«Certo», rispose Alice tranquilla. «Puoi iniziare a intrecciarli. Voglio una cosa complicata. Il velo va qui, al di sotto». Iniziò ad armeggiare fra i miei capelli, che sollevava e annodava per mostrare in dettaglio la sua idea. Terminata la spiegazione, le mani di Rosalie rimpiazzarono le sue e modellarono la mia chioma, sfiorandola leggere come piume. Alice tornò a occuparsi del mio viso.
Dopo averla elogiata per la sua opera, Alice spedì Rosalie a recuperare il mio abito e a rintracciare Jasper, che aveva il compito di passare a prendere mia madre e suo marito Phil in albergo.
Al piano terra sentivo il rumore lontano della porta d’ingresso che si apriva e chiudeva di continuo. Le voci iniziarono a fluttuare fino alla nostra stanza.
Alice mi fece alzare in piedi, per infilarmi il vestito senza toccare i capelli e il trucco. Mentre chiudeva la lunga fila di bottoni perlati sulla schiena, le gambe mi tremavano così forte da produrre increspature sul raso.
«Respira a fondo, Bella», disse Alice. «E cerca di rallentare il battito del cuore. Non vorrai sciogliere il tuo nuovo viso con il sudore?».
Le rivolsi l’espressione più sarcastica che potevo. «Ci starò attenta».
«Ora devo vestirmi. Riesci a tener duro per due minuti?».
«Ehm... forse».
Alzò gli occhi al cielo e sfrecciò fuori.
Mi concentrai sul respiro, contandone ogni movimento mentre fissavo i riflessi prodotti dalla luce del bagno sul tessuto splendente della gonna. Avevo paura di guardarmi allo specchio: temevo che la mia immagine in abito da sposa mi spedisse a rotta di collo verso un attacco di panico in grande stile.
Alice tornò prima del mio duecentesimo respiro, con un abito che avvolgeva come una cascata argentea il suo corpo sottile.
«Alice... wow».
«Non è niente. Nessuno mi guarderà oggi. Non in tua presenza».
«Spiritosa!».
«Ora, riesci a controllarti o devo chiamare Jasper?».
«Sono tornati? C’è anche mamma?».
«È appena entrata. Sta salendo».
Renée era arrivata due giorni prima e avevo trascorso ogni istante possibile con lei, o meglio, ogni momento in cui riuscivo ad allontanarla da Esme e dagli addobbi. Per come la vedevo, si stava divertendo più di una bambina chiusa per una notte dentro Disneyland. In un certo senso, mi sentivo tradita come Charlie. Tutto il terrore sprecato nei confronti della sua reazione...
«Oh, Bella!», squittì entusiasta prima ancora di aver oltrepassato la soglia. «Oh, tesoro, sei un incanto! Sono così commossa! Alice, sei straordinaria! Tu ed Esme dovreste mettervi in affari come organizzatrici di matrimoni. Dove hai trovato il vestito? È sontuoso! Così aggraziato ed elegante. Bella, sembri uscita da un romanzo di Jane Austen». La voce di mia madre mi sembrava un po’ lontana e tutta la stanza era leggermente sfocata. «Che idea creativa, lo stile è lo stesso dell’anello di fidanzamento. Che cosa romantica! E pensare che appartiene alla famiglia di Edward da due secoli!».
Scambiai un breve sguardo complice con Alice. Quanto allo stile del vestito, mia madre si sbagliava di un centinaio d’anni abbondante. E il vero fulcro della cerimonia non era l’anello, ma Edward.
Sulla porta qualcuno si schiarì la voce, rumoroso e goffo.
«Renée, Esme dice che dovete finire di sistemare giù», disse Charlie.
«Ehi, Charlie, sei uno schianto!», disse Renée quasi sbalordita. Forse fu questo a provocare l’irritazione di mio padre.
«Alice mi ha beccato».
«Davvero è già ora?», mormorò Renée con un nervosismo che ricordava un po’ il mio. «Il tempo è volato. Mi gira la testa».
E lo stesso accadeva a me.
«Abbracciami prima che scenda», insistette Renée. «Attenta a non strappare niente».
Mia madre mi strinse con delicatezza per la vita, fece per uscire, si girò di nuovo e tornò di fronte a me.
«Oh, santo cielo, quasi mi stavo dimenticando! Charlie, dov’è la scatola?».
Mio padre si frugò a fondo nelle tasche e ne tirò fuori una scatoletta bianca che diede a Renée. Renée sollevò il coperchio e me la offrì.
«Qualcosa di blu», disse.
«E di vecchio, direi. Erano di nonna Swan», aggiunse Charlie. «Abbiamo fatto sostituire gli Strass originali con degli zaffiri».
La scatola custodiva due fermacapelli d’argento massiccio. Sopra i pettini, degli zaffiri blu scuro erano incastonati in mezzo a intricati disegni floreali.
Sentii un groppo in gola. «Mamma, papà... non dovevate».
«Alice non ci ha lasciato fare nient’altro», rispose Renée. «Ogni volta che ci provavamo, sembrava che volesse sgozzarci».
Una risatina isterica scoppiò dalle mie labbra.
Alice si avvicinò e in un attimo fissò i fermacapelli alla base delle folte trecce. «Abbiamo qualcosa di vecchio e qualcosa di blu», rimuginò mentre faceva qualche passo indietro per ammirarmi. «E il tuo vestito è nuovo... perciò...».
Mi lanciò qualcosa. Con un gesto automatico sporsi le mani, fra le quali atterrò una delicata giarrettiera bianca.
«Quella è in prestito e la rivoglio indietro», disse Alice.
Arrossii.
«Bene», replicò soddisfatta. «Avevi proprio bisogno di un po’ di colore. Sei ufficialmente perfetta». Abbozzò un sorriso compiaciuto e si rivolse ai miei genitori. «Renée, è ora di scendere».
«Sissignora». Renée mi soffiò un bacio e si affrettò verso la porta.
«Charlie, prendi tu i fiori, per favore?».
Uscito Charlie, Alice mi strappò di mano la giarrettiera e si chinò sotto la mia gonna. Sorpresa e malferma, sentii la sua mano fredda afferrarmi la caviglia per infilarla.
Si rialzò prima che Charlie tornasse con i due bouquet bianchi e vaporosi. Il profumo di rose, fiori d’arancio e fresia mi avvolse in una nebbia leggera.
Rosalie, la migliore musicista di famiglia dopo Edward, iniziò a suonare il pianoforte al piano di sotto. Il Canone di Pachelbel. E io andai in iperventilazione.
«Su, Bells», disse Charlie. Poi si rivolse ad Alice, nervoso: «Non ha una bella cera. Pensi che ce la farà?».
La sua voce sembrava lontana. Non sentivo più le gambe.
«Le conviene».
Alice mi si avvicinò in punta di piedi per guardarmi meglio negli occhi e mi afferrò i polsi con le mani forti.
«Concentrati, Bella. Giù c’è Edward che ti aspetta».
Respirai a fondo per ricompormi.
La musica si trasformò lentamente in una nuova melodia. Charlie mi diede di gomito. «Bells, entriamo in campo».
«Bella?», domandò Alice senza mollare il mio sguardo.
«Sì», squittii. «Edward. Okay». Mi feci trascinare fuori dalla stanza al fianco di Charlie.
Nel salone la musica era più alta. Aleggiava per le scale assieme al profumo di milioni di fiori. Mi concentrai sull’idea di Edward che mi aspettava per convincere i miei piedi a muoversi in avanti.
La musica era nota: la classica marcia nuziale di Wagner arricchita da una marea di abbellimenti.
«Tocca a me», cinguettò Alice. «Conta fino a cinque e seguimi». Iniziò a volteggiare lenta ed elegante sulle scale. Dovevo aspettarmi che avere Alice come unica damigella sarebbe stato un errore. Scendere dopo di lei mi avrebbe fatta sembrare ancora più sgraziata.
Una fanfara trillò all’improvviso fra le note che si libravano. Riconobbi la mia battuta d’entrata.
«Non lasciarmi cadere, papà», sussurrai. Charlie prese la mia mano sottobraccio e la strinse forte.
Un passo alla volta , mi ripetei mentre iniziavamo la discesa al ritmo lento della marcia. Non alzai gli occhi finché i piedi non furono ben saldi sul pavimento, però sentivo le voci e il mormorio dei presenti mano a mano che riuscivano a vedermi. Il sangue m’inondò le guance: nella parte della sposa timida ero impeccabile.
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