Fritz Leiber - Nostra Signora delle Tenebre

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Nostra Signora delle Tenebre: краткое содержание, описание и аннотация

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Nostra Signora delle Tenebre Per Franz Westen, vedovo, scrittore di racconti del soprannaturale per la televisione, l’incubo comincia all’improvviso, quando, una notte, si affaccia alla finestra del suo appartamento per scrutare con il binocolo le luci della città ed è testimone di una scena inquietante: là, sulla cima di Corona Heights, la solitaria ed erta collinetta che si leva proprio nel cuore di San Francisco, c’è una strana figura dal colorito brunastro che si agita e si muove in maniera sinistra, come se fosse impegnata in qualche misterioso rituale o danza magica. Ha così inizio una terribile persecuzione, cui Franz tenterà invano di sottrarsi e che forse è collegata in qualche modo con un vecchio volume affascinante e sibillino, pieno di misteriose citazioni e di strani discorsi sulle moderne megalopoli e sulle arcane entità che le infestano, i “paramentali”, esseri d’origine azoica “più infidi dei ragni e delle donnole”.

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Piantala! si disse. L’ultima cosa che ci serve, adesso, è la fantasia di uno scrittore.

Abbassò nuovamente il binocolo per dare al proprio cuore la possibilità di rallentare i battiti e per muovere le dita anchilosate. All’improvviso, sentì una forte collera. Si era lasciato trascinare dalle fantasticherie, e così aveva perso di vista il fatto più evidente, ossia che qualcuno era andato a ficcare il naso nella sua camera!

Ma chi poteva essere stato? Dorotea Luque aveva un passepartout, naturalmente, ma non era mai stata una ficcanaso; e neppure il suo taciturno fratello, Fernando, che stava giù in portineria e non parlava inglese, ma che era un fenomeno quando giocava a scacchi. Franz aveva una seconda chiave e l’aveva data a Gunnar, la settimana prima, per via di un certo pacco di libri che doveva arrivargli mentre era fuori, e non se l’era ancora fatta ridare. Di conseguenza, la chiave poteva essere in mano a Gunnar come a Saul, o anche a Cal, se era solo per questo. E Cal aveva un vecchio accappatoio sbiadito che era proprio di quel colore, e continuava a metterlo, di tanto intanto…

Macché, era assurdo pensare che uno di loro… Però, che cosa aveva detto Saul, quella mattina, quando lui si era fermato sulle scale? La “fregona” che dava tante preoccupazioni a Dorotea Luque: questo era già più ragionevole. Renditene conto, disse a se stesso: mentre te ne stavi qui a perdere tempo, per venire incontro a oscure curiosità d’ordine estetico, qualche ladro, probabilmente pieno di eroina, è entrato chissà come nel tuo appartamento e ti sta portando via tutto.

Sollevò nuovamente il binocolo, con ira, e trovò subito la sua finestra, ma ormai era troppo tardi. Mentre lui aveva cercato di calmarsi i nervi e aveva continuato a seguire ipotesi assurde, il sole si era spostato e la fenditura si era riempita d’ombra; e lui non riusciva a distinguere la finestra, tanto meno la figura dentro la stanza.

Tutta la collera svanì. Capì che era stata soprattutto una reazione alla sorpresa di quel che aveva visto, o creduto di vedere… no, qualcosa l’aveva visto davvero, ma di che cosa si trattasse, esattamente, nessuno poteva esserne sicuro.

Si alzò dal sedile naturale di pietra, un po’ a fatica, perché aveva le gambe anchilosate e la schiena rigida, dopo essere rimasto immobile così a lungo, e fece cautamente qualche passo, per poi essere di nuovo investito dal vento. Era leggermente depresso: cosa per niente strana, perché da ovest cominciavano ad arrivare le prime volute di nebbia, che si avvolgevano attorno alla torre della TV e la nascondevano in parte; c’erano ombre dappertutto. Ai suoi occhi, Corona Heights aveva perso gran parte della magìa, e adesso lui voleva solo scendere al più presto possibile e correre a controllare la sua stanza. Perciò, dopo avere dato un’occhiata alla cartina, s’incamminò lungo la discesa sotto di lui, come aveva visto fare ai due escursionisti. Davvero, non vedeva l’ora di essere di nuovo a casa.

7

Il versante di Corona Heights rivolto verso il parco Buena Vista, quello che dava le spalle al centro della città, aveva una pendenza superiore a quel che non sembrasse. Alcune volte, Franz dovette frenare l’impulso di affrettare il passo, e imporsi di procedere cautamente. Poi, a metà della discesa, due grossi cani cominciarono a girargli intorno ringhiando; non sanbernardo, ma grandi dobermann neri, di quelli che gli facevano venire in mente le SS. E il loro padrone, che si trovava più in basso, impiegò parecchio tempo prima di decidersi a richiamarli. Franz attraversò quasi di corsa il prato verde ai piedi della collina e il cancello nell’alta rete di recinzione.

Per qualche momento, pensò di telefonare alla signora Luque o addirittura a Cal, per chiedere loro di dare un’occhiata in camera sua, ma poi esitò all’idea di esporle a un possibile pericolo… o di disturbare Cal che si stava esercitando. Quanto a Gunnar e Saul, dovevano essere fuori.

E poi non sapeva esattamente cosa aspettarsi, e comunque preferiva sbrigarsela da solo.

Presto (ma non troppo presto per lui) si trovò a camminare in fretta lungo il Buena Vista Drive East. Il parco costeggiato da quella strada, un’altra altura, ma coperta di alberi, saliva accanto a lui, verde scuro e pieno d’ombre. Adesso che Franz era di quell’umore, gli sembrava che non fosse affatto una “bella vista” come diceva il suo nome, ma piuttosto l’ambiente ideale per sordidi traffici di eroina e per gli omicidi. Il sole, ormai, era tramontato del tutto, e volute irregolari di nebbia s’incurvavano dietro di Franz. Quando arrivò in Duboce Street avrebbe voluto scendere di corsa, ma lì i marciapiedi erano troppo ripidi, i più ripidi che avesse mai visto sui sette e più colli di San Francisco, e dovette di nuovo mordere il freno e posare con prudenza il piede, e perdere tempo. La zona sembrava tranquilla quanto Beaver Street, ma c’era poca gente in giro, adesso che con la sera era sceso il freddo; e Franz, ancora una volta, mise in tasca il binocolo.

Prese il tram con la scritta N-JUDAH, nel punto dove sboccava dalla galleria sotto il Buena Vista Park (con tutte quelle gallerie, le colline di San Francisco dovevano essere un colabrodo, pensò) e scese per la Market Street fino al Civic Center, la piazza del municipio. Tra la folla che a quella fermata salì con lui su un 19-POLK, una figura massiccia e pallida che stava dietro di lui lo fece sussultare: ma era solo un muratore dagli occhi stanchi, coperto dalla polvere bianchiccia di qualche lavoro di demolizione.

Scese dal 19 a Geary. Nell’androne dell’811 di Geary Street c’era soltanto Fernando che passava l’aspirapolvere, con un suono grigio e cavernoso come adesso lo era la giornata, là fuori. Franz avrebbe voluto fermarsi a chiacchierare, ma il portiere, basso, massiccio e cupo come un idolo peruviano, conosceva l’inglese ancor meno della sorella, e per giunta era piuttosto duro d’orecchio. Si scambiarono un saluto, gravemente, e poi un Senyor Lókey e un Miistar Juestón, perché Fernando pronunciava “Westen” alla spagnola.

Franz prese il cigolante ascensore e salì fino al sesto piano. Provò l’impulso di fermarsi prima da Cal o dagli amici, ma era una faccenda di… be’, di coraggio, affrontare direttamente il pericolo. Il corridoio era buio (una delle lampade del soffitto doveva essersi fulminata), e la finestra del pozzo di ventilazione e la porta senza maniglia dello stanzino vicino alla sua camera erano ancora più scuri del solito. Mentre si avvicinava alla porta del proprio appartamento, si accorse che gli batteva forte il cuore. Preoccupato e nel contempo convinto di comportarsi come uno sciocco, infilò la chiave nella serratura e, stringendo il binocolo nell’altra mano, a mo’ di arma impropria, spalancò in fretta la porta e accese la luce centrale.

Il bagliore della lampada da 200 watt gli mostrò che la stanza era vuota e intatta. Sul lato interno del letto ancora sfatto, la sua coloratissima Amante dello Studioso pareva ammiccare ironicamente. Comunque, Franz non si sentì sicuro finché non ebbe controllato (anche se nel farlo si vergognò di se stesso) nel bagno e non ebbe aperto l’armadio a muro e il guardaroba, e non ebbe scrutato al loro interno.

Poi spense la luce centrale e si avvicinò alla finestra, ancora aperta. Le doppie tende, come ricordava, erano verdi all’interno e all’esterno di un colore marroncino chiaro, sbiadito dal sole; ma se in un certo momento il vento le aveva spinte fuori, un’altra raffica doveva averle ributtate dentro. Tra la nebbia che si stava addensando sulla città si scorgeva ancora vagamente la gobba bitorzoluta di Corona Heights. La torre della TV era completamente velata. Franz guardò in basso e vide che il davanzale della finestra, la piccola scrivania che vi stava appoggiata contro e il tappeto ai suoi piedi erano cosparsi di frammenti di carta marrone che assomigliavano ai ritagli prodotti dalla macchina distruggidocumenti di Gunnar. Si ricordò che il giorno prima, proprio in quel punto, aveva esaminato alcune vecchie riviste, per staccare le pagine che intendeva conservare. E, dopo, che cosa aveva fatto? Aveva buttato via le riviste? Non riusciva a ricordare, ma probabilmente sì. Non le vide lì in giro, comunque: c’era solo il mucchietto ben impilato di quelle che doveva ancora esaminare. Be’, un ladro che rubava solo vecchie riviste con pagine mancanti non rappresentava una minaccia seria: era semplicemente un premuroso raccoglitore di carta straccia.

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