AAVV - Acoger, abastecer y financiar la corte

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A través del diálogo entre la historia económica y urbana y la historia cortesana, las contribuciones reunidas en este volumen pretenden profundizar en el conocimiento de las relaciones materiales y económicas que mantuvieron las ciudades y las cortes cristianas de la Península Ibérica, entre los siglos XIV y XV. A finales de la Edad Media, aquellas cortes solían ser itinerantes: a lo largo del año, visitaban y se alojaban tanto en pequeños centros urbanos como en ciudades, donde no siempre disponían de un palacio propio. Viajes y estancias que suponían una contínua demanda de avituallamiento, productos de lujo y recursos financieros para mantener su 'train de vie'. Para el mundo urbano, acoger, alojar, pero también abastecer y financiar séquitos áulicos de centenares de personas constituía un desafío logístico, pero también financiero. Ofrecemos aquí un análisis de los mecanismos y estrategias desarrollados por las sociedades urbanas para satisfacer las necesidades cortesanas, así como del impacto de su presencia y de su demanda sobre los mercados urbanos.

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Invece Ferdinando I, coerentemente con l’investitura feudale ricevuta da Benedetto XIII, che era in Sicilia l’unica fonte di legittimità per il suo regno, il 3 aprile 1414 rinnovò agli ambasciatori siciliani, perché fossero applicate anche nell’isola, le disposizioni emanate il 22 gennaio per i territori della Corona, che imponevano a tutti i prelati l’abiura nei confronti degli altri due papi, Gregorio XII (il papa della linea romana, risalente ad Urbano VI) e Giovanni XXIII (il papa della linea più breve e recente del Concilio di Pisa), e la sottomissione di tutta la Sicilia a papa Benedetto. Mentre il grande scisma d’Occidente si avviava a soluzione con la convocazione imperiale del Concilio di Costanza, la Sicilia, dove tutte e tre le obbedienze pontificie erano confusamente, ma liberamente presenti, venne tardivamente e forzatamente allineata agli altri possedimenti della Corona nell’obbedienza unitaria a Pietro de Luna. Il fondamento del provvedimento di Ferdinando era costituito dalle risultanze dell’inchiesta di legittimità che suo padre Giovanni I nel lontano 1381 aveva promosso come re di Castiglia.

Poco prima che re Ferdinando prendesse tali provvedimenti, il 20 gennaio 1414 Benedetto XIII aveva già delegato pieni poteri al vescovo di Barcellona per tutto quanto riguardasse l’abbandono dello scisma nel Regno di Trinacria, come aveva continuato a denominarlo nel rispetto della tradizione della sede apostolica 4. Città e terre, vescovi ed abati siciliani, priori e provinciali degli ordini religiosi sottoscrissero gli atti di sottomissione a Benedetto e di abiura verso gli altri due pontefici 5. Secondo una relazione proveniente dalla sua curia 6, il 13 giugno il papa Luna poteva finalmente ritenere con soddisfazione di avere ormai assicurata la piena obbedienza di tutto il Regno dell’isola di Sicilia 7. In realtà a quella data il progressivo allineamento della Sicilia non era completo, come incerto era ancora il potere del re sull’isola. La stessa fonte riporta del resto il quadro dei conferimenti o riconferimenti successivi di cattedrali, abbazie e benefici da parte di Benedetto XIII, il quale il 21 agosto nominò un nunzio apostolico nel Regno di Trinacria, affidandogli la riscossione dei diritti spettanti alla Camera apostolica, da esercitare con molta discrezione e cautela: «prudenter et dulciter, sine scandalo». La dolcezza, applicata all’esazione delle imposte, è certamente rivelatrice da parte di un’amministrazione finanziaria di una situazione di estrema delicatezza 8. Per quanto riguardava prelazie e benefici ecclesiastici ricevuti in precedenza da pontefici di un’altra linea, e ora riconcessi da Benedetto, si trattava di riscuotere per la seconda volta tasse che erano già state versate, anche se ad una diversa amministrazione finanziaria. Fu necessario che la Camera apostolica di Benedetto XIII ricorresse ampiamente alle transazioni con gli ecclesiastici siciliani, riducendo notevolmente le somme da pagare.

Agli ambasciatori siciliani arrivati nella primavera del 1414 per discutere una materia dibattuta nell’isola dalla morte nel 1409 del re Martino il Giovane, che nella sostanza atteneva al governo del Regno: la richiesta, che sarà mantenuta negli anni seguenti, di avere di nuovo in Sicilia un proprio re, con la sua corte, il papa aragonese prospettò il proprio trasferimento nell’isola.

La portata dell’intenzione manifestata da Benedetto XIII e l’effetto in grado di produrre sui siciliani vanno compresi, non solo alla luce delle vicende e difficoltà attraversate dal suo pontificato, che lo spinsero alla ricerca di un rifugio sicuro, ma anche riflettendo sia sulla storia dell’isola, che a partire dalla rivolta del Vespro aveva vissuto in un clima di combattivo ghibellinismo, sia sulle pretese, ormai di lunga durata, della Sede apostolica, per la quale in Sicilia il papa era al di sopra del re, suo vassallo, era il dominus territoriale, essendo l’isola terra Ecclesie . Si poteva immaginare o pretendere che la presenza di Benedetto XIII con la sua corte, di un papa così fermo e ostinato, che era stato appena riconosciuto come il vero papa, ma che nessun altro più riconosceva, avrebbe soddisfatto le richieste di autogoverno dei siciliani, i quali invece della presenza del re avrebbero addirittura ottenuto quella del papa, che sul Regno aveva l’alto dominio, e della sua corte? Delle reazioni siciliane non troviamo notizia, ammesso che il progetto pontificio riuscisse a vivere abbastanza da pervenire nell’isola.

Compiti speciali furono affidati da Benedetto XIII verso la fine di settembre del 1414 a due vescovi siciliani che avevano fatto parte dell’ambasceria, affiancati dal collettore che il papa aveva nominato per riscuotere i diritti, anche passati, della Camera apostolica. Comprendevano la predicazione in tutto il Regno di Sicilia dell’obbedienza al papa, da delegare a quattro frati mendicanti, e la riduzione forzata all’obbedienza dei siciliani pertinaci nello scisma.

In questo quadro si colloca l’invio nell’isola di un ecclesiastico, Antoni Caldés, rettore nella diocesi di Valencia della chiesa parrocchiale de L’Ènova, lo stesso personaggio che all’inizio del 1406 in un registro della Camera apostolica 9figura come uno degli esecutori testamentari del defunto cardinale Pere Serra, già amministratore dell’arcivescovato di Monreale, poi vescovo di Catania, e cancelliere del re di Sicilia come primogenito del re d’Aragona. Il Caldés aveva avuto uno stretto rapporto personale col Serra, del quale era stato il camerlengo e dopo il 1402 vicario generale a Catania, e possedeva quindi un’esperienza approfondita e una conoscenza diretta della situazione siciliana. Chierico della diocesi valenciana, nel 1378 era a Roma studente nello studium urbis . Bacallarius in decretis , nel 1397 era stato incaricato di trattare con Benedetto XIII la spinosissima questione della consegna dell’anello e del cappello cardinalizio al Serra, che il re non voleva assolutamente accompagnare con la tradizionale cerimonia pubblica. E altri delicati incarichi aveva svolto in seguito per conto di Martino e del cardinale presso il papa avignonese, col quale i rapporti del re furono a volte assai conflittuali, prima di passare alla curia pontificia dopo la morte del Serra 10.

Il Caldés fu incaricato da Benedetto XIII di accertare quali fossero state le reazioni dei siciliani alla notizia, che riteneva dovesse essere stata diffusa, della imminente venuta del papa nel Regno 11. Avrebbe dovuto registrare soprattutto le reazioni nelle quattro principali città, che erano prese in considerazione, oltre Palermo e Catania, anche Siracusa e Trapani, alla quale in verità non spettava il titolo di città, perché non era sede episcopale. In particolare avrebbe dovuto accertare quale tipo di accoglienza sarebbe stata riservata a Benedetto XIII e alla corte pontificia, se egli avesse deciso di stabilirsi a Catania o a Palermo (è da considerare che a Catania, città fortemente catalanizzata, più a lungo che a Palermo avevano risieduto i re della Casa d’Aragona e la corte nel corso del Trecento) e indagare se la venuta del papa nell’una o nell’altra città avrebbe incontrato il favore generale o di una parte soltanto. Non era comunque escluso che Benedetto e la sua corte potessero stabilirsi in un’altra delle città siciliane. Il Caldés avrebbe dovuto valutare quale fosse la città più adatta e meglio disposta ad ospitare il pontefice e la curia. Catania o Palermo sembravano comunque le residenze più probabili e l’indagine doveva rivolgersi soprattutto ad esse.

A Catania il papa avrebbe potuto risiedere per una parte dell’anno nel castello (il castello Ursino, residenza reale, ma pure dell’Alagona, vicario generale e dominus cittadino) e ne andava quindi accertata l’idoneità: «si lo castell és dispost per a estar e reposar-y algun temps del any», ma specialmente d’estate il papa avrebbe preferito una residenza situata più in alto, lungo le pendici dell’Etna, da dove avere la vista della città, dei giardini, dei dintorni e della marina: «com vulla tostemps, maiorment en l’estiu, de estar en loch alt, per veure la ciutat, la orta e les circumstàncies e marítima». Per le esigenze della corte pontificia, il Caldés avrebbe dovuto verificare l’esistenza a Catania di palazzi idonei ad alloggiare prelati di curia e cardinali («quins alberchs y ha per als senyors cardenals e prelats de cort»), e accertarsi se vi fosse per il papa un altro palazzo, che fosse notevole e vicino alla cattedrale, per le frequenti celebrazioni solenni che Benedetto XIII vi avrebbe tenuto («e si n’i ha algun notable per a la sua santedat prope la esgleya maior, per lo celebrar que fa in pontificalibus diverses vegades»).

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