Joey Gianvincenzi - Le Regole Del Paradiso
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âManca la cubista! Manca la cubista! Sto cercando il bigliettino con l'altro numero, ma non lo trovoâ sbraitò a un suo collega.
âNon doveva solo ballare! Lo sai che avrebbe dovuto intrattenere Rütger Hoffmann!â
Gary cercava di stare calmo, ma proprio non ce la faceva. La cravatta sembrava strangolarlo tanto era rosso in faccia.
Quando Ginger si attaccò al clacson chiamandolo, Jane la ringraziò con tutto il cuore. Mai prima di allora le aveva voluto così bene.
âDai, sbrigati! Siamo in ritardo!â gridò lei con voce stridula.
âArrivo, non suonare quel maledetto coso!â Gary prese l'agenda e la tirò a terra bestemmiando: dalle pagine ingiallite uscirono tre bigliettini bianchi. Gary guardandoli si accigliò e ne raccolse due. Li lesse e cercò di fare mente locale. No. Non erano quelli che cercava.
Jane sapeva che la sua fine stava per arrivare.
Il terzo bigliettino era finito accanto a un altro pezzetto di vaso che era sfuggito allâattenzione della ragazza.
Gary si accucciò afferrando il biglietto e il residuo di coccio.
âQuesto è il numero che cercavoâ.
Jane chiuse gli occhi.
âMa questo cos'è?â tuonò la bestia mostrando a Jane il quadratino di ceramica.
Gli occhi della bestia fulminarono quelli della ragazza ormai presa dal panico. In nessun angolo della sua anima era rimasto un solo briciolo di coraggio.
Gary abbassò ancor di più la voce e disse: âSpero per te che tu non abbia rotto ilâ¦â
Dall'espressione terrorizzata della figlia, la bestia capì. Con uno scatto si girò e con lunghe falcate raggiunse il salone; il pavimento ricoperto di cocci di ceramica e di soldi fu per lui una coltellata conficcata in petto. Con dolore e rabbia poté constatare che non solo era andato in frantumi il suo adorato vaso, ma anche il salvadanaio in cui metteva i suoi risparmi.
Rimase ancora qualche manciata di secondi in quello stato di shock, fissava il pavimento e non disse nulla nemmeno quando Ginger riprese a suonare insistentemente il clacson, tortura sonora a cui era intollerante.
Strappò il bigliettino che finalmente aveva trovato e si rivolse alla figlia con un misterioso sorriso mentre lasciava cadere i piccoli pezzetti di carta che, con giravolte disordinate, precipitavano a terra.
âAvevo un problema al pubâ disse lui calmo, âma tu puoi essere la soluzioneâ.
Jane non riusciva davvero a capire cosa intendesse.
âPapà posso spiegarti, non è come pensiâ¦â cercò di essere convincente, ma la voce debole la tradì.
âNon devi giustificarti piccola mia, possono succedere queste cose, no?â Gary era troppo calmo, pensò Jane: cosa stava tramando?
âFacciamo cosìâ concluse lui, âse stasera vieni al pub e mi aiuti a sbrigare delle semplici faccende, giuro che non ti strangolerò con la cinta dei pantaloni. Va bene, piccola bambina di papà ?â
Quel sorriso stampato in faccia e quell'aria tremendamente misteriosa terrorizzarono la ragazza.
âSe potessi aiutarti, lo farei volentieriâ disse lei.
âPerfetto, allora adesso vai a cambiarti così da raggiungerci in macchinaâ disse Gary congedandosi. Poi, voltandosi, la fulminò di nuovo.
âMamma Ginger ci aspettaâ.
* * *
Il sole stava calando e il cielo si era imbrunito.
Jane vedeva sfrecciare il paesaggio dal suo finestrino. Rifletteva guardando la gente, le case, le macchine parcheggiate.
Dopo una silenziosissima ora di viaggio finalmente si trovarono davanti al pub di cui aveva sentito tanto parlare senza essere mai stata invitata a visitarlo.
Jane fissò lâinsegna rosa del locale ancora spenta: Garyâs Night Club. La scritta non faceva altro che confermare quello che sospettava da tempo: non era un semplice âpubâ, come lo chiamava lui, ma si trattava di un vero night club situato in periferia, lontano da casa, dal centro e da occhi indiscreti.
Appena entrati si notavano subito i grandi cubi dove avrebbero dovuto ballare le tre ipotetiche ballerine con tanto di pali dâacciaio per la pole dance, tavolini che sarebbero serviti per champagne, aperitivi e stuzzichini da sgranocchiare mentre ci si godeva lo spettacolo erotico. Il resto del locale era occupato da sedie in pelle scura e divanetti riservati probabilmente ai clienti abituali che pagavano il privé.
Il locale, inoltre, era tappezzato di fotografie porno in alta definizione: donne nude su motociclette, abbracciate a uomini senza né indumenti né volti espressivi, teneri o rassicuranti. Altre rappresentazioni accattivanti e volgari erano situate su tutte le pareti.
Jane rimase colpita dallâeleganza e dal lusso sfrenato con il quale era stato arredato il night. Suo padre era un uomo rozzo e ignorante, scontroso e sempre di malumore e si domandò come avesse fatto a rendere quel locale così chic.
Si avvicinò a una delle tante fotografie appese alle pareti e notò che persino le cornici erano decorate alla massima potenza: addirittura, sulla testa di ogni chiodo utilizzato per reggere i quadri, era inciso un volto in miniatura di una donna con gli occhi chiusi che teneva in testa una corona di fiori.
Le sedie, così come i divanetti, sembravano comodissime, soprattutto quelle in prima fila, che somigliavano a vere e proprie poltrone. Posti riservati a pochi eletti.
Jane avrebbe voluto sapere molto di più su quel night, ma il padre le aveva detto che lo avrebbe dovuto aiutare solo in alcune semplici faccende e poi lâavrebbe riportata a casa, quindi non avrebbe potuto assistere al grande spettacolo che si teneva ogni sabato sera.
O almeno così credeva.
* * *
Tre ragazzi e due ragazze entrano nel night.
âEcco i miei figliuoli!â esclamò Gary alzando al cielo la bottiglia che aveva appena stappato. Le ragazze si scambiarono unâocchiata e abbassarono entrambe il capo. I maschi strinsero i denti e lo guardarono con occhi gelidi. I loro visi erano immobili, come paralizzati sotto lo sguardo del grande capo. Dopo averlo salutato ed essersi cambiati in quello che sembrava uno spogliatoio comune, le ragazze, armate di scopa, si accinsero a togliere tutta la sporcizia che câera sui pavimenti mentre gli altri, muniti di stracci e disinfettanti, cominciarono a pulire i tavolini.
âBravi i miei ragazzi, questo locale andrebbe a puttane senza di voi!â Scoppiò a ridere per la sua formidabile battuta. Non poteva sceglierne una migliore. Jane se ne stava in piedi vicino al bancone del bar a osservare silenziosamente quei ragazzi che lavoravano. Gary passava tra di loro, li controllava, li incitava ad andare più veloci dato che lâora di cena si avvicinava e la clientela sarebbe arrivata poco dopo mentre lui si limitava a bere e a gironzolare come un nullafacente. Prima scambiò qualche occhiata con la figlia, poi le impose di andarsene nel suo âstudioâ.
Si ritrovò in una stanzetta con un letto sfatto posizionato davanti a un megatelevisore al plasma e un comodino accanto al letto. Per il resto era vuota, non câera nientâaltro. Di fianco al televisore câera uno specchio di quelli in cui ci si può guardare attraverso e vedere cosa succede dietro. Aprì il suo zaino e ripassò gli ultimi capitoli di filosofia.
Erano arrivate molte persone nel locale e la musica era ormai a tutto volume. Jane era chiusa nello studio di suo padre da almeno tre ore e, nonostante il caos, riusciva perfettamente a rimanere concentrata, imprimendo nella mente i concetti chiave di ogni singolo capitolo che ripassava. Erano ormai le due passate e decise di addormentarsi, dato che ancora le semplici faccende di cui parlava Gary non le aveva svolte. Non appena si alzò per spegnere la luce e cercare di riposare, suo padre irruppe nella stanza facendola sobbalzare.
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