Mirko Ravaschino - Acqua Dentro Acqua

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La storia tragicomica di Nero che incontra Sofia. Il peso di un passato scomodo che influenza il presente.
Nero fin da piccolo è stato particolare. Non è mai riuscito a tracciare una netta linea di separazione tra reale e immaginario. Una storia d'amore sbagliata, il suicidio della sua ragazza, la fuga, il ritorno e l'incontro con Sofia. Una giovane donna che pensa di non aver mai avuto la libertà di scegliere la sua vita. Si è sempre sentita vittima degli eventi. Fino a quel momento.

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L'abitacolo si riempiva di un lieve ronzio intermittente. Luci che respiravano. Rimasero alcuni minuti col collo in su...in piedi.

“Sediamoci qui...tieni” disse Nero porgendole un grosso cuscino di velluto che aveva preso da una mensola. Sembrava di casa in quel luogo, era proprio a suo agio. Si misero entrambi per terra. A naso all'aria. Intorno il buio entrava dai finestrini rotti e si attaccava addosso. Assieme al vento fresco del crepuscolo che preannunciava la notte. E con esso giungeva un silenzio fatto di decine di lucciole. Ogni tanto quella vecchia carcassa in parte in legno in parte di metallo scricchiolava, come se respirasse. Anche lei.

2

Non più essere

In certi momenti mi sentivo alla deriva. In balia delle persone. E credevo che non ci fosse altro modo. Essere per qualcuno. Essere per gli altri. Mai per se stessi. Come se non ne fossi mai stata capace.

Non sono forte. In molti mi dicono che sono forte; che ho una gran personalità, che sono caparbia. Eppure io non mi sento forte. E non lo sono.

Se stai sul ponte di una nave in mezzo alla tempesta e il vento ti spazza con violenza, ti aggrappi alla prima cosa che trovi. Per non cadere in mare. Per non essere portata via. Per rimanere a galla. Nella speranza che la barca non affondi. Io non sono forte. Cerco solo di stare su. Sopra la superficie. Le cose le puoi controllare in un modo o nell'altro. Puoi tutto sommato prevedere le conseguenze delle tue azioni. Sai che se lavorerai, a fine mese avrai i soldi per l'affitto, per uscire a bere una birra, per mettere da parte qualcosa. Con le persone è più difficile. Le persone sono imprevedibili. Anche se poi in fondo sono tutte prevedibili. Cerco sempre di prevedere quello che faranno. Che penseranno. A volte mi sembra di agire in un modo piuttosto che in un altro in base alla reazione che prevedo. A volte non so neppure perché faccio qualcosa. La faccio e basta. E non penso.

A volte non mi importa.

E' come se, non comprendendo davvero ciò che desidero, mi ritrovi a fare tutto ed il contrario di tutto. Per capire. Io non so cosa desidero davvero.

“Mi diresti per favore che strada devo prendere per andarmene da qui?”

“Dipende molto da dove vuoi andare”- disse il Gatto

“Non mi importa molto il dove” disse Alice

“Allora non importa quale strada prendi” rispose il Gatto

E Sofia si sentiva proprio come Alice.

Trattenni a stento una lacrima. La ricacciai su a forza. Piangevo per nulla. Anche se guardavo un film, anche se ascoltavo una canzone. Solo che adesso era diverso. Mi sentivo sola. Persa. E non sapevo cosa fare. Che direzione prendere. Non mi sentivo affatto. Era come se non esistessi e me ne rendessi finalmente conto. E dovevo essere forte. Di una forza che non avevo in realtà. Avevo solo voglia di rimanere su. E niente altro. Stare a galla. Perché affondare è peggio.

Forse.

Può darsi che ero già affondata. E lo stavo comprendendo solo ora. Mi stavo mettendo a fuoco. Come quando esci da un sogno e realizzi piano piano che la realtà è un'altra. Tutt'altra da ciò che pensavi fosse.

Un po' di amaro in bocca.

Nausea. E non voler più sentire.

Guardavo Marco.

Dormiva.

Si appisolava sempre dopo che facevamo sesso.

Diceva che si rilassava così tanto che aveva bisogno di qualche momento di oblio. Ed ero sola. A volte mi sentivo sola anche quando mi scopava. E mi chiedevo cosa fosse sbagliato in me. Perché mi attaccavo così tanto alle persone?

Un sospiro.

Forse lo facevo per avere qualcosa in cambio. Un po' di loro. Un po' di me. E non sentirmi più “io”: sola sulla faccia della terra.

Volevo solo un pezzettino di amore. Niente di così speciale. Non una reggia o un sacco di soldi. Un pochino di amore. E niente più. Mi davo per ricevere.

Ma sapevo che infondo questo era sbagliato...non comprendevo realmente il perché. Però lo sapevo. C'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò.

Non ero sola; lo sapevo bene. Eppure mi sentivo sempre un ingranaggio che girava in disparte. Un pezzo di qualcosa. Di cui non sentivo di far parte appieno.

Accesi la canna.

Da lì a poco Marco si sarebbe svegliato. Avrebbe fatto qualche tiro e avrebbe voluto scoparmi di nuovo. Io lo lasciavo fare. Mi piaceva come mi toccava. Come mi prendeva. Mi piaceva sentirmi sua.

Forse. Non lo so più adesso.

Dentro mi sentivo d'acqua. Un mare di tristezza che a volte tracimava. Quando Marco mi teneva forte mi sentivo sua. Sentivo di essere qualcosa con lui. Non sempre però. Anche se mi piaceva.

Volevo smettere di pensare. Non volevo più pensare. Non mi portava a nulla. Solo a sentirmi più sola. Mi sentivo sempre più sola.

Al terzo tiro Marco si era girato. Aveva preso in mano la canna. Con la mano mi sfiorava. Io lo guardavo. Il mozzicone finisce nel posacenere. Mi tira a sé. Mi bacia. Mi morde. Mi stringe.

Mi prende.

Da dietro.

E mi scopa.

Non penso.

Non sono.

Non esisto.

Godo.

Godo.

La mente si ferma.

I pensieri ghiacciano. Affondano nell'acqua, dentro lo stomaco.

Dopo piangerò.

In doccia.

Ora godo.

E non esisto più.

Mentre le sue natiche premono a balzi sempre più irregolari contro di me.

Mentre sento il calore del suo corpo.

Il sudore.

Dio quanto mi piace.

Forse tutto ciò è sbagliato, ma non so da che parte andare.

Mi lascerà vuota. Dopo.

Adesso. Mai più.

E non m'interessa più di nulla.

Anche se vado a pezzi.

Io non sono forte.

Ma godo.

E non più sono.

***

L'accappatoio è al solito posto. Il mio corpo trema, sorpreso, disarmato dall'improvviso freddo. Mi lascio alle spalle il bagno. Quella casa. Quella vita. Entro nel box doccia. Direziono lo spruzzino verso la parete finché il fumo del vapore mi circonda. Un mondo ovattato. Duro e morbido. Che mi scava. Ed io lascio fare. Gli permetto ogni cosa. E' come se piovesse dentro me. E non fossi più. L'acqua s'infrange sulla pelle.

Mi bagna l'anima.

Mentre cade a terra.

Scivola.

Via, come se avesse fretta.

E mi entra dentro. La respiro.

Vorrei tenerla.

Ancora un po'. Un po' di più. In me. Nella carne. Tra le braccia. Ma cade. Lasciando rigagnoli sul mio seno. Lungo le gambe. Brucia le spalle. Mi riscalda con un abbraccio invisibile. E non riesco a trattenerla. I capelli si appiattiscono sul viso. Mi entrano negli occhi.

Guardo in basso.

Verso lo scolo. E divento sempre più piccola. Mentre l'acqua scorre addosso. Dentro. Mi sento venire meno; risucchiata. Come se ogni forza fosse trascinata via. In un momento. Profondo come un abisso; dove potermi specchiare. E desidero. Essere come lei.

Come l'acqua che mi copre.

Che mi arrossa la pelle.

Scomparire. Assieme a lei. Scivolare via nelle tubature. E non tornare più a sentire.

Invece rimango.

Solida. Nella doccia. Con quel dolore che non ha nome. Con quel vuoto e quella mancanza di non so neppure io cosa. Così forte e reale. Che a volte mi sembra la mia unica ragione di vita. Poggio le mani sulle piastrelle. Non voglio pensare. Mentre scorre lungo la schiena. Quella calda mano. Che lava via ogni gioia ed allo stesso tempo nutre ogni speranza. Prima di toccare terra troverà il suo posto; troverà il suo perché. Almeno lei. E adesso mi sento acqua. Voglio essere acqua. M'illudo di essere acqua.

3

Ho aperto gli occhi all'improvviso.

Come riemergere da una lunga apnea. Le immagini attorno a me sono chiare eppure si confondono con quelle del sogno.

Il solito brutto sogno.

Rimango un attimo a pensare “e se fosse tutto vero?”

Lo scompartimento del treno su cui viaggiavo era vuoto ad eccezione di una ragazza. Mi stava guardando. Accenno un sorriso.

Spero di non aver parlato nel sonno. O peggio, russato. A volte mi capita. Sopratutto quando sono scomodo.

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