accolte da due uomini dall'aspetto fisico statuario.
«Siate benvenute al tempio della Conoscenza e della Rigenerazione. Il Grande Patriarca vi sta aspettando e, appena possibile, vi riceverà. Nel frattempo saremo le vostre guide, vi condurremo ai vostri alloggi e faremo in modo di rendere piacevole la vostra visita in questo incantevole luogo. Di qualsiasi cosa abbiate bisogno, chiedete e cercheremo di accontentarvi. Io sono Ero e il mio compagno è Dusai.»
I due uomini, vestiti solo con corte tuniche colorate, erano alti e possenti, i muscoli evidenti sembravano scolpiti, richiamando alla memoria antiche statue greche. Ero aveva capelli biondi, ricci, piuttosto lunghi, carnagione chiara, anche se lievemente abbronzata, e occhi azzurri del colore del cielo, Dusai moro, i capelli neri corti, gli occhi scuri e la carnagione del colore dell'ebano. Mentre Dusai si prendeva cura di Aurora, Ero si inchinò avanti a Larìs e prese il suo bagaglio. I quattro, attraversato un cortile quadrato, si addentrarono nell'edificio e camminarono lungo corridoi decorati. Gli affreschi alternavano scene di caccia a scene di guerra e di accoppiamenti tra animali. Arrivarono, infine, in un chiostro, al centro del quale vi era una piscina. Sotto i portici si aprivano le porte delle stanze degli ospiti. Qui le decorazioni rappresentavano accoppiamenti tra uomini e donne, in tutte le posizioni possibili e immaginabili tratte dai più impensabili manuali di Kamasutra. Le due donne furono invitate dai loro ciceroni a entrare ognuna in una stanza, dove furono aiutate a spogliarsi e a rilassarsi con un lungo e accurato massaggio tonificante. Dopo un paio d'ore le due donne e i due uomini si ritrovarono insieme all'interno della piscina per godere dei piaceri di un buon bagno nell'acqua tiepida della vasca, e del sesso offerto in maniera spontanea e sensuale da Ero e Dusai. Spossate dai giorni di cammino, ma rigenerate nello spirito, Aurora e Larìs furono rifocillate. La tavola imbandita offriva montone arrosto con contorni di saporite verdure e un'incredibile varietà di succulenti frutti. Al termine del banchetto, si ritirarono nelle loro stanze per sprofondare in un meritato sonno ristoratore.
L'indomani, di buon mattino, i ciceroni portarono a ognuna delle due donne una profumatissima tazza di tè, accompagnata da dolcetti a base di uva sultanina e mosto, dicendo loro di prepararsi per essere ricevute dal Grande Patriarca. I loro compagni del giorno precedente le accompagnarono fino ai piedi di una scalinata, che conduceva ai piani superiori. Da quel momento sarebbero state accompagnate da una guida ben più anziana e molto meno attraente, in quanto a Ero e Dusai non era concesso salire al cospetto del Patriarca. Hiamalè, così si chiamava la nuova guida, era una persona che dimostrava almeno un'ottantina di anni, ma si diceva che ne avesse molti di più. Una lunga barba grigia ornava il suo viso e i capelli lunghi e argentei erano raccolti dietro la nuca in una lunga treccia. Salutò le donne nell'antica lingua e le invitò a salire. Nonostante l'età, l'anziano affrontò con agilità la scalinata, ramo dopo ramo, fino ad arrivare al quinto livello. Aurora e Larìs si resero conto di essere su una specie di torre che sovrastava il tempio e che, dalle finestre, si poteva ammirare la costruzione in tutta la sua magnificenza. L'anziano Hiamalè si inginocchiò avanti a una porta in legno, decorata con stupendi intarsi, e invitò le due donne a fare altrettanto. Come se qualcuno avesse avvertito la loro presenza, anche se non annunciati, la porta si spalancò e le due donne si trovarono al cospetto del Grande Patriarca.
«Non c'è alcun bisogno che vi prostriate avanti a me» disse, congedando l'anziano e invitando le due donne a entrare nella sua stanza. «Siete le benvenute. Vi stavo aspettando da tempo, la percezione del vostro arrivo era forte dentro di me. Mi presento a voi, fedeli adepte, che aspirate al sapere universale. Da quando sono in questo luogo mi faccio chiamare Roboamo, anche se questo non è il mio vero nome, in onore del figlio del Re Salomone che così si chiamava. La tradizione vuole che questo tempio sia stato fatto edificare proprio dal saggio Re in questi luoghi inaccessibili, tra queste che sono le più alte montagne della Terra, per fare da scrigno e da protezione al libro di magia più antico e più esatto, scritto proprio di suo pugno, “La chiave di Salomone”. Le leggende narrano che tale libro sia stato ritrovato, dopo qualche secolo dalla morte del famoso Re, all'interno della sua tomba, conservato in un contenitore in avorio insieme a un anello recante il suo sigillo. In molti cercarono di tradurre quello scritto prima in Latino, poi in Francese, ma nessuno riuscì appieno nell'intento, in quanto quello era solo un falso e Re Salomone aveva fatto in modo di renderlo incomprensibile. L'originale “Chiave di Salomone” è invece conservata nel Sancta Sanctorum di questo tempio e solo poche sagge persone, nel corso dei millenni, vi hanno potuto avere accesso. Forse tu, Aurora, potrai entrare a far parte di quei pochi eletti, ma non precorriamo i tempi. Voi siete qui per accedere al sapere conservato in questo luogo così come, prima di voi, sono giunte persone desiderose di consultare importanti testi, che sono stati raccolti qui da tempo immemorabile. Sono giunti sacerdoti di qualsiasi tipo di religione, ma anche importanti uomini di scienza, grazie ai quali questa costruzione è stata dotata di moderni comfort. Avete visto voi stesse l'impianto per la produzione di energia elettrica. Non è semplice far arrivare qui materie prime per la costruzione di tali impianti. L'ultimo scienziato che ci ha fatto visita era un Italiano, la cui idea era quella di trasformare l'energia dei raggi solari, ma anche quella insita nella luce stessa, in energia elettrica, per mezzo di microcelle, che lui chiamava celle fotovoltaiche, in onore del suo compaesano Alessandro Volta. Ma, mentre in voi vedo delle aure positive, intorno a lui aleggiava un'aura scura, tendente al nero, indice di malvagità e perfidia d'animo.»
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