Diego Maenza - Tutte Le Lettere D'Amore Sono Ridicole

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Tutte Le Lettere D'Amore Sono Ridicole: краткое содержание, описание и аннотация

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Eloisa, una donna anziana che in gioventù fu vittima di un brutale abuso sessuale da parte di tre uomini, ricorda nell'ultimo giorno della sua vita questa cruda storia che la segnò.
La racconta a una delle infermiere della clinica nel quale si trova agonizzante, mentre sfoglia un quaderno che contiene tutte le lettere che scambiò in giovane età con Abelardo, l'unico amore della sua vita.
Maenza riflette sugli aspetti psicologici, etici e filosofici dell'amore occidentale e compone un discorso mieloso e intelligente in cui il tempo, i riti degli amanti e la presenza erotica vengono affrontati in modo sottile. Include una visione singolare della scrittura e una particolare e simbolica Teoria degli affetti, che usa nell'analisi della metafisica dei colori, lo zodiaco, le percezioni sensoriali, l'immaginario delle bestie alchimiste, gli elementi classici e gli arcani dei Tarocchi. In un epoca in cui le relazioni si susseguono a causa della vertiginosa modernità e in cui pullulano gli amori liquidi (secondo Bauman), ”Tutte le lettere d'amore sono ridicole” rivendica il rituale laico della corrispondenza amorosa, sempre più in decadenza, evadendo da quella lentezza che Kundera attribuisce ai romanzi sentimentali.
”Tutte le lettere d'amore sono ridicole” è costruito come una narrazione paradossale dei testi romantici ma è, allo stesso tempo, una dissertazione moderna sull'amore, unita a una storia d'affetto e a un tragico finale che fa riflettere su temi considerati dei tabù come l'abuso, la reificazione della donna e la violenza contemporanea.

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Il destino volle che dalla penombra emergessero i tre rapaci. L'uomo corpulento mi abbordò con la maschera di arcangelo. Non pronunciò nessuna parola e non l'avrebbe fatto per tutta quella angustiosa notte, ma si mise nel mezzo del cammino e aprì orizzontalmente le sue braccia per far sì che mi fermassi, e così capii che era il capo del gruppo. Fecero capolino le altre due figure. Un giovane magro e non molto alto, con corporatura d'adolescente, portava la maschera di un teschio. Disse ―non puoi passare―, e il suono della sua voce mi confermò la sua giovane età. L'individuo alto e tozzo indossava invece la maschera di un ariete. La sua voce era grossa come la sua pancia e mi consigliò di non gridare.

Il mio corpo sentì il pallore tipico dello spavento. I miei pensieri si paralizzarono, come i miei muscoli. I miei peli si rizzarono quando sentii il contatto forzato con quelle tre bestie. Come se quel grasso ariete fosse stato uno stregone e la sua minaccia fosse stata una maledizione: per quanto ci provassi non potei gridare.

LETTERA DUE

La mattina in cui mi svegliai sorpresa di aver capito di essermi innamorata di te, per me fu una rivelazione. Forse non riesco ad esprime la immagine precisa e mi trovo incapace di descrivere la sensazione esatta, ma il ricordo mi emerge quasi nitido, come un dejà vu che aspetta di essere plasmato. Fino a quel momento ero solo un'amica per te, una compagna di circostanze alla quale ti affidavi nei tuoi momenti di noia come se fosse la distrazione più adeguata di qualsiasi adolescente.

Un'altra mattina rivelatrice, nella quale mi resi felice, fu quando mi desti quell'innocente bacio. Arrivando a casa mi coricai nell'amaca e, mentre il vento leggero sfiorava il mio viso felice, il ricordo del tuo tatto mi evocava sensazioni quasi epilettiche, scosse interne che mi smuovevano come insetti rivoltando il mio petto o come dolci piccoli vermi che solcavano le mie viscere.

Le mattine... Forse sono premonitorie, o dei segnali. Le mattine a scuola non sarebbero state piacevoli se non fosse stato per la tua presenza durante le ricreazioni, anche solo per sentire emergere dalla tua bocca qualche sillaba, dato che io (come in varie occasioni ti ho fatto notare) dovevo tirarti fuori le parole con il cucchiaio, metafora in realtà adeguata a quell'epoca in cui eri un ragazzino pallido e silenzioso. La cosa importante era percepire le nostre figure sedute sulla panchina, con le mie gambe unite e le mie mani appoggiate sulle ginocchia, e captare il movimento dei miei capelli che interagivano con te, come due magneti estranei che vogliono attrarsi ma unicamente si toccano in un via vai di tensione. Fu in quei giorni che mi innamorai di te, delle tue lunghe pause di silenzio, del tuo sguardo proiettato verso l'orizzonte alla ricerca di idee e che mi incitavano ad esplorare l'enigma della tua prudenza.

Era una mattina quando mi aspettasti sotto quella pioggia torrenziale. Insistetti sull'appuntamento, senza renderti conto che sarebbe stato più pratico eludere il diluvio e rimandare il nostro incontro fino all'uscita dell'arcobaleno. Erano le mattine quelle che ci facevano incontrare in quel parco pubblico, nell'angolo che ribattezzammo usando un nome stravagante e che avremmo usato codice nelle seguenti occasioni, sempre essendo coscienti che ogni coppia lo aveva rinominato con un nome conforme alla loro relazione. Era un mattino quando sfiorasti i miei seni con l'impudenza propria dei tuoi ormoni. Fu una mattina (voglio sognarlo così) quando accarezzasti le mie natiche al di sopra della tela del pantalone di quei jeans che odiavo.

Fu di mattina la prima volta che facemmo l'amore, anche se il nostro amore già era si era fatto molto prima. Forse perché a quel tempo solo avevamo degli spazi nelle prime ore della giornata, quando il cielo si faceva più chiaro e ci svegliavamo desiderando arrivasse l'istante dell'incontro. E dopo arrivavano i pomeriggi, che chissà non sono così premonitori, ma molto speciali, senza dubbio. Quando il mezzogiorno si avvicinava e con gioia mi preparavo per gli incontri in città.

Il nostro amore maturava, e noi con lui, queste vite pesanti e tristi a causa della distanza, ma nonostante questo ci sentivamo vicini.

Ricordi il tempo in cui non avevamo telefoni e riuscivamo a scambiarci messaggi grazie ad un quaderno o ad un complice momentaneo. Dopo tutti questi ricordi felici, mi tornano alla memoria le nostre situazioni contemporanee, quelle che stiamo costruendo e distruggendo. Un uomo russo disse che anche i più grandi riformisti della società sono dei criminali, perché al promulgare nuove leggi, aboliscono le antiche che venivano conservate come sacre. Per questo dico che, per continuare ad edificare, dobbiamo demolire alcune cose, esorcizzare i nostri errori, praticare una depurazione nella nostra relazione per non lasciarla morire.

Forse non mi comprenderai completamente, è la cosa più probabile. Ma continuo ad essere qui, cercando di dirti che voglio interpretare i codici della tua angustia e iniziare un cammino mano nella mano con te. Magari non una soluzione radicale, immediata, ma una che serva ad aggiustare l'equilibrio di questa relazione che sta tremando come un castello di carte costruito sul sedile di un treno in corsa.

Questa lettera è un simbolo del mio impegno. Mi sento sconcertata perché avverto che ti ho chiesto troppo e, nelle tue circostanze, non hai potuto soddisfare i miei capricci, non perché non lo volessi ma perché la natura della tua tristezza ti ha assorbito e non sono stata capace di avvertirlo, fino a questo momento in cui il giorno si fa più chiaro in quest'alba sconfortante.

Forse si, le mattine sono premonitrici. Perché, proprio ora, mi arriva l'immagine di un ipotetico futuro, con il tuo caldo corpo riposando insieme al mio in un abbraccio mattutino, in un risveglio mentre siamo ancora immersi nei sogni, quando la rugiada ha distillato il sudore sull'erba vicino e il primo crepuscolo della giornata evidenzia il calore che non sarà del sole ma del nostro risveglio.

Tua oggi, domani e sempre.

CAPITOLO TRE

La nostra storia iniziò ai tempi della scuola. Una ragazzina esaltata gridava a gran voce le sue lamentele contro il direttore. Era l'aggraziata Eloisa. Esile, con il suo bacino di porcellana e il suo viso d'angelo, il suo chignon alto e il carisma che straripava per il suo impeto giovanile. Conoscendoci, a poco a poco, una vicinanza travestita da amicizia ci avvicinava. Il momento più importante della ricreazione era poterla vedere e dirigerle un saluto con lo sguardo. Le mattine si impegnarono a mettermi al suo fianco. Gradualmente le mie illusioni si fecero spazio; a volte, esaltato, non riuscivo a contenermi perché mi aveva scelto per una chiacchierata durante tutto il tempo che avevamo a disposizione; in altre occasioni predominava la tristezza, quando vedevo passare i minuti disponibili parlando allegramente con un gruppo di amici.

Un mattino, dopo essere usciti dall'istituto e dopo aver partecipato ad alcuni giochi di una fiera del paese, passai per una stradina che non percorrevo abitualmente, con l'intenzione di tornare a casa. Sentì un grido provenire da dietro di me. Da lontano, una squadriglia di ragazzine con uniformi scomposte mi incitavano con le mani ad avvicinarmi a loro. Un parco ricoperto di terriccio ci offrì il suo suolo come unico posto in cui sedersi. I commenti pieni di puerilità (a cui io non volevo intromettermi) di quelle giovani donne, mi impedivano di prendere parte alla conversazione. Brillai per il mio silenzio e diressero i loro sguardi verso di me. Forza, diglielo , mi disse una ragazza con le lentiggini dirigendo lo sguardo verso Eloisa. I nervi presero il possesso della mia pelle. Ricordai che qualche settimana prima, mi ero svegliato sapendo chiaramente di essere innamorato. Ceraci di riprodurre il discorso amoroso che avevo ripassato qualche giorno prima, ma le parole volarono ad una dimensione impossibile da oltrepassare. Fuoriuscì da me una risata leggera. Fu quando poi sentii dire: Dì pure. Lo aveva proferito l'amica più vicina ad Eloisa, e questo mi stimolò a parlare. La guardai. Era seduta con le gambe incrociate, nella posizione del loto.

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