Dante Alighieri - La Divina Commedia di Dante Alighieri

Здесь есть возможность читать онлайн «Dante Alighieri - La Divina Commedia di Dante Alighieri» — ознакомительный отрывок электронной книги совершенно бесплатно, а после прочтения отрывка купить полную версию. В некоторых случаях можно слушать аудио, скачать через торрент в формате fb2 и присутствует краткое содержание. Жанр: unrecognised, на итальянском языке. Описание произведения, (предисловие) а так же отзывы посетителей доступны на портале библиотеки ЛибКат.

La Divina Commedia di Dante Alighieri: краткое содержание, описание и аннотация

Предлагаем к чтению аннотацию, описание, краткое содержание или предисловие (зависит от того, что написал сам автор книги «La Divina Commedia di Dante Alighieri»). Если вы не нашли необходимую информацию о книге — напишите в комментариях, мы постараемся отыскать её.

La Divina Comedìa è un poema allegorico di Dante Alighieri, scritto in terzine incatenate di endecasillabi in lingua volgare fiorentina. Il poema è diviso in tre parti, chiamate «cantiche» (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti formati da un numero variabile di versi, fra 115 e 160, strutturati in terzine. Il poeta narra di un viaggio immaginario, ovvero di un Itinerarium mentis in Deum, attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della Trinità. La sua rappresentazione immaginaria e allegorica dell'oltretomba cristiano è un culmine della visione medievale del mondo sviluppatasi nella Chiesa cattolica.

La Divina Commedia di Dante Alighieri — читать онлайн ознакомительный отрывок

Ниже представлен текст книги, разбитый по страницам. Система сохранения места последней прочитанной страницы, позволяет с удобством читать онлайн бесплатно книгу «La Divina Commedia di Dante Alighieri», без необходимости каждый раз заново искать на чём Вы остановились. Поставьте закладку, и сможете в любой момент перейти на страницу, на которой закончили чтение.

Тёмная тема
Сбросить

Интервал:

Закладка:

Сделать

non se’ ancor per tutto il cerchio vòlto:

per che, se cosa n’apparisce nova,

non de’ addur maraviglia al tuo volto”.

E io ancor: “Maestro, ove si trova

Flegetonta e Letè? ché de l’un taci,

e l’altro di’ che si fa d’esta piova”.

“In tutte tue question certo mi piaci”,

rispuose; “ma ‘l bollor de l’acqua rossa

dovea ben solver l’una che tu faci.

Letè vedrai, ma fuor di questa fossa,

là dove vanno l’anime a lavarsi

quando la colpa pentuta è rimossa”.

Poi disse: “Omai è tempo da scostarsi

dal bosco; fa che di retro a me vegne:

li margini fan via, che non son arsi,

e sopra loro ogne vapor si spegne”.

Inferno: Canto XV

Ora cen porta l’un de’ duri margini;

e ‘l fummo del ruscel di sopra aduggia,

sì che dal foco salva l’acqua e li argini.

Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,

temendo ‘l fiotto che ‘nver lor s’avventa,

fanno lo schermo perché ‘l mar si fuggia;

e quali Padoan lungo la Brenta,

per difender lor ville e lor castelli,

anzi che Carentana il caldo senta:

a tale imagine eran fatti quelli,

tutto che né sì alti né sì grossi,

qual che si fosse, lo maestro felli.

Già eravam da la selva rimossi

tanto, ch’i’ non avrei visto dov’era,

perch’io in dietro rivolto mi fossi,

quando incontrammo d’anime una schiera

che venìan lungo l’argine, e ciascuna

ci riguardava come suol da sera

guardare uno altro sotto nuova luna;

e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia

come ‘l vecchio sartor fa ne la cruna.

Così adocchiato da cotal famiglia,

fui conosciuto da un, che mi prese

per lo lembo e gridò: “Qual maraviglia!”.

E io, quando ‘l suo braccio a me distese,

ficcai li occhi per lo cotto aspetto,

sì che ‘l viso abbrusciato non difese

la conoscenza sua al mio ‘ntelletto;

e chinando la mano a la sua faccia,

rispuosi: “Siete voi qui, ser Brunetto?”.

E quelli: “O figliuol mio, non ti dispiaccia

se Brunetto Latino un poco teco

ritorna ‘n dietro e lascia andar la traccia”.

I’ dissi lui: “Quanto posso, ven preco;

e se volete che con voi m’asseggia,

faròl, se piace a costui che vo seco”.

“O figliuol”, disse, “qual di questa greggia

s’arresta punto, giace poi cent’anni

sanz’arrostarsi quando ‘l foco il feggia.

Però va oltre: i’ ti verrò a’ panni;

e poi rigiugnerò la mia masnada,

che va piangendo i suoi etterni danni”.

I’ non osava scender de la strada

per andar par di lui; ma ‘l capo chino

tenea com’uom che reverente vada.

El cominciò: “Qual fortuna o destino

anzi l’ultimo dì qua giù ti mena?

e chi è questi che mostra ‘l cammino?”.

“Là sù di sopra, in la vita serena”,

rispuos’io lui, “mi smarri’ in una valle,

avanti che l’età mia fosse piena.

Pur ier mattina le volsi le spalle:

questi m’apparve, tornand’io in quella,

e reducemi a ca per questo calle”.

Ed elli a me: “Se tu segui tua stella,

non puoi fallire a glorioso porto,

se ben m’accorsi ne la vita bella;

e s’io non fossi sì per tempo morto,

veggendo il cielo a te così benigno,

dato t’avrei a l’opera conforto.

Ma quello ingrato popolo maligno

che discese di Fiesole ab antico, e tiene ancor del monte e del macigno,

ti si farà, per tuo ben far, nimico:

ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi

si disconvien fruttare al dolce fico.

Vecchia fama nel mondo li chiama orbi;

gent’è avara, invidiosa e superba:

dai lor costumi fa che tu ti forbi.

La tua fortuna tanto onor ti serba,

che l’una parte e l’altra avranno fame

di te; ma lungi fia dal becco l’erba.

Faccian le bestie fiesolane strame

di lor medesme, e non tocchin la pianta,

s’alcuna surge ancora in lor letame,

in cui riviva la sementa santa

di que’ Roman che vi rimaser quando

fu fatto il nido di malizia tanta”.

“Se fosse tutto pieno il mio dimando”,

rispuos’io lui, “voi non sareste ancora

de l’umana natura posto in bando;

ché ‘n la mente m’è fitta, e or m’accora,

la cara e buona imagine paterna

di voi quando nel mondo ad ora ad ora

m’insegnavate come l’uom s’etterna:

e quant’io l’abbia in grado, mentr’io vivo

convien che ne la mia lingua si scerna.

Ciò che narrate di mio corso scrivo,

e serbolo a chiosar con altro testo

a donna che saprà, s’a lei arrivo.

Tanto vogl’io che vi sia manifesto,

pur che mia coscienza non mi garra,

che a la Fortuna, come vuol, son presto.

Non è nuova a li orecchi miei tal arra:

però giri Fortuna la sua rota

come le piace, e ‘l villan la sua marra”.

Lo mio maestro allora in su la gota

destra si volse in dietro, e riguardommi;

poi disse: “Bene ascolta chi la nota”.

Né per tanto di men parlando vommi

con ser Brunetto, e dimando chi sono

li suoi compagni più noti e più sommi.

Ed elli a me: “Saper d’alcuno è buono;

de li altri fia laudabile tacerci,

ché ‘l tempo sarìa corto a tanto suono.

In somma sappi che tutti fur cherci

e litterati grandi e di gran fama,

d’un peccato medesmo al mondo lerci.

Priscian sen va con quella turba grama,

e Francesco d’Accorso anche; e vedervi,

s’avessi avuto di tal tigna brama,

colui potei che dal servo de’ servi

fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione,

dove lasciò li mal protesi nervi.

Di più direi; ma ‘l venire e ‘l sermone

più lungo esser non può, però ch’i’ veggio

là surger nuovo fummo del sabbione.

Gente vien con la quale esser non deggio.

Sieti raccomandato il mio Tesoro

nel qual io vivo ancora, e più non cheggio”.

Poi si rivolse, e parve di coloro

che corrono a Verona il drappo verde

per la campagna; e parve di costoro

quelli che vince, non colui che perde.

Inferno: Canto XVI

Già era in loco onde s’udìa ‘l rimbombo

de l’acqua che cadea ne l’altro giro,

simile a quel che l’arnie fanno rombo,

quando tre ombre insieme si partiro,

correndo, d’una torma che passava

sotto la pioggia de l’aspro martiro.

Venian ver noi, e ciascuna gridava:

“Sòstati tu ch’a l’abito ne sembri

esser alcun di nostra terra prava”.

Ahimè, che piaghe vidi ne’ lor membri

ricenti e vecchie, da le fiamme incese!

Ancor men duol pur ch’i’ me ne rimembri.

A le lor grida il mio dottor s’attese;

volse ‘l viso ver me, e: “Or aspetta”,

disse “a costor si vuole esser cortese.

E se non fosse il foco che saetta

la natura del loco, i’ dicerei

che meglio stesse a te che a lor la fretta”.

Ricominciar, come noi restammo, ei

l’antico verso; e quando a noi fuor giunti,

fenno una rota di sé tutti e trei.

Qual sogliono i campion far nudi e unti,

avvisando lor presa e lor vantaggio,

prima che sien tra lor battuti e punti,

così rotando, ciascuno il visaggio

drizzava a me, sì che ‘n contraro il collo

faceva ai piè continuo viaggio.

E “Se miseria d’esto loco sollo

rende in dispetto noi e nostri prieghi”,

cominciò l’uno “e ‘l tinto aspetto e brollo,

la fama nostra il tuo animo pieghi

a dirne chi tu se’, che i vivi piedi

così sicuro per lo ‘nferno freghi.

Читать дальше
Тёмная тема
Сбросить

Интервал:

Закладка:

Сделать

Похожие книги на «La Divina Commedia di Dante Alighieri»

Представляем Вашему вниманию похожие книги на «La Divina Commedia di Dante Alighieri» списком для выбора. Мы отобрали схожую по названию и смыслу литературу в надежде предоставить читателям больше вариантов отыскать новые, интересные, ещё непрочитанные произведения.


Отзывы о книге «La Divina Commedia di Dante Alighieri»

Обсуждение, отзывы о книге «La Divina Commedia di Dante Alighieri» и просто собственные мнения читателей. Оставьте ваши комментарии, напишите, что Вы думаете о произведении, его смысле или главных героях. Укажите что конкретно понравилось, а что нет, и почему Вы так считаете.

x