«Oh, Jacob». Ero scoppiata a piangere, quasi non riuscivo a parlare. «Grazie».
«Smettila di frignare, Bella. Ti rovini il vestito. Sono io, punto».
«Punto? Oh, Jake! Ora è tutto perfetto».
Sbuffò. «Già, la festa può iniziare. Finalmente il testimone è arrivato».
«Ora tutti quelli a cui voglio bene sono qui».
Sentii le sue labbra sfiorarmi i capelli. «Scusa il ritardo, dolcezza».
«Sono strafelice che tu sia qui!».
«L’idea era questa».
Lanciai un’occhiata agli ospiti, ma i ballerini m’impedivano di scorgere il punto in cui poco prima avevo visto il padre di Jacob. Non sapevo se fosse rimasto. «Billy sa che sei qui?». Non feci in tempo a chiederlo e già mi diedi la risposta: ecco la spiegazione a tanto buonumore.
«Di sicuro Sam gliel’ha detto. Andrò a trovarlo quando... quando finisce la festa».
«Sarà contentissimo di riaverti a casa».
Jacob si scostò, raddrizzandosi e cingendomi la vita. L’altra mano afferrò la mia, la destra, portandola al petto. Percepivo il battito del suo cuore sotto il mio palmo e intuii che non l’aveva fatto per caso.
«Non so se otterrò più di un ballo», disse e iniziò a guidarmi lentamente in circolo, senza seguire il ritmo della musica alle nostre spalle. «Meglio approfittarne».
Ci muovevamo al ritmo del suo cuore, che palpitava sotto la mia mano.
«Sono felice di essere venuto», disse Jacob piano, dopo qualche istante. «Non credevo di poterlo essere. Ma è bello vederti... ancora. Non è triste come immaginavo».
«Non voglio che tu sia triste».
«Lo so. E non sono qui per farti sentire in colpa».
«No... sono molto felice che tu ci sia. È il miglior regalo che potessi farmi».
Rise. «Meglio così, perché non ho fatto in tempo a passare a prenderne uno vero».
I miei occhi si stavano abituando al buio e riuscivo a scorgere il suo volto, più in alto di quanto mi aspettassi. Possibile che fosse cresciuto ancora? Ormai era più vicino ai due metri che al metro e ottanta. Era un sollievo rivedere i suoi tratti familiari dopo tanto tempo: quegli occhi infossati nascosti sotto le sopracciglia nere arruffate, gli zigomi alti, le labbra piene distese sui denti lucidi nel sorriso sarcastico che faceva il paio con il tono di voce. Ma, ai bordi, gli occhi erano tesi, anzi attenti: capii che cercava di muoversi con la massima cautela. Faceva tutto il possibile per rendermi felice senza tradirsi né mostrare quanto gli costasse.
Non avevo mai fatto niente di così buono da meritare un amico come Jacob.
«Quando hai deciso di tornare?».
«Consciamente o inconsciamente?». Respirò a fondo, prima di rispondere alla sua stessa domanda. «Non so, davvero. Credo di aver vagato un po’ in questa direzione, forse perché era proprio la mia meta. Però soltanto stamattina ho iniziato a correre. Non ero sicuro di farcela». Rise. «Non sai che sensazione assurda sia camminare di nuovo a due zampe. E i vestiti! La cosa più stramba sta proprio nel fatto che mi sembra un’assurdità. Non me l’aspettavo. Sono fuori allenamento con le faccende umane».
Volteggiavamo sicuri.
«Sarebbe stato un peccato non riuscire a vederti così, però. Vale tutto il viaggio. Stasera sei incredibile, Bella. Meravigliosa».
«Alice si è dedicata parecchio a me oggi. E il buio aiuta».
«Per me non è così buio, lo sai».
«Già». I sensi dei licantropi. Com’era facile dimenticare i suoi poteri, tanto appariva umano. Soprattutto in quel momento.
«Ti sei tagliato i capelli».
«Sì. Così è più facile. Valeva la pena di sfruttare il paio di mani che abbiamo».
«Ti dona», mentii.
Lui sbuffò. «Va bene, l’ho fatto da solo, con un trinciapollo arrugginito». Per un istante affiorò il suo sorriso ampio, che però svanì in un’espressione seria. «Sei felice, Bella?».
«Sì».
«Okay». Lo sentii scrollare le spalle. «Immagino sia la cosa più importante».
«E tu come stai, Jacob? Sinceramente».
«Sto bene, Bella, sinceramente. Non devi più preoccuparti per me. Puoi anche smettere di scocciare Seth».
«Non è per te che lo scoccio. Seth mi piace».
«È un bravo ragazzo. Meglio di certi altri. Te lo assicuro, vivere da lupo sarebbe quasi perfetto se riuscissi a liberarmi delle voci nella testa».
Quella frase mi fece ridere. «Eh sì, nemmeno io riesco a mettere a tacere la mia».
«Nel tuo caso, si tratterebbe di pazzia. D’altronde, ho sempre saputo che sei pazza», mi punzecchiò.
«Grazie».
«Probabilmente è più facile essere pazzi che condividere i pensieri del branco. Le voci dei matti non chiamano dei babysitter per sorvegliarli».
«Eh?».
«Sam è qui in giro. Accompagnato. Per precauzione, sai com’è».
«Com’è come?».
«Come nel caso in cui non riuscissi a trattenermi, o cose del genere. In caso decidessi di guastarvi la festa». Un sorriso fulmineo balenò in risposta a quella che probabilmente per lui era una prospettiva piacevole. «Ma non sono qui per rovinarti il matrimonio, Bella. Sono qui...». Non terminò la frase.
«Per renderlo perfetto».
«Questo sarebbe troppo».
«Ma alto come sei, hai le spalle larghe, no?».
Grugnì alla mia brutta battuta e sospirò. «Sono qui per esserti amico. Il tuo migliore amico, un’ultima volta».
«Sam dovrebbe darti più fiducia».
«Be’, forse sono un ipersensibile. Magari sono venuti per tenere d’occhio Seth. Qui ci sono tanti vampiri. Seth non la prende sul serio come dovrebbe».
«Seth sa di non essere in pericolo. Capisce i Cullen molto più di Sam».
«Certo, certo», si arrese Jacob per evitare un battibecco.
Era strano vederlo nel ruolo del diplomatico...
«Mi dispiace per le voci», dissi. «Vorrei poter migliorare le cose». In più di un senso.
«Non va poi così male. Sto solo frignando un po’».
«Sei... felice?».
«Be’, quasi. Ma basta parlare di me. Oggi la stella sei tu». Ridacchiò. «Scommetto che ne vai matta : essere al centro dell’attenzione».
«Già. Non è mai abbastanza».
Rise e lanciò un’occhiata alle mie spalle. A labbra contratte studiò il bagliore scintillante del ricevimento, la girandola aggraziata dei ballerini, i petali che cadevano fluttuando dalle ghirlande. Seguivo il suo sguardo e tutto appariva molto lontano dal nostro spazio nero e silenzioso. Quasi fosse il bianco vorticare della neve dentro una palla di vetro.
«Questo glielo concedo», disse. «Quando si tratta di feste ci sanno fare».
«Alice è una forza della natura, inarrestabile».
«La canzone è finita. Me ne concedi un’altra? O è chiedere troppo?».
Strinsi la mano alla sua. «Puoi averne quante ne vuoi».
Rise. «Sarebbe interessante. Ma è meglio che mi fermi a due. Non voglio che la gente mormori».
E riprendemmo a muoverci in circolo.
«Ormai dovrei essere abituato a dirti addio», bisbigliò.
Cercai di ricacciare indietro il nodo che mi sentivo in gola, ma non ci riuscivo.
Jacob mi guardò accigliato. Mi passò le dita sulla guancia per asciugare le lacrime.
«Non dovresti essere tu a piangere, Bella».
«Tutti piangono ai matrimoni», dissi con un filo di voce.
«Questo è ciò che vuoi, no?».
«Sì».
«Allora sorridi».
Ci provai. Rise della mia smorfia.
«Ti ricorderò così. Farò finta...».
«Cosa? Che io sia morta?».
Digrignò i denti. Lottava contro se stesso, contro la decisione di rendere la sua presenza un regalo e non una punizione. Sapevo cosa avrebbe voluto dire.
«No», rispose infine. «Ma nei miei pensieri ti vedrò come sei ora. Le guance rosa. Il cuore che batte. Pronta a inciampare ovunque. Cose così...».
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