La posizione esatta dell’accampamento aveva potuto essere determinata in base a quella del monte Franklin, e poiché il vulcano si vedeva a nord a meno di tre miglia di distanza, non si trattava che di prendere una direzione rettilinea verso sudovest per raggiungere la costa occidentale.
Gli esploratori partirono, dopo avere accuratamente assicurato l’ormeggio della piroga. Pencroff e Nab portavano provviste sufficienti a nutrire la piccola comitiva per almeno due giorni. Non era più il caso di cacciare, e l’ingegnere raccomandò, anzi, ai suoi compagni di evitare ogni detonazione intempestiva, allo scopo di non segnalare la loro presenza nelle vicinanze del litorale. I primi colpi di scure furono dati nei cespugli, tra cespugli di lentischio, poco oltre la cascata e, bussola in mano, Cyrus Smith indicò la strada da seguire.
La foresta si componeva colà di alberi per la maggior parte già veduti e identificati nei dintorni del lago e dell’altipiano di Bellavista. Erano deodora, pini douglas, casuarine, alberi della gomma, eucalipti, dracene, ibischi, cedri e altre varietà, generalmente di mediocri dimensioni, poiché il loro numero aveva nociuto allo sviluppo. I coloni non poterono, quindi, avanzare che lentamente sulla via che si aprivano cammin facendo e che nel pensiero dell’ingegnere avrebbe dovuto più tardi essere congiunta a quella del Creek Rosso.
Dopo la partenza, i coloni procedettero discendendo le basse terrazze che costituivano il sistema orografico dell’isola, e su di un terreno asciuttissimo, ma la cui lussureggiante vegetazione faceva supporre o la presenza d’una rete idrografica nel sottosuolo, o la vicinanza di qualche ruscello. Eppure, Cyrus Smith non si ricordava di aver veduto, durante la sua escursione al cratere, altri corsi d’acqua all’infuori di quelli del Creek Rosso e del Mercy.
Durante le prime ore dell’escursione, rividero branchi di scimmie, che sembravano provare il più grande stupore alla vista di quegli uomini, dall’aspetto nuovo per loro. Gedeon Spilett domandava scherzosamente se gli agili e robusti quadrumani non considerassero i suoi compagni e lui come dei fratelli degeneri! E francamente, dei semplici pedoni, molestati a ogni passo dai cespugli, ostacolati dalle liane, fermati ogni tanto dai tronchi d’albero, non brillavano certo in paragone a quegli agili animali, che saltavano di ramo in ramo e che nulla fermava. Le scimmie erano numerose, ma fortunatamente non manifestarono alcuna disposizione ostile.
Si videro anche dei cinghiali, degli aguti, dei canguri e altri roditori, e due o tre kula, ai quali Pencroff avrebbe volentieri inviato qualche scarica di piombo.
«Ma» egli diceva «la caccia non è aperta. Sgambettate, pure, amici miei, saltate e volate in pace! Vi diremo due parole al ritorno!»
Alle nove e mezzo del mattino, la via che conduceva direttamente a sudovest si trovò a un tratto sbarrata da un corso d’acqua sconosciuto, largo da trenta a quaranta piedi, la cui corrente, molto agitata, a causa dell’inclinazione del letto e degli scogli numerosi che la rompevano in più punti, si precipitava con sordi brontolìi. Quel corso d’acqua era profondo e chiaro, ma non sarebbe stato assolutamente navigabile.
«Eccoci bloccati!» esclamò Nab.
«No,» rispose Harbert «non è che un ruscello e saremo, certo, capaci di passarlo a nuoto.»
«A che serve?» rispose Cyrus Smith. «È evidente che questo ruscello corre al mare. Restiamo sulla sua riva sinistra, seguiamo la sua sponda e mi meraviglierò molto se non ci condurrà rapidamente alla costa.»
«Un momento» disse il giornalista. «E il nome di questo ruscello, amici? Non lasciamo incompleta la nostra geografia.»
«Giusto!» disse Pencroff.
«Trovagli tu un nome, ragazzo mio» disse l’ingegnere, rivolgendosi al giovinetto.
«Non è meglio aspettare di averlo studiato sino alla foce?» fece osservare Harbert.
«E sia» rispose Cyrus Smith. «Seguiamolo, dunque, senza fermarci.»
«Un istante ancora!» disse Pencroff.
«Che cosa c’è?» domandò il giornalista.
«Se la caccia è vietata, la pesca è permessa, suppongo» disse il marinaio.
«Non abbiamo tempo da perdere» rispose l’ingegnere.
«Oh! cinque minuti!» replicò Pencroff. «Non vi chiedo che cinque minuti, nell’interesse della nostra colazione!»
E Pencroff, gettandosi a terra sulla sponda del ruscello, immerse le braccia nell’acqua, facendone tosto saltar fuori alcune dozzine di bei gamberi, che brulicavano fra le rocce.
«Ecco qualcosa di buono!» esclamò Nab, aiutando il marinaio.
«Ma se vi dico io che, eccetto il tabacco, c’è di tutto in quest’isola!» mormorò Pencroff con un sospiro.
In meno di cinque minuti fu fatta una pesca miracolosa, poiché i gamberi pullulavano nel ruscello. Fu riempito un sacco di quei crostacei, dal guscio azzurro cobalto e dal rostro dentato. Poi ripresero il cammino.
Da quando seguivano la riva del nuovo corso d’acqua, i coloni camminavano con maggior facilità e più rapidamente. D’altronde, quelle rive erano vergini di ogni impronta umana. Di tanto in tanto si rilevavano delle tracce lasciate da animali di grande corporatura, che dovevano venire abitualmente a dissetarsi al ruscello, ma niente di più; quindi non era in questa parte del Far West che il pecari aveva ricevuto il pallino di piombo, ch’era costato un molare a Pencroff.
Intanto, osservando quella rapida corrente che fuggiva verso il mare, Cyrus Smith fu indotto a supporre che lui e i suoi compagni fossero molto più lontani di quanto credessero dalla costa occidentale. Infatti, a quell’ora la marea saliva sul litorale e avrebbe dovuto ricacciare indietro il corso del ruscello, se la sua foce si fosse trovata solo a poche miglia di distanza. Invece, questo effetto non si produceva e il corso dell’acqua seguiva la naturale inclinazione dell’alveo. L’ingegnere era, dunque, meravigliatissimo e consultò frequentemente la bussola, allo scopo di assicurarsi che qualche svolta improvvisa del fiume non lo riconducesse nell’interno del Far West.
Intanto, il ruscello si allargava a poco a poco e le sue acque divenivano meno tumultuose. Gli alberi della riva destra erano tanto stretti gli uni agli altri quanto quelli della riva sinistra, e lo sguardo non poteva estendersi al di là, ma quei boschi erano certamente deserti, poiché Top non abbaiava, e l’intelligente animale non avrebbe mancato di segnalare la presenza di estranei nelle vicinanze del corso d’acqua.
Alle dieci e mezzo, con gran sorpresa di Cyrus Smith, Harbert, che era un po’ più avanti, si fermò improvvisamente e gridò:
«Il mare!»
E pochi istanti dopo i coloni, fermi sul margine della foresta, videro la costa occidentale dell’isola spiegarsi sotto i loro occhi.
Ma quale contrasto fra quella costa e quella a est, sulla quale il caso li aveva a tutta prima gettati! Non più muraglie di granito, nessun isolotto al largo, nemmeno una spiaggia sabbiosa. La foresta stessa formava il litorale e i suoi ultimi alberi, battuti dalle onde, si chinavano sulle acque. Non era la solita marina, con vasti tappeti di sabbia, o con rocce raggruppate; ma era un mirabile orlo boscoso, sparso dei più begli alberi del mondo. L’argine era sopraelevato in modo da dominare il livello delle più grandi maree, e su tutto quel suolo lussureggiante, sostenuto da una base di granito, le splendide essenze forestali sembravano piantate altrettanto saldamente di quelle che si ammassavano nell’interno dell’isola.
I coloni si trovavano allora all’ingresso di una piccola cala senza importanza, che non avrebbe nemmeno potuto contenere due o tre barche da pesca e che serviva da canale d’accesso al nuovo ruscello; ma — curiosa disposizione — le sue acque, invece di gettarsi nel mare sfociando in dolce pendenza, cadevano da un’altezza di più di quaranta piedi; e questo spiegava perché, pur nell’ora in cui cresceva, la marea non s’era fatta sentire a monte del ruscello.
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