Joey Gianvincenzi - Le Regole Del Paradiso

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Appena entrata, si fiondò in camera sua e sistemò lo zaino nell’armadio, si cambiò indossando una tuta grigia e si mise la sua felpa preferita. Passò davanti alla porta d’ingresso per andare in cucina quando comparve la colf che adorava e che considerava la sua unica vera amica: Jolie.

“Ciao, Jane!” disse lei chiudendosi la porta alle spalle.

“Buonasera, Jolie. Come stai?” domandò lei sorridendole. La colf guardando il salone in disordine ironizzò: “Per ora bene”.

Jane sorrise, ma sapeva che il lavoro in quella casa era veramente duro. Di solito a regnare era sempre il disordine; Ginger non si scomodava facilmente per sistemare la casa o per lo meno la sua stanza, i panni di Gary o addirittura quelli della figlia. Tanto c’è Jolie, diceva.

“Se vuoi ti aiuto volentieri” si offrì la ragazza. Jolie era piccolina di costituzione, il suo fisico non reggeva grandi sforzi e non poteva certo sottoporsi a fatiche prolungate; purtroppo il suo turno partiva dall’ora di pranzo fino all’ora di cena. Oltretutto per una misera paga. Jane sapeva molte cose su di lei perché ogni sabato, quando rimanevano sole in casa davanti a un buon film o sedute sul divano a chiacchierare, Jolie si lasciava andare a confidenze intime e si sfogava di tutti i problemi che l’assillavano.

“Ti ringrazio Jane, ma tu devi studiare, non perdere tempo qui con me!” esclamò lei.

“Ho già fatto, davvero”.

Jolie sorrise accettando il suo gentile aiuto; le ore del pomeriggio passarono più velocemente rispetto al consueto turno solitario perché mentre si occupavano delle faccende domestiche, le due amiche chiacchieravano del più e del meno, anche se Jane si limitava a rispondere alla grande quantità di cose che Jolie non si stancava di dire o di domandare.

“E così ho deciso di tagliarmi i capelli” raccontò la colf mentre ricordava il felice periodo degli anni ’80.

“Poi mi sono fidanzata con Guillaume e sotto la torre Eiffel mi promise che saremmo stati per sempre insieme, cosa che poi non si rivelò vera. Maledetti uomini. Fatta eccezione per Alexandre” quando pronunciò il nome del figlio smise un attimo di lavare i piatti e rimase a pensare a qualcosa che Jane intuì subito: se c’era ancora un motivo che la legava a quel lavoro, alla misera paga e a quegli sforzi immani era Alexandre. Aveva ormai otto anni e spesso Jolie non riusciva a comprargli i suoi giocattoli preferiti perché doveva usare quasi tutti i soldi che le dava Gary per pagare l’affitto. La guerra di ogni giorno consisteva nel dover andare avanti con le proprie forze, con pochissimi soldi e con nessun altro tipo di aiuto.

“Spesso quando lo porto al parco con gli altri bambini” proseguì, “ho paura che mi chieda un gelato, o peggio ancora le bustine di figurine che collezionano i suoi compagni” disse Jolie con le lacrime agli occhi. Si era lasciata andare tempo prima, ma mai fino a quel punto.

“Passerà questo brutto periodo, ne sono sicura. Abbi fede” rispose Jane cercando di farla sentire meglio, ma non funzionò.

“Ieri…” a Jolie morirono le parole in gola. Fece un bel respiro e guardò negli occhi Jane.

“Ieri mi ha chiesto perché solo lui in classe ha i libri fotocopiati” strinse i denti.

“I libri fotocopiati…” ripeté. La colf si asciugò gli occhi lucidi e sorrise.

“Ora basta con i pensieri tristi però, parliamo di cose belle!” disse alzando un po’ il tono della voce. “Cosa vogliamo mangiarci questa sera?”

Jane capì che era decisamente meglio cambiare discorso.

“Non lo so, ma qualsiasi cosa andrà bene!” rispose imitando il suo tono.

Finito il pomeriggio di pulizie, apparecchiarono e per cena decisero di mangiare carne di manzo ben cotta e patatine fritte.

“Questo non farà bene al nostro fegato” scherzò Jane guardando il suo piatto pieno di roba.

“Stasera non badiamo a nessuna dieta” informò Jolie non appena mangiò la prima patatina. Il discorso che venne affrontato fu senz’altro più leggero e più facile da gestire rispetto a quello preso di petto poco prima. Quando Jane si trovava con Jolie le sembrava tutto diverso; la bestia di sabato non c’era mai e questo significava che potevano godersi la serata, chiacchierare dopo aver cenato, guardarsi un film per poi andare a dormire anche se era più tardi del solito. Con Gary non era possibile rimanere in una stanza con la luce accesa una volta scoccate le ventitré: persino Cenerentola aveva a disposizione un’ora in più nella quale fare baldoria.

Il film era appena finito e quando Jane stava per alzarsi dal divano si accorse che Jolie aveva poggiato la testa sul bracciolo e stava dormendo mentre la luce del televisore, che in quel momento proiettava stupide pubblicità , le inondava il volto: finalmente poteva agire indisturbata. Sorridendo prese la piccola radiosveglia che stava su una delle mensole del salone e la impostò perché suonasse un quarto d’ora dopo. Andò in camera sua e, all’ultimo piano, iniziò a cercare tutti i suoi vecchi libri di scuola; ce n’era uno di geografia, un altro di aritmetica, un altro ancora di scienze. Si munì di una busta e ci mise dentro i volumi scolastici che portò giù in cucina. Sul foglietto bianco disegnò una freccia, lo girò dall’altra parte e scrisse: “Questi sono per Alexandre, un mio piccolo regalo”.

Tornò in salone e coprì Jolie senza svegliarla; infine prese la radiosveglia e la mise accanto al foglietto in maniera tale che Jolie avrebbe visto il messaggio. Sapeva che non avrebbe frainteso quel gesto e sapeva anche che il suo aiuto le avrebbe fatto piacere; sperava che in questo modo la loro amicizia sarebbe stata più forte e immaginava anche che Jolie sarebbe stata contentissima di poter portare i libri al figlio. Libri veri.

* * *

Jane uscì dal liceo pensando a come poteva essere andato il test di matematica. Cercò di ripercorrere tutti i passaggi che aveva fatto e i risultati che erano usciti alla fine degli esercizi e non le sembrò di aver commesso gravi errori. Si sforzò di focalizzare l’attenzione sul terzo esercizio, quello più difficile, ma non fece in tempo a terminare la sua analisi che Ashley le sbarrò la strada; le braccia conserte e l’aria infuriata fecero capire a Jane che ce l’aveva con lei: il sangue divenne lava.

Cercò di evitarla, ma si era già capito cosa stava per succedere. Ashley avanzò impaziente verso di lei.

“Allora brutta troia, cosa hai da dire a tua discolpa?” la voce era troppo calma, troppo sicura. I suoi occhi flagellavano quelli della povera ragazza. Dentro, quella lava, diventava sempre più densa e incandescente.

“Ashley, non è stata colpa mia” disse Jane con un filo di voce.

Durante il test, dopo vari tentativi della reginetta di chiedere a Jane i risultati degli esercizi, la professoressa Fitcher aveva spostato di banco Ashley allontanandola dall’unica persona che l’avrebbe potuta aiutare.

“Non mi hai aiutata quando te l’ho chiesto, la devi pagare!”

L’ultima parola della frase fu pronunciata talmente forte che riuscì a rapire l’attenzione di molti ragazzi. Si formò il solito cerchio. Stessa scena, stesse facce.

“Ma era senza voto, e poi io....” non ci fu il tempo materiale per finire la frase. Partì uno schiaffo talmente forte che la faccia di Jane si girò di scatto verso destra a una velocità incredibile. Gli studenti intorno esultarono gridando come forsennati. La ragazza più sexy in azione mentre ne dava di santa ragione alla più secchiona dell’istituto.

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