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Le soppesò leggermente facendole saltare sulla mano probabilmente per stimare il loro peso e l'effetto che avrebbero potuto esercitare sbattendo contro il vetro della finestra. Portò la sua mano all'indietro per lanciare le biglie mentre emetteva un grido. Le biglie si alzarono per un breve istante alla stessa altezza, ma presto si separarono e alcune rimasero più in alto delle altre durante il loro viaggio aereo, un viaggio che si concluse in pochi secondi, quando sbatterono contro qualcosa col risultato che quelle palline colorate rimbalzarono. Varie biglie sbatterono tra loro, alcune in aria, altre già sul pavimento e quelle che non trovarono il duro pavimento al loro ritorno andarono invece contro il tenero corpo di Alexis. Quest'ultimo gridò di nuovo, ma stavolta indolenzito dal picchiettio di quelle biglie sulla sua testa, sulle sue braccia e sul suo petto.
– Ahiaaaaaaa! Ahiaaaaaaa!
Ma Alexis non cambiava idea facilmente, quindi raccolse le biglie dal pavimento per lanciarle di nuovo, senza rendersi conto che insieme alle biglie aveva raccolto un diamante e che proprio in quel momento la porta che lo stava tenendo rinchiuso si riaprì. Ma invece di vedere entrare Topolino, vide tra le lacrime entrare un personaggio che lo fece rabbrividire, un personaggio non così incantevole come il buon Topolino, con le braccia sui fianchi e un'aria arrabbiata.
– Si può sapere cosa significa tutto questo rumore? – chiese in un tono che non ammetteva nessun capriccio.
Alexis si asciugò le lacrime, spaventato dal personaggio che aveva davanti a sé, mentre stava mettendo nelle tasche le mani e con loro le biglie e il diamante. Batman continuò a guardarlo come se stesse aspettando.
– Mi dispiace, Batman. Non mi rinchiudere nella Batcaverna – disse Alexis a voce bassa.
– Dobbiamo andare. O vieni a piedi o dico al mio amico di portarti nel suo sacco.
Alexis pensò di chiedere dove dovevano andare, ma rifletté sul fatto che forse a Batman non sarebbe piaciuta la domanda. Così rimase in silenzio, mentre usciva dalla stanza con Batman. Salirono in macchina in compagnia di Topolino. Quest'ultimo rimase in silenzio, mentre aiutava Alexis a sedersi correttamente.
– Grazie. Andremo molto lontano?
– Più lontano di quanto tu non sia mai andato – rispose Batman.
– Vomito sempre quando viaggiamo molto lontano – affermò.
– Guai a te se vomiti nella mia macchina – gli disse Batman in tono severo.
– Sì – rispose Alexis con un filo di voce, pur sapendo che era impossibile.
Alexis notò per la prima volta i finestrini della macchina, che non lo lasciavano vedere fuori non perché erano opachi, ma a causa della sporcizia che li ricopriva dall'esterno.
– È davvero la sua macchina? – chiese.
Né Batman, né Topolino risposero alla domanda.
Venti minuti dopo Alexis esclamò:
– Devo fare la pipì!
Aspettò qualche secondo e ripeté la richiesta a voce ancora più alta.
– Devo fare la pipì, devo fare la pipì, devo fare la pipì! – Sembrava che non si stancasse di ripeterlo una volta dopo l'altra.
Batman iniziò ad arrossire, mentre la sua respirazione diventava sempre più agitata a ogni grido di Alexis e mentre il suo compagno provava a tranquillizzarlo con gesti gentili e allo stesso tempo cercava di mantenere la calma. Alla fine Batman frenò così bruscamente che fece cadere Alexis dal sedile.
Topolino guardò con prontezza alle sue spalle. Doveva verificare che il bambino stesse bene nonostante la caduta. Nel frattempo Batman protestò a voce bassa con un "Bambino rompipalle". Alexis stava bene, aveva visto qualcosa che stava attirando tutta la sua attenzione non per essere una novità, ma perché lui in passato aveva già posato lo sguardo su quell'oggetto e persino le sue mani ci avevano giocato. Si contorse sotto il sedile per modificare la postura del suo corpo in modo da poter stendere meglio le braccia e poter così appoggiare le dita sull'oggetto pregiato. All'improvviso si accorse che era tornato su e che era seduto.
– Allaccia la cintura del bambino – ordinò Batman a Topolino.
Quando Alexis fu legato e Batman mise in moto il motore, Alexis aprì la mano e guardò. Non capiva perché quel giocattolo, perché di questo si trattava, si trovasse in quell'auto. Richiuse la mano osservando il giocattolo tra le dita.
V – Vivian inizia le sue avventure in questo romanzo
L'Esattore si fermò con la macchina davanti all'ufficio di Vivian e tamburellò con le dita sul cruscotto, dove aveva messo la tessera sanitaria di Alexis. Guardò verso l'edificio prima di scendere dalla macchina. Allora vide uscire Vivian dall'edificio. Quest'ultima guardò il cielo e poi cercò gli occhiali da sole in borsa. L'Esattore continuò a osservarla, mentre restava in attesa ed era indeciso se parlarle di Alexis od occuparsi lui del problema. Allora Vivian si guardò intorno. La macchina dell'Esattore era nel suo campo visivo, ma Vivian sembrò non vederla, assente com'era. Si sistemò i capelli e scese giù per la strada. L'Esattore scese dalla macchina, i suoi passi seguirono quelli di Vivian. Quest'ultima stava camminando velocemente e ogni tanto guardava l'orologio come se temesse di arrivare in ritardo. L'Esattore, inseguitore esperto, la seguì da vicino e vide che entrò in un centro commerciale.
– Non avrà mica intenzione di fare shopping? – rifletté l'Esattore.
Era lunedì e c'era una probabilità del 99,9% che le cose stessero così.
L'Esattore gettò via la sigaretta che stava fumando, poi ne accese un'altra.
Vivian salì al secondo piano e finse di guardare delle gonne, ma dopo alcuni minuti salì all'ultimo piano, dove c'era un bar. Si avvicinò al banco, chiese un caffellatte e si sedette a uno dei tavoli liberi. Mentre aspettava che il caffè si raffreddasse un po', guardò i messaggi sul cellulare. L'Esattore, seduto a un tavolo vicino, anche se leggermente nascosto dalla vista di Vivian, osservò che lei stava digitando sul cellulare. Vide una persona avvicinarsi al suo tavolo e metterle di soppiatto una busta nella tasca della giacca. Subito dopo Vivian prese la giacca e, dopo aver sorseggiato il caffè che le rimaneva, uscì dal bar senza rendersi conto che un Esattore pensieroso la stava osservando.
Prima di uscire dai grandi magazzini, comprò un borsellino al pianoterra, perché se fosse uscita senza comprare niente, la gente si sarebbe insospettita. L'Esattore la seguì con la sua andatura tranquilla, sapendo che difficilmente l'avrebbe persa di vista.
Vivian aveva preso la strada di ritorno per l'ufficio. L'Esattore la osservò fermarsi all'incrocio proprio davanti all'ufficio e aspettare che il semaforo cambiasse colore.
Un'auto perse il controllo e andò verso le persone che stavano aspettando al semaforo. Sembrò che il tempo si fosse fermato quando le ruote della macchina girarono a una velocità supersonica e Vivian vide quella macchina avvicinarsi senza poter reagire. La macchina andò a sbattere contro il marciapiede e, di conseguenza, caddero a terra le persone che si trovavano lì, tra cui Vivian. Si udirono grida e strilli, mentre la gente si avvicinava a soccorrere i feriti. Non c'era nessun ferito grave, ma qualcuno chiamò lo stesso un'ambulanza. Presto si sentirono delle sirene e alcuni minuti dopo arrivarono la polizia e i soccorritori.
L'Esattore osservò da lontano mentre un soccorritore si stava occupando di Vivian; una ferita alla sua testa stava sanguinando copiosamente.
– Non si spaventi, signora – disse il soccorritore —. Il sangue fa tanta impressione.
Vivian lo guardò sprezzante.
– Dovrà andare all'ospedale – spiegò il soccorritore —. Per fare alcuni esami.
– Non è necessario, sto bene – affermò Vivian, mentre cercava di alzarsi.
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