Anne Rice - Scelti dalle tenebre

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Scelti dalle tenebre: краткое содержание, описание и аннотация

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Il libro racconta la storia del vampiro Lestat, da aristocratico raffinato nella Francia prerivoluzionaria allo stile rock di New Orleans degli anni ’80, scavando attraverso le sue molte differenti esistenze e indagando il mistero della sua persona unica e infinita

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«È una tentazione molto forte, mio bellissimo», dissi. «Nel secolo scorso ci sono stati momenti in cui avrei dato qualunque cosa per sentire queste parole. E staremo insieme e parleremo, tutti, e saremo uniti. Sarà splendido, meglio di quanto sia mai stato un tempo. Ma salirò sul palcoscenico. Sarò di nuovo Lelio, come non lo ero mai stato a Parigi. Sarò il Vampiro Lestat e tutti mi vedranno. Un simbolo, un fuorilegge, uno scherzo di natura… amato, disprezzato, tutto. Ti assicuro, non posso rinunciare. Non posso. E, per essere franco, non ho la minima paura.»

Mi accinsi ad affrontare la sua freddezza o la sua tristezza. E odiavo l’avvicinarsi del sole più di quanto l’avessi odiato in passato. Lui gli voltò le spalle. La luce lo feriva un poco. Ma il viso esibiva un’espressione sincera, come prima.

«Sta bene, allora», disse. «Vorrei venire con te a San Francisco. Lo vorrei moltissimo. Mi porterai con te?»

Non potei rispondere subito. L’eccitazione era tormentosa e l’amore che provavo per lui era umiliante.

«Certo, ti porterò con me», dissi.

Ci guardammo per un momento di tensione. Ora doveva andarsene. Era venuto il mattino.

«Una cosa, Louis», dissi.

«Sì?»

«Quei vestiti. Sono impossibili. Voglio dire, domani sera, come dicono nel ventesimo secolo, appendi a un chiodo quel maglione e quei calzoni.»

Il mattino appariva vuoto più che mai, dopo che Louis se ne fu andato. Per un po’ rimasi immobile a pensare al messaggio: Pericolo. Scrutai i monti lontani, i campi sconfinati. Minaccia, avvertimento… che importanza aveva? I giovani compongono i numeri telefonici. Gli antichi levano le voci sovrannaturali. Era così strano?

Ora potevo pensare soltanto a Louis, a Louis che era con me. E a ciò che sarebbe stato quando fossero venuti gli altri.

2.

Gli immensi parcheggi del Cow Palace di San Francisco traboccavano di mortali frenetici, mentre il nostro corteo procedeva oltre i cancelli, con i miei musicisti mortali nella berlina e Louis a bordo della Porsche accanto a me. Elegante e splendente nel costume del complesso con il mantello nero, sembrava appena uscito dalle pagine della sua storia mentre gli occhi verdi scrutavano con un po’ di paura gli adolescenti urlanti e i poliziotti in motocicletta che li tenevano a bada.

Tutti i posti erano esauriti da un mese, e i fan delusi volevano che la musica venisse trasmessa all’esterno per mezzo di altoparlanti, per poterla sentire. A terra erano sparse innumerevoli lattine di birra. I ragazzi sedevano sui tettucci e sui cofani e sui bauli delle macchine, con le radio che trasmettevano a pieno volume Il Vampiro Lestat.

Il nostro manager correva a piedi al fianco del mio finestrino e spiegava che avremmo sistemato all’esterno altoparlanti e teleschermi. La polizia di San Francisco aveva dato il benestare per evitare disordini.

Sentivo l’ansia crescente di Louis. Un branco di giovani sfondò il cordone di polizia e venne a premere contro il finestrino dalla sua parte, mentre il corteo svoltava bruscamente e avanzava verso l’orrendo edificio a forma di tubo.

Ero affascinato da quanto stava accadendo. L’irrequietezza che avevo dentro stava per giungere al culmine. Più volte i fan circondavano la macchina prima di venire respinti; e incominciavo a rendermi conto di aver sottovalutato quell’esperienza.

Gli spettacoli rock filmati che avevo visto non mi avevano preparato alla cruda elettricità che già mi investiva, il modo in cui la musica già vibrava nella mia testa e la rapidità con cui svaporava la vergogna per la mia vanità mortale.

Entrare nella sala fu un problema. Tra due file di guardie, corremmo nella zona degli artisti, protetta da un servizio di sicurezza. Tough Cookie mi stava aggrappata e Alex spingeva Larry davanti a sé.

I fan cercavano di strappare i capelli e i manti. Attirai a me Louis e lo portai con noi.

E poi, nei camerini, lo sentii per la prima volta… il suono bestiale della folla… quindicimila anime che cantavano e urlavano sotto un unico tetto.

No, non tenevo sotto controllo la gioia ardente che mi faceva rabbrividire. Quando mi era mai accaduto di provare quella sensazione che era quasi ilarità?

Andai a sbirciare il pubblico dell’auditorium. C’erano mortali sui due lati del lungo ovale, su fino al soffitto. E, nell’immenso centro aperto, una folla di migliaia di giovani che ballavano, si scambiavano carezze, si spintonavano nella penombra fumosa e cercavano di avvicinarsi al palcoscenico. Gli odori dell’hashish, della birra e del sangue umano vorticavano nelle correnti della ventilazione.

I tecnici gridavano che eravamo pronti. Il trucco era stato ritoccato, i mantelli di velluto nero erano stati spolverati, le cravatte nere assestate. Non era il caso di far attendere ancora la folla.

Fu dato l’ordine di spegnere le luci. Un grande urlo disumano si levò nell’oscurità, salì lungo le pareti. Lo sentivo nel pavimento sotto di me. Divenne più forte quando uno stridente ronzio elettronico annunciò il collegamento delle «apparecchiature».

La vibrazione mi passò nelle tempie, e fu come se mi venisse rimosso uno strato di pelle. Strinsi il braccio di Louis, gli diedi un lungo bacio, e poi sentii che mi lasciava andare.

Al di là del sipario gli spettatori fecero scattare gli accendini e migliaia e migliaia di fìammelle tremolarono nel buio. Risuonarono applausi ritmici che poi si smorzarono, e il frastuono aumentò e diminuì, lacerato da urla improvvise. Mi girava la testa.

Eppure pensavo al teatro di Renaud, tanto tempo prima. Lo vedevo. Ma l’auditorio sembrava il Colosseo romano. La realizzazione dei nastri, dei video… era stato un lavoro così controllato, così freddo. Non mi aveva fatto presagire tutto questo.

Il tecnico diede il segnale, e poi balzammo oltre il sipario. I mortali brancolavano un po’, perché non vedevano niente mentre io mi muovevo senza fatica tra cavi e fili.

Arrivai al proscenio, sopra le teste della folla urlante. Alex era alla sezione ritmica, Tough Cookie aveva in mano la piatta, luccicante chitarra elettrica, Larry era all’enorme tastiera circolare del sintetizzatore. Mi guardai intorno e alzai gli occhi verso i giganteschi teleschermi che avrebbero ingrandito le nostre immagini per offrirle a tutti i presenti. Poi li riabbassai sul mare di giovani che urlavano.

Ondate di rumore ci investirono salendo dall’oscurità. Sentivo l’odore del caldo e del sangue.

Poi si accese la batteria di riflettori. Raggi violenti d’argento, azzurro e rosso s’incrociarono, ci avvolsero, e le urla raggiunsero vertici incredibili. Tutti gli spettatori erano in piedi.

Sentivo la luce strisciare sulla mia pelle bianca, esplodere nei miei capelli biondi. Mi guardai intorno e vidi i miei mortali splendenti e già frenetici mentre si appollaiavano tra i fili e le impalcature argentee. Il sudore mi sgorgò dalla fronte quando vidi tutt’intorno i pugni levati in segno di saluto. E nella sala c’erano moltissimi giovani con i costumi da vampiro, le facce lucide di sangue artificiale. Alcuni portavano parrucche bionde, altri avevano cerchi neri dipinti intorno agli occhi, che davano loro un aspetto ancora più innocente e terribile. Fischi e sibili e grida rauche sovrastavano talvolta il frastuono generale.

No, non era come realizzare i video. Non era come cantare nelle sale dello studio con aria condizionata e pareti rivestite di sughero. Era un’esperienza umana resa vampiresca, come era vampiresca la musica, come le immagini del video erano le immagini dell’estasi del sangue. Rabbrividivo per l’esaltazione, e il sudore rosso mi colava sulla faccia.

I riflettori sciabolarono sul pubblico, lasciandoci immersi in un crepuscolo mercuriale, e dovunque si posava la luce gli spettatori andavano in convulsioni e raddoppiavano le grida.

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