– È per il suo bene. Non ci vorrà molto tempo.
– No, grazie. Ho delle faccende da sbrigare – rispose e fece un paio di passi verso il suo ufficio.
Mise la mano nella tasca della sua giacca e notò che non c'era nessuna busta. La sua faccia impallidì per qualche secondo, ma presto recuperò il coraggio e il sangue freddo che la caratterizzavano, sebbene non con la prontezza sufficiente affinché l'Esattore non si accorgesse del cambiamento. Si girò per vedere se la busta fosse per terra, ma con intorno i feriti, i soccorritori, la polizia e le persone curiose non si poteva cercare niente. Indecisa, si guardò intorno e allo stesso tempo iniziò ad arrabbiarsi con se stessa. Lei non perdeva mai la calma, né tantomeno aveva mai commesso uno sbaglio del genere.
Il soccorritore, che non aveva smesso di tenerla d'occhio, le si avvicinò e le disse:
– Entri almeno un attimo nell'ambulanza in modo da farsi controllare la ferita. Magari ha bisogno di alcuni punti.
Vivian gli rivolse uno sguardo meno superbo della volta precedente e con un semplice cenno della testa acconsentì alla richiesta del soccorritore.
Mentre Vivian veniva soccorsa, un'altra ambulanza portò all'ospedale altri feriti, tra cui il conducente della macchina. L'Esattore, che non era visibile sebbene non fosse nascosto, mise nella tasca della giacca il cellulare con cui aveva scattato qualche foto di tutto quello che era successo, sia dello scenario che dei suoi protagonisti.
Un quarto d'ora dopo Vivian uscì dall'ambulanza, dopo aver promesso che sarebbe andata all'ospedale dopo il lavoro o anche prima, se avesse avuto nausea o mal di testa.
Vivian si diresse verso il suo ufficio, mentre stava guardando l'orologio, che le ricordò che aveva perso troppo tempo, tempo che non avrebbe potuto recuperare e che per lei significava la perdita di parecchi guadagni. La perdita della busta le stava causando un terribile contrattempo, ma sperava di risolverlo. Lei trovava sempre il modo per vincere e una prova ne era il suo matrimonio con Peter, sul quale concentrò i suoi pensieri in quel momento senza una ragione apparente. Guardò l'ora, avrebbero già dovuto essere fuori dallo studio. Prese il telefono di riflesso. Cercò nella rubrica il numero di Peter e si trattenne prima di premere il tasto di chiamata.
L'Esattore, attento fino alla più piccola azione di Vivian, respirò sollevato, sebbene non ne fosse cosciente.
Vivian entrò nell'edificio e scomparve dalla vista dell'Esattore. Alcuni minuti dopo era seduta alla sua scrivania con le dita sulla tastiera del computer e in mente un'idea o, meglio, un oggetto: la busta e il suo destino. La sua mente diffidente la portò a pensare che forse l'incidente era stato una messa in scena per toglierle la busta. Tamburellò nervosamente con le dita sul tavolo dell'ufficio pensando qual era il passo successivo da compiere. Il passo le era chiaro: avvertire l'Esattore, lui le avrebbe sicuramente trovato la busta; ma quella era una faccenda che doveva sistemare da sola, sebbene conoscesse l'Esattore a sufficienza per essere sicura che lui non sapeva cosa fosse la curiosità, che mai e poi mai avrebbe guardato cosa si nascondeva nella busta e che non poteva avere la stessa sicurezza da parte di nessun altro dipendente ai suoi ordini.
La cosa che non sapeva era che l'Esattore, quando tutto era tornato alla normalità, si era avvicinato al luogo dove erano successi i fatti e aveva cercato la busta con cura, ma di soppiatto. E proprio in quel momento l'Esattore stava aspettando pazientemente una pista che gli indicasse quale fosse il passo successivo da fare con la busta nascosta nella sua giacca. Proprio allora suonò il cellulare. Dopo aver visto chi lo stava chiamando, lo lasciò squillare più di una volta, prima di decidersi a rispondere. Sapeva che in questo modo l'altra persona si sarebbe agitata e che lui avrebbe avuto il controllo della conversazione. Era sorpreso dal momento che Peter non l'aveva mai chiamato e gli sembrava persino strano che avesse il suo numero.
– Ciao, che succede? – chiese.
– Dove diavolo sei? Sono più di due ore che te ne sei andato – esagerò.
– Sono successi degli imprevisti, ma presto sarò da te. Ti manco, fratellino?
– Sto mostrando la foto di Alexis a chiunque mi passi davanti e ho ordinato a Sultán di abbaiare quando uno mente.
– Molto intelligente, fratellino. Sono sorpreso – commentò, mentre continuava a osservare l'edificio in cui si nascondeva Vivian.
– Non l'ha visto nessuno e Sultán non ha abbaiato, ma credo che non sia possibile. Secondo me è rimbambito – disse mentre Sultán abbaiava offeso.
– Hai chiesto se qualcuno ha visto una macchina allontanarsi in fretta? O se qualcuno ha visto qualcosa di strano, diverso dal solito?
– No. Aspetta un attimo che vado a chiedere. – E fermò e fece le domande a una signora e poi a un signore e poi a un'altra signora, mentre l'Esattore continuava a essere al telefono.
– Vai all'inferno! – sentì l'Esattore dopo un po'.
Nel frattempo nell'ufficio di Vivian la sua segretaria interruppe i suoi pensieri. Vivian la guardò severamente, ma l'efficiente segretaria la conosceva abbastanza bene da non lasciarsi influenzare da un'occhiata del genere.
– Scusi il disturbo, ma ha una visita. Non era nell'agenda, però mi ha detto che è importante che la veda.
Vivian, sempre padrona di se stessa, anche nei momenti in cui era molto irritata, disse alla sua segretaria che avrebbe ricevuto il visitatore e poi, perché negarlo, anche la curiosità ebbe a che vedere con la sua decisione.
Un minuto dopo entrò un signore dall'aspetto umile e piuttosto agitato.
Indolente, Peter si appoggiò a una panchina, mentre si toglieva con il bordo della manica lo scarso sudore che gli stava cadendo dal lato della fronte e sospirava con aria stanca. Non sapeva più cosa fare per trovare suo figlio. Si sentiva sfinito sia fisicamente che psicologicamente, si stava sforzando più del solito. Non poteva essersi perso perché sapeva perfettamente dove viveva.
– Cosa possiamo fare adesso, Sultán? Io non so cosa pensare di tutto questo.
Una macchina si fermò davanti a lui e il conducente gli fece cenno di avvicinarsi.
Peter obbedì, mentre Sultán ringhiava sommessamente e rizzava i peli. Si sorprese nel riconoscere il dentista, anche se non indossava il camice bianco e non sapeva di antisettico.
– Salga in macchina – gli disse —. Dobbiamo parlare.
– Zitto, Sultán – ordinò Peter mentre entrava, dato che continuava a ringhiare —. È il dottor Bisturi, non lo sai?
Sultán obbedì, ma non perché Peter glielo aveva ordinato. Da quando si lasciava comandare da quel zuccone? Invece aveva molta curiosità canina per quello che doveva dire quel dentista.
– Mi dispiace che lei e suo figlio siate coinvolti in questa cosa – cominciò —. Ho ricevuto questo, mi pare che sia di suo figlio – disse mostrandogli una cintura con disegnati dei personaggi della Disney.
– Be', sinceramente non mi suona. Sicuro che sia di mio figlio?
– Perché crede che ringhiasse Sultán? Tenga, lasci che l'annusi.
Peter fece così e Sultán lanciò due latrati allegri per poi mostrare i denti minacciosamente.
– Io non ho suo figlio, ma posso aiutarla a trovarlo.
All'improvviso, prima che qualcuno potesse reagire, il dentista mise in moto la macchina, lasciando Sultán sul marciapiede e sorprendendo Peter per l'azione del suo odontoiatra.
– Perché ha fatto questo? Sultán, Sultán, corri! – gridò Peter, ma Sultán non gli diede retta. Forse stava aspettando l'Esattore.
– Non sa tutto quello che è successo. Io non avrei potuto evitarlo, anche se avessi voluto – osservò il dentista —. Non è che mi scuso. Quello che deve sapere è che Xenia e io avevamo una missione da compiere, erano mesi che aspettavamo il segnale.
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