Enrico Tasca - Il Fiume Di Gennaio

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Enrico Tasca

Il fiume di gennaio

Romanzo

La copertina: Rio de Janeiro di notte.

Sullo sfondo la baia di Guanabara. In primo piano il Pão de Açucar, con il quartiere di Urca che si affaccia sulla Baia di Botafogo.

Ideata e realizzata dall'autore.

© 2015

Titolo: Il fiume di gennaio

Autore: Enrico Tasca

enrico.tasca@outlook.it

Tutti i diritti riservati.

È vietata per legge la riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazione scritta dell’autore.

Terza edizione

Il 1° gennaio del 1502 il comandante portoghese Gaspar de Lemos, capo di una spedizione di cui faceva parte anche Amerigo Vespucci, entrò con la sua nave in una baia, chiamata in seguito di Guanabara, pensando che si trattasse di un fiume. Chiamò quindi il posto "Il Fiume di Gennaio", che in portoghese si dice "O Rio de Janeiro".

Nel 1504, a proposito del Brasile, Amerigo Vespucci scrisse: "E se nel mondo è alcun paradiso terrestre, senza dubbio deve essere non molto lontano da questi luoghi".

La parola carioca viene spesso erroneamente utilizzata per descrivere l'intera popolazione del Brasile. Invero i carioca sono gli abitanti di Rio de Janeiro, mentre gli abitanti dello stato di Rio de Janeiro si chiamano fluminenses, così come i paulistanos sono gli abitanti della città di São Paulo e i paulistas gli abitanti dello Stato di São Paulo.

Sulle origini del nome carioca, che è sia un aggettivo che un sostantivo, esistono varie opinioni. Sembra quasi certo che derivi dalla lingua dei Tupi, un gruppo etnico che viveva in Amazzonia nel XVI secolo. Per alcuni deriverebbe dal fiume Carioca, per altri significherebbe "casa del bianco", per altri ancora deriverebbe dalla parola akari che indicava un pesce che ricordava l'armatura dei colonizzatori portoghesi.

...Gira pilota,

recuperiamo il cielo ad alta quota, torna nel mondo dal bel colore baio, trovami il fiume di gennaio.

(da "Aguaplano" di Paolo Conte)

PREFAZIONE

Tanto tempo fa mi ero messo in testa di scrivere un romanzo, un giallo alla Mike Spillane, per intenderci, un autore americano che, in quegli anni in cui ero ancora un ragazzo, leggevo avidamente.

Ricordo che avevo iniziato con una frase tipo "La città di notte appariva come una prostituta ingioiellata" che ricevette una stroncatura senza appello da mio fratello maggiore. Fine della mia carriera di romanziere.

Dopo tanti anni, sollecitato da mia moglie, ho voluto riprovarci, con un genere diverso, legato in parte alle mie esperienze. Infatti, come spesso capita, c'è tanto di autobiografico nel mio racconto, ma ovviamente i personaggi sono frutto della mia fantasia.

Per me è stata comunque un'esperienza emozionante. La cosa fantastica è che man mano che la storia andava avanti i personaggi acquistavano spessore, diventavano vivi, veri. Mi sembrava di conoscerli veramente, di averli incontrati nel mondo reale. Non ero io che creavo i loro comportamenti, i loro dialoghi, i loro sentimenti, erano loro che mi trascinavano, loro che agivano costringendomi a seguirli con la penna, o meglio con la tastiera del mio PC.

Qualcuno ha detto che un uomo nella vita dovrebbe fare tre cose: generare un figlio, piantare un albero e scrivere un libro. Mi sto dando da fare.

1

Quando Estela, alle 5 del pomeriggio di una splendida giornata estiva, un giovedì di gennaio, fece il suo ingresso nella sala di attesa del terminale 2 dell'aeroporto Galeão-Antônio Carlos Jobim, Stato di Rio de Janeiro, Brasile, da dove si sarebbe imbarcata per Milano via Lisbona col volo della TAP TP0074, non passò certo inosservata. A parte i capelli neri lunghi e ricci, le labbra carnose e un viso d'angelo, come avrebbe detto un cantautore di qualche anno fa, il suo modo di vestire sembrava studiato apposta per attirare lo sguardo degli uomini, ma anche di qualche donna come la bionda Beatriz, che distolse lo sguardo dal suo tablet, attirata dalla scia di profumo che Estela, passandole vicino, lasciò dietro di sé.

Un profumo delicato e costoso - pensò Beatriz - in linea con l’abbigliamento, che peraltro appariva ai suoi occhi ostentatamente lussuoso. D'altra parte Estela non aveva solo tanti capelli. Aveva anche un corpo che ore ed ore di palestra avevano reso un capolavoro della natura. Grazie a quel po' di sangue nero che scorre spesso nelle vene dei brasiliani, soprattutto da Rio de Janeiro in su, la sua pelle appariva di un colore ambrato.

Avrà avuto trentacinque anni o poco più - ragionò Beatriz. Osservando meglio, aveva notato qualche accenno di ruga intorno agli occhi e agli angoli della bocca. La ragazza era comunque uno schianto, comunque fosse vestita. Per intendersi non è che indossasse vestiti cafoni. Erano di buon gusto e pantaloni, camicia e gilet erano ben abbinati tra loro, però apparivano troppo costosi, come se avessero ancora l'etichetta del prezzo attaccata. In altre parole la ragazza tentava di ostentare uno stato sociale ed economico che forse non aveva, ma qualunque cosa avesse indossato sarebbe stata comunque notata.

Beatriz si sentiva colpita da quella donna, forse perché così diversa fisicamente da lei. Sua madre era italiana, veneta per la precisione, e da lei aveva ereditato degli occhi di un azzurro profondo che illuminavano la sua pelle chiara che neppure il sole brasiliano riusciva a scurire più di tanto e dei capelli biondi che portava né troppo lunghi né troppo corti. Nonostante non fosse più una ragazzina, anche lei teneva al suo benessere fisico ed infatti aveva un bel corpo abbastanza minuto, e dei lineamenti regolari e ben proporzionati. Non si poteva forse definire bella, ma sicuramente gradevole.

Beatriz andava in Brasile di regola una volta l'anno per trovare la madre, rimasta vedova quando lei era ancora ragazza. Per il resto del tempo viveva a Milano, dove lavorava presso una banca brasiliana, e dove il sole poteva tutt'al più prenderlo all'Idroscalo a luglio e agosto. Le avevano fatto un’offerta che non aveva potuto rifiutare. Lei sarebbe rimasta volentieri a São Paulo, la città dove era nata e dove aveva vissuto i migliori anni della sua vita.

Ma quando la sua banca aveva deciso di aprire una filiale a Milano, avevano scelto lei per la sua conoscenza dell’italiano e le avevano offerto tanti soldi e una prospettiva di carriera che difficilmente avrebbe avuto restando in Brasile. Il lavoro non era proprio quello che sognava da bambina, ma lo stipendio in euro le permetteva di mettere da parte un po' di soldi in una valuta forte. Inoltre a São Paulo non aveva più legami sentimentali, infatti il suo "fidanzato" l’aveva lasciata e lei era rimasta così scioccata che non aveva più voluto sentire parlare di uomini e avrebbe comunque cambiato aria volentieri.

A Milano i primi tempi erano stati veramente duri. A parte il clima, quello che le pesava di più era la solitudine. Non conosceva nessuno e non riusciva a fare nuove amicizie, escludendo i colleghi della banca che però pensavano ognuno per sé. Poi le sue radici mezzo italiane avevano forse avuto il sopravvento e piano piano aveva cominciato ad abituarsi a quella città apparentemente poco ospitale, ma in fondo non troppo diversa dalla sua, sia pure in scala ridotta. Aveva iniziato a vedere Milano sotto una luce diversa. Ne riconosceva un certo fascino, tutto da scoprire. Quando era arrivata aveva trovato interessante, ad esempio, il cosiddetto "quadrilatero della moda", quell'area racchiusa tra Via Monte Napoleone, Via della Spiga, Via Manzoni e Corso Venezia, e poi le era anche piaciuta piazza del duomo, il castello sforzesco, la basilica di sant'Ambrogio, la galleria Vittorio Emanuele, la Scala.

Italia e Brasile sono comunque due mondi agli antipodi, non solo dal punto di vista geografico. Era pur vero che con l'arrivo di immigrati da varie parti dell'Africa, del Sud America e dell'Europa dell'est, la capitale lombarda stava diventando, almeno in certe aree, non più tanto sicura, ma almeno non c'erano i trombadinhas o i meninos de rua, quei bambini che in Brasile ti strappano di dosso la collanina o ti rubano il marsupio mentre te ne stai sdraiato sulla spiaggia di Copacabana a prendere il sole e poi sniffano colla per stordirsi.

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