Joey Gianvincenzi - Le Regole Del Paradiso

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Joey Gianvincenzi

Le regole del paradiso

Casa editrice: Tektime

Il presente romanzo è opera di pura fantasia.

Ogni riferimento a nomi di persona, luoghi, avvenimenti, indirizzi e-mail, siti web, numeri telefonici, fatti storici, siano essi realmente esistiti o esistenti, è da considerarsi puramente casuale.

“Si costruisce la propria vita per una persona e quando finalmente si potrebbe annettervela, questa persona non viene, poi muore per noi, e si vive prigionieri in ciò che non era destinato che a lei”.

Dedicato a Cristina Mencarelli che,

il giorno stesso in cui è volata in cielo,

mi ha regalato l’ispirazione

per scrivere questo romanzo.

Grazie, piccola principessa.

Jane Madison entrò nella classe vuota e si sistemò all’ultimo banco, dietro a tutti.

Quello in cui si trovava era il peggior liceo di Seattle, famoso per i casi di violenza che contava, ma non aveva altra scelta.

Nonostante l’infinita e delicata femminilità che non l’abbandonava in nessun contesto, l’acuta intelligenza che la caratterizzava, la bontà che la qualificava, la ragazza era costretta a condividere tutte le sue mattine con giovani criminali che s’immischiavano in certi guai, teppisti che pur di ingannare la noia, di guadagnare un po’ di gloria tra i compagni o per il vano tentativo di esercitare sugli altri una pericolosa quanto insensata autorità , si impegnavano a scatenare violente risse che quasi sempre sfociavano in un finale sanguinoso. Condivideva la sua esperienza scolastica con decine di casi umani che non erano dotati della sua stessa premura, altra rara qualità umana che sostituiva, senza volerlo, alla pietà ; i suoi compagni non sarebbero mai stati in grado di raggiungerla nella profondità di certi sentimenti. Nella sua spontaneità erano scritti i segreti della sua ingenuità , nella sua tenerezza erano nascosti i segreti dei suoi sentimenti.

La giovane studentessa tirò fuori dallo zaino il volume di filosofia ai capitoli che aveva imparato perfettamente il giorno precedente; non c’erano parti o date che non ricordasse nei dettagli, ma ormai gli occhi sembravano piacevolmente abituati a scorrere tra le righe, sulle immagini in bianco e nero, sulle note di fianco ai paragrafi. Nonostante il baccano provocato dagli studenti che iniziavano a entrare, Jane rimaneva con lo sguardo inchiodato sulle pagine del suo libro consumatissimo all’interno del quale comparivano riquadri d’appunti, divisioni per paragrafi e parole chiave annotate con pennarelli colorati.

Era l’unica della classe a non avere un compagno di banco.

“Ci avrei scommesso, la secchiona è già in aula” esordì Ashley Trevor, la più trasgressiva dell’istituto che si era guadagnata il titolo di reginetta della scuola. I capelli scuri, gli occhi chiari. Dietro il suo formoso corpo comparvero le sue due seguaci più fedeli: Emma Baker e Amanda Miller.

Nel chiacchiericcio generale, mentre si sistemavano i due alunni entrati per ultimi, Flores, il professore di filosofia, esordì: “Buongiorno a tutti, ragazzi”.

La classe però non rispose; quasi tutti gli alunni erano impegnati in qualcos’altro di più importante.

Flores si accomodò.

“Bene! Che ne dite di iniziare la lezione con qualche domanda per ripassare l’ultimo argomento?”

Forse l’unico difetto di Flores era trattare i suoi alunni come se stessero lì per imparare a leggere e a scrivere; era l’unico che li mitragliava di domande non appena arrivava in classe.

“Moore, dove nacque Aristotele?”

Il ragazzo cercò di fargli credere di avere il nome di quella maledetta città sulla punta della lingua. Il professore era esigente e fissato per i dettagli. Passarono altri interminabili secondi.

“Chi lo sa si faccia avanti” incitò lui. Una ragazza alzò la mano.

“Mi dica Lopez”. Betty Lopez, capelli rosso fuoco, piercing sulla lingua e sei tatuaggi complessivi sul corpo.

“Atene” rispose convinta.

“Sbagliato signorina Lopez. Perché alza la mano quando sa di non avere in testa le giuste risposte?”

Una caratteristica di Flores era di dare del lei ai suoi studenti. A molti non piaceva quella sua insolita abitudine di cercare di mantenere un minimo di educazione.

“Ringrazia che ancora sto qui dentro e non ti ho tirato una sedia, razza di pivello” attaccò Betty. Questo era il rispetto massimo che si aveva di un professore: avvertirlo almeno una volta senza passare immediatamente all’azione.

Il docente valutò come nulla la risposta della studentessa e decise di proseguire la lezione senza darle la soddisfazione di arrabbiarsi. Qualche anno prima, dopo aver rimproverato a lungo un ragazzo, si era trovato la macchina in fiamme non appena uscito dall’istituto. Da quell’episodio in poi, il signor Flores aveva rinunciato alla causa che aveva sposato all’inizio della sua carriera e cioè aiutare i ragazzi cercando di fargli capire che fuori il mondo era durissimo e che senza palle, educazione e intelligenza non si arrivava da nessuna parte. Ma continuavano a essere convinti che la violenza avrebbe risolto ogni problema.

“La sua compagna di banco?”

“L’argomento non mi interessa” fece la ragazza chiamata in causa.

“Anche lei credeva fosse Atene. Molto bene, mi fa piacere” sentenziò lui muovendo lentamente il capo.

“C’è qualcuno che lo sa?”

Silenzio per pochi secondi. Poi il nome.

“Jane Madison”.

Emma Moore scoppiò inutilmente a ridere.

“Mi dica un po’ di Aristotele. Cosa sa?”

“Aristotele nacque a Stagira, una cittadina della penisola Calcidica nel nord della Grecia nel 384 avanti Cristo. Data la prematura morte di suo padre, fu allevato da un parente più anziano, di nome Prosseno. All'età di 17 anni, andò ad Atene al fine di entrare a far parte dell'Accademia di Platone e ci rimase per ben…”

“Basta così”.

Flores, alzando una mano avanti a sé, interruppe la melodica voce della ragazza che nei toni e nell’andatura della sua parlata nascondeva qualcosa di delicato e ammaliante, proprio come quando, ascoltando una composizione classica rinascimentale, non sapremmo dire se quello che ci ha conquistati sia il motivo in generale, o qualche nota di natura sconosciuta, che sembra esser stata aggiunta di nascosto al posto giusto per suscitare nel cuore dell’ascoltatore un’emozione, precisa e spietata.

Flores tornò a guardare gli altri.

“È così che si studia” tuonò a voce bassa scandendo perfettamente ogni parola. L’intento del professore, quando la minima speranza di salvare qualcuno si faceva sentire più del solito, era di innalzare Jane su un prestigioso podio, così da mostrare a tutti quale fosse l’esempio da seguire per avere un ottimo andamento scolastico.

“Ora passiamo alle date di Socrate. Allen?”

Il ragazzo sembrò cadere dalle nuvole. Era intento a osservare la punta della sigaretta che aveva acceso e a soffiarci sopra.

“Le date di quando è nato e quando è morto?”

“No di quando ha smesso di portare il pannolino e di quando ha perso la verginità ”.

Nessun professore osava scherzare in una classe del genere; Flores lo faceva nel modo giusto, era serio, ma riusciva a far sorridere qualcuno. Gli studenti più difficili da gestire, senza volerlo e senza ammetterlo, stimavano la sua sicurezza e il suo modo di essere severo e morbido allo stesso tempo.

“Secondo me non se lo è mai tolto il pannolino quel moccioso di Socrate”. Altre risate si levarono dalla bocca di alcuni dopo la perla di saggezza sparata da Allen.

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