Anne Rice - Scelti dalle tenebre

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Scelti dalle tenebre: краткое содержание, описание и аннотация

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Il libro racconta la storia del vampiro Lestat, da aristocratico raffinato nella Francia prerivoluzionaria allo stile rock di New Orleans degli anni ’80, scavando attraverso le sue molte differenti esistenze e indagando il mistero della sua persona unica e infinita

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Avevamo tante cose da dirci, e io ero troppo felice per avere paura.

E poi era orribile avere paura, perché adesso mi rendevo conto di aver commesso un altro grave errore di calcolo. L’avevo compreso per la prima volta quando la Porsche era esplosa con Louis all’interno. Quella mia piccola guerra avrebbe messo in pericolo tutti coloro che amavo. Ero stato sciocco a pensare di poter attirare su di me soltanto tutto il veleno.

Dovevamo parlare. Dovevamo essere astuti. Dovevamo essere molto prudenti.

Ma per il momento eravamo al sicuro, le avevo detto. Lei e Louis non sentivano la minaccia, lì: non ci aveva seguiti fin nella valle. E io non l’avevo mai avvertita. E i nostri giovani, stupidi nemici immortali si erano dispersi, convinti che avessimo il potere di incenerirli a volontà.

«Sai, ho immaginato il nostro incontro mille e mille volte», aveva detto Gabrielle. «Ma non l’ho mai immaginato così.»

«Io penso che sia andata splendidamente», aveva detto. «E non credere neppure per un momento che non avrei potuto tirarci fuori dai guai. Stavo per strangolare quello con la falce e buttarlo oltre l’auditorium. E ho visto l’altro che si avvicinava. Avrei potuto spezzarlo in due. Una delle cose che mi dispiacciono, in quel che è successo, è che non ho avuto la possibilità…»

«Monsieur, sei un diavolo», aveva detto Gabrielle. «Sei impossibile. Sei… come ti aveva chiamato Marius…, il più dannato degli esseri. Sono perfettamente d’accordo.»

Avevo riso, felice. Che dolce adulazione, adorabile nel francese antiquato.

E Louis era rimasto affascinato da lei, mentre stava nell’ombra e la guardava, reticente e pensoso come sempre. Era di nuovo immacolato, come se fossimo appena usciti dall’ultimo atto della Traviata per guardare i mortali che bevevano champagne ai tavoli dei caffè mentre passavano sferragliando le carrozze eleganti.

Avevo sentito che s’era formata la nuova congrega, un’energia magnifica, la negazione della realtà umana, noi tre insieme contro tutte le tribù e tutti i mondi. E un profondo senso di sicurezza, di slancio inarrestabile… come potevo spiegarglielo?

«Madre, non preoccuparti più», avevo detto, sperando di sistemare tutto e di creare un momento di pura serenità. «È inutile. Un essere abbastanza potente da bruciare i nemici può trovarci quando vuole e fare ciò che vuole.»

«E questo dovrebbe impedire che io mi preoccupi?» aveva chiesto Gabrielle.

Avevo visto Louis scuotere la testa.

«Io non ho i tuoi poteri», aveva detto. «Tuttavia sento questa… questa cosa. E ti assicuro che è straniera, assolutamente selvaggia… non so trovare una parola più adatta.»

«Ah, hai di nuovo colpito nel segno», era intervenuta Gabrielle. «È completamente straniera, come se venisse da un essere così distante e diverso…»

«E il tuo Marius è troppo civilizzato», aveva insistito Louis. «Troppo farcito di filosofia. Perciò tu sai che non vuole vendetta.»

«Straniera? Selvaggia?» Li avevo guardati entrambi. «Perché io non ho sentito questa minaccia?»

« Mon Dieu, poteva essere qualunque cosa», aveva detto Gabrielle. «La tua musica potrebbe svegliare i morti.»

Avevo pensato al messaggio enigmatico di quella notte, Lestat! Pericolo!… Ma l’alba era troppo vicina perché ne parlassi agli altri due. E non spiegava nulla. Era solo un altro frammento del rompicapo, e forse non ne faceva neppure parte.

Adesso se n’erano andati insieme, e io ero solo davanti alla porta a vetri e guardavo il barlume di luce che diventava sempre più vivo sopra i monti di Santa Lucia, e pensavo.

«Dove sei, Marius? Perché diavolo non ti sei rivelato?» Poteva essere tutto vero ciò che aveva detto Gabrielle, «È un tuo gioco?»

Ed era un gioco, per me, il fatto che non lo chiamassi veramente, che non levassi la mia voce segreta con tutte le forze, come due secoli prima mi aveva detto che avrei potuto fare?

In tutte le mie lotte era diventata una questione d’orgoglio, per me, non chiamarlo… Ma ormai, cosa contava l’orgoglio?

Forse Marius aveva bisogno che lo chiamassi. Forse lo esigeva. Tutta l’amarezza e l’ostinazione di un tempo mi avevano abbandonato. Perché non fare almeno un tentativo?

Chiusi gli occhi e feci ciò che non avevo fatto da quelle notti del secolo decimottavo, quando gli avevo parlato a voce alta per le vie del Cairo e di Roma. Chiamai in silenzio. E sentii il grido senza voce levarsi da me e allontanarsi nell’oblio. Quasi lo sentivo attraversare il mondo delle proporzioni visibili, lo sentivo diventare sempre più fievole e consumarsi.

E per una frazione di secondo riapparve il luogo lontano e irriconoscibile che avevo intravvisto quella notte. Neve, distese interminabili di neve e una specie di abitazione di pietra con le finestre incrostate di ghiaccio. E su un alto promontorio un bizzarro apparato moderno, un grande disco di metallo grigio che girava sul proprio asse per attirare a sé le onde invisibili che solcano i cieli terrestri.

Un’antenna televisiva! Si protendeva da quel deserto di neve verso il satellite… ecco! E il vetro rotto sul pavimento era il vetro di un teleschermo. Lo vedevo. Una panca di pietra… uno schermo. Rumore.

Una dissolvenza.

MARIUS!

Pencolo, Lestat. Siamo tutti in pericolo. Lei ha… Non posso. Ghiaccio. Sepolto nel ghiaccio. Una visione del vetro infranto su un pavimento di pietra, la panca vuota, il clangore e le vibrazioni del Vampiro Lestat che uscivano dagli altoparlanti. Lei… Lestat, aiutami! Tutti noi… in pericolo. Lei…

Silenzio. Il contatto s’era spezzato.

MARIUS!

Qualcosa, ma troppo debole. Nonostante tutta la sua intensità, era troppo debole.

MARIUS! Stavo appoggiato alla finestra e guardavo la luce del mattino che diventava sempre più viva, e i miei occhi lacrimavano, i miei polpastrelli quasi bruciavano sul vetro caldo.

RISPONDIMI, È AKASHA? VUOI DIRMI CHE È AKASHA, CHE È LEI, È STATA LEI?

Ma il sole spuntava sopra le montagne. I raggi letali si riversavano nella valle, dilagavano.

Corsi fuori casa, attraverso il campo in direzione delle colline, con il braccio alzato per ripararmi gli occhi.

E dopo pochi attimi raggiunsi la mia cripta sotterranea, scostai la pietra e discesi i gradini rozzamente intagliati. Ancora una svolta e mi trovai nell’oscurità fredda e protetta e nell’odore di terra, e mi stesi sul pavimento di fango della piccola camera, con il cuore che martellava nel petto e un tremito che mi scuoteva le membra. Akasha! La tua musica potrebbe svegliare i morti.

Il televisore nella camera, naturalmente. Marius gliel’aveva dato, e le trasmissioni giungevano via satellite. Avevano visto i video! Lo sapevo, lo sapevo con certezza assoluta, come se me l’avesse spiegato fino all’ultimo dettaglio. Aveva portato il televisore nel loro sacrario, come molti anni prima gli aveva portato i film.

E lei si era svegliata, si era levata. La tua musica potrebbe svegliare i morti. L’avevo fatto di nuovo.

Oh, se avessi potuto tenere aperti gli occhi, se avessi potuto pensare, se il sole non fosse sorto.

Lei era stata là, a San Francisco, così vicina a noi, e aveva bruciato i nostri nemici. Straniera, assolutamente straniera, sì.

Ma non incivile, no. Non selvaggia. Non lo era. S’era appena ridestata, la mia dea, come una magnifica farfalla uscita dal bozzolo. E cos’era il mondo per lei? Com’era venuta a noi? Qual era lo stato della sua mente? Pericolo per tutti noi. No, non lo credevo. Aveva annientato i nostri nemici. Era venuta a noi.

Ma non riuscivo più a resistere alla sonnolenza e alla pesantezza. Quella sensazione scacciava lo stupore e l’eccitazione. Il mio corpo diventava inerte, immobile sulla terra.

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