Giovanni Mongiovì
Regnum – Le tessere del Paradiso
Giovanni Mongiovì
LE TESSERE DEL PARADISO
Regnum
In copertina: contorno del “portale”, dall’abside della Cappella Palatina, Palermo.
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Copyright © 2019 – Giovanni Mongiovì
In principio fu il gran finale, l'ultimo atto, la più bella poesia; "carne di carne e ossa di ossa", l’integrità naturale in un paradiso inviolato…
…primigenia visione che in me ridesti, tu, preziosa madre, ammaliante sposa, per sempre mio Eden.
Il mondo potrebbe essere definito un mosaico di vita… razze, culture, lingue, pensieri e comportamenti differenti che creano un’enorme opera musiva di straordinaria bellezza estesa fino ai confini della Terra. Solo l’accostamento razionale della diversità può regalare un’opera di senso definito e compiuto… lì dove altrimenti avremmo la monotona monocromia del tutto uguale, un muro bianco in cui nessuno ravviserebbe l’arte. Ciò fa perciò di Dio l’artista per eccellenza, primordiale e quindi modello assoluto. Tuttavia, per apprezzare la bellezza di questo gigantesco mosaico bisognerebbe osservare da lontano, da una distanza tale da non riuscire a cogliere le singole parti come elementi a sé stanti. Spettatori privilegiati sono dunque Dio e gli spiriti celesti, in quanto all’uomo che vi è dentro è impossibile avere la stessa visione d’insieme. E per tale motivo, proprio perché non riescono a cogliere la bellezza complessiva, molto spesso gli esseri umani prendono le distanze da chi è diverso da loro. Eppure, se in luogo di carne e sangue fossero date all’uomo le ali incorporee degli angeli, egli potrebbe vedere che tale mosaico di vita, in cui nessuna tessera è meno importante di un’altra, ha le sembianze di un soggetto di senso definito e compiuto… le sembianze della stessa immagine del suo Artista e Creatore.
L’uomo ha sempre cercato di emulare il modello assoluto del mondo… ci hanno provato pittori, scultori, architetti… e ancora maestri di lettere e di scienza che hanno cercato di cogliere l’essenza in luogo dell’evidenza. Eppure vi fu anche chi tentò di creare un modello, di proporzioni umane, dello stesso mondo… proprio una riproduzione di quel mosaico di vita tanto caro a Dio. Una rappresentazione in scala e limitata della diversità terrestre. Un modello avente come confini il mar Mediterraneo in luogo dell’abisso ignoto di dove finisce il mondo, e avente come centro la felice Palermo in luogo della contesa Gerusalemme. Qualcosa di umano e quindi fallimentare, ma capace di dare una rozza idea di ciò che è il mondo visto da lontano.
Singolare nello spazio e nel tempo, il Regno di Sicilia creato da Re Ruggero era un esempio di tolleranza e tutela della diversità. Mecenate di arti e curioso dei segreti del mondo, Re Ruggero ereditò una terra in cui gente differente viveva già l’una di fronte all’altra. Cristiani di lingua greca, cristiani di lingua romanza, saraceni 1 1 Saraceni: nome con cui erano comunemente conosciuti i musulmani nel Medioevo. Altri sinonimi utilizzati nel romanzo sono: mori, islamici e arabi. Alcuni di questi termini sono chiaramente impropri, tuttavia rispecchiano la conoscenza e la cultura della società dell’epoca. Oggi il nome “saraceni” viene utilizzato esclusivamente quando si devono indicare i pirati arabi e berberi che infestavano le coste del Mediterraneo, ma in questo romanzo indica tutti i musulmani. Il termine “musulmani” invece non è presente perché è di introduzione posteriore all’ambientazione del romanzo. Per lo stesso motivo non sono utilizzati mai i termini “bizantini” ed “ebrei”.
e giudei 2 2 Giudei: nome con cui venivano chiamati gli ebrei in epoca medievale.
di lingua araba, convivevano sulla stessa isola da secoli, oggi stringendo amicizia ed oggi dichiarandosi guerra. Ruggero seppe pacificarli permettendo ad ognuno di vivere la propria diversità purché riconoscessero il potere dal quale ogni cosa era data e sottratta… purché riconoscessero il potere del Re e della sua legge.
Ruggero era consapevole della povertà della cultura normanna dinanzi ai millenni di sapere del mondo greco-romano e dinanzi all’innovativo approccio alla scienza degli arabi, dunque umilmente aveva fatto suo ciò che era stato di altri e si era proposto continuatore ed unificatore di quelle stesse civiltà, intendendo sfruttare le potenzialità di ogni razza a sua convenienza. Per tale motivo le monete recavano leggende in latino e leggende in arabo, le cupole delle chiese erano decorate con caratteri cufici 3 3 Cufico: stile calligrafico della lingua araba.
, gli atti ufficiali erano redatti in latino, in greco e in arabo, e il conteggio degli anni era reso secondo la data della creazione del mondo, secondo l’Egira 4 4 Egira: letteralmente “emigrazione”. Indica l’esodo di Maometto da La Mecca a Medina. L’anno di tale episodio, avvenuto nel 622 d.C., segna l’inizio del calendario musulmano.
e secondo la nascita di Cristo. Per tale motivo i funzionari e i consiglieri del Re erano spesso illustri greci; così come potevano trovarsi a corte e nell’amministrazione eunuchi saraceni, dignitari d’oltralpe e vescovi d’origine straniera. Inoltre, l’esercito era costituito dalla componente feudale, per lo più formata dai baroni normanni, e dalla componente regolare, formata per la maggiore da saraceni stipendiati, mentre i marinai della flotta erano forniti dalle colonie lombarde 5 5 Longobardi e Lombardi: il termine longobardi indica in senso stretto i discendenti del popolo germanico che invase la penisola italiana nel VI secolo, ma in senso lato tutti gli abitanti d’Italia che, da nord a sud, furono soggetti a tale popolo, e quindi anche a coloro che erano di origine italica (campani, lucani, ecc…). Nel XI secolo i longobardi parlavano ufficialmente il latino, ma si esprimevano nei dialetti romanzi dei luoghi in cui risedevano. Dopo la conquista normanna del sud Italia il termine derivato “lombardi” cominciò ad indicare solamente gli abitanti dell’Italia settentrionale.
dell’Isola.
Questo mondo variegato rendeva il Regno una metafora della diversità del mondo e faceva della stessa Sicilia un mosaico di vita. Tuttavia, come Dio aveva abbandonato l’uomo alla mercé della propria presunzione, affinché l’umanità facesse il suo tempo, ed era entrato nel suo giorno di riposo, così Ruggero era entrato nel suo riposo eterno.
Che cosa avrebbe potuto minare d'altronde l'epoca più splendente del Regno se non la fugacità della vita umana?
Di lui restano le opere ed un sarcofago in porfido rosso contenente le sue spoglie. Quelle opere tuttavia testimoniano proprio il cosmopolitismo del suo Regno… e non a caso, tra ciò che l’avrebbe reso immortale ai posteri, c’erano proprio gli splendidi mosaici delle chiese e dei palazzi. Milioni di tessere in pietre pregiate e in pasta vitrea, sgargianti e brillanti, sistemate con sapienza l’una accanto all’altra.
Essi quindi diventano la metafora del Regno, come il Regno è la metafora del mondo. Un singolo colore per ogni singola razza e cultura… un singolo materiale per ogni singola religione e lingua: il rosso del porfido, il bianco della madreperla, l’oro e l’argento, il verde della malachite e l’azzurro oltremare del lapislazzuli…
Un’arte che era destinata a conservarsi nei secoli, diversamente all’opera di congiungere persone diverse in un unico mosaico di vite. Infatti, solo un potere forte, solo Ruggero, poteva essere in grado di tenere coeso ciò che a causa degli egoismi umani tende a sfaldarsi.
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