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Donald Wandrei: I giganti di pietra

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Donald Wandrei I giganti di pietra

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Quale segreto legame stringe in una sola terrificante identità il misterioso tempio preistorico di Stonehenge, in Inghilterra, al punto piú solitario dei globo, l’isola di Pasqua, sperduta con le sue enigmatiche statue antichissime nell’immensa distesa equorea del Pacifico meridionale? Perché una catena di tremende sciagure è connessa alla indescrivibile statuetta verdastra, vibrante, antica di milioni di anni, dalle origini cosmiche, trovata da un archeologo in un cimitero abbandonato? E che cosa si cela nell’intrico dell’immensa rete di gallerie sotterranee, che sembrano collegare tra loro le misteriose sedi di entità e vicende che si direbbero incomprensibili all’uomo, antitetiche al suo destino e alla sua natura? Con Giganti di Pietra, Donald Wandrei segna una tappa fulgida nella letteratura dell’orrore e del mistero cosmico, aprendo nuove prospettive alla letteratura d’anticipazione e di fantasia, e rinnovando la tradizionale materia del romanzo “gotico” con le risorse piú recenti della narrativa fantascientifica. I Giganti di Pietra è un romanzo che non si dimentica facilmente!

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«È proprio quello che temevo» disse Graham, contrariato. «E quanto tempo dovrei stare qui?»

«Almeno una settimana.»

Era un nuovo colpo inferto alle sue speranze: una settimana! Come avrebbe potuto ritrovare la sua preziosa valigia dopo sette giorni? Decise di lasciare l’ospedale, con o senza permesso, assai prima di quel termine.

L’infermiera gli porse un bicchiere nel quale aveva versato alcune gocce da una boccetta.

«Bevete questo» gli disse.

Graham obbedì, e il terribile mal di testa scomparve immediatamente. L’infermiera non era ancora uscita che già lo scienziato si era assopito. Si svegliò verso sera, e vide sir Warren accanto al letto. Il più succintamente possibile, Graham spiegò al chirurgo le ragioni che gli imponevano di lasciare l’ospedale prima del termine fissato, ed ebbe la gradita sorpresa di sentirsi rispondere che avrebbe potuto andarsene nel giro di due o tre giorni. La ferita era stata superficiale e l’operazione aveva interessato solo una piccola parte del cranio. Naturalmente bisognava che evitasse anche il più piccolo colpo alla testa per non compromettere la saldatura dell’osso e la cicatrizzazione della pelle.

«È stato un intervento rapido. Quello che può causare maggiori noie è invece la commozione cerebrale» spiegò sir Warren. «Gli effetti del trauma possono farsi sentire magari tra parecchi mesi, o anni, sotto forma di improvvisi stordimenti, e forti emicranie con gli stessi sintomi dei tumori. Noi abbiamo fatto del nostro meglio. Ora, se voi chiedete di andarvene, devo avvertirvi che potete farlo ma a vostro rischio e pericolo. Perciò fate attenzione: niente strapazzi.»

Igiorni seguenti passarono con una lentezza esasperante e Graham ingannò il tempo facendo progetti e cercando di ricordare ogni particolare che potesse essergli di aiuto per capire il fenomeno al quale aveva assistito. Niente da fare! Era un autentico vicolo cieco! Bisognava che ritrovasse la statuetta, a tutti i costi. Ormai era diventata una ossessione, una mania. Quella immagine era senza dubbio la chiave del mistero. In quanto alla presenza soprannaturale, ciclopica, che si era scatenata nello scompartimento del treno, fino a che punto era legata a quell’oggetto?

Per la prima volta nella sua vita Graham rimpianse di non avere un amico fidato con il quale discutere i suoi problemi, perché non osava parlarne agli estranei. Gli avrebbero probabilmente riso in faccia. Già gli sembrava di sentirli: quel povero vecchio Graham! Brutta storia davvero. Sembrava un tipo così a posto, e invece guarda un po’ cosa succede quando uno lavora troppo. Va bene fino a un certo momento, e poi, tutto a un tratto, patatrac!

Durante le ore di ozio forzato, lo scienziato cercò anche di ricostruire le sillabe gutturali che aveva sentito prima del disastro: N’ga n’ga rhthl’g clretl ust s g’lgggar septhulchu… Che significato potevano avere? Anche questo era un rebus da risolvere. L’unica cosa certa in tutta quella storia pazzesca era che, dal momento in cui si era cacciato in quel labirinto, aveva tutte le intenzioni di esplorarne i meandri, qualunque fossero le conseguenze che potessero derivargliene.


La tecnica moderna è in grado di permettere cose che i nostri padri non sognavano neppure. Così, tre giorni dopo il delicato intervento, Graham fu in grado di lasciare l’ospedale nascondendo sotto il cappello un’abile fasciatura non più ingombrante del necessario. Per prima cosa acquistò a un’edicola tutti i giornali che avevano parlato e ancora parlavano dell’incidente ferroviario. Lesse attentamente gli articoli che lo interessavano e diede un’occhiata agli annunci relativi agli oggetti smarriti.

Un paragrafo di uno dei primi articoli lo stupì enormemente. Diceva: Le cause della catastrofe, il cui bilancio è di diciannove morti e cinquantasette feriti, sono tuttora sconosciute. Le testimonianze raccolte permettono d’affermare che la strada ferrata era sgombra, ed escludono ogni possibilità di sabotaggio. Il macchinista, deceduto poco dopo la sciagura, non è stato in grado di fornire alcuna spiegazione. Ha potuto soltanto dichiarare che il treno era in perfetto orario e che la velocità del convoglio non superava in quel punto i cinquanta chilometri orari. Aveva appena imboccato un lungo rettilineo, quando un colpo terribile ha spezzato il convoglio in due. La locomotrice con i primi vagoni è deragliata, falciando la scarpata per duecento metri prima che le vetture le si serrassero attorno bloccandola. Quattro dei nove vagoni che formavano il treno sono rimasti appiattiti come se sulle vetture fosse piombata una montagna. Dai rottami contorti sono stati estratti undici corpi. Dei dodici passeggeri che si trovavanonegli scompartimenti, uno solo si è salvato. Si tratta del conservatore del Museo Ludbury, che è statoricoverato in gravi condizioni all’ospedale Middletown dove gli hanno riscontrato una frattura cranica…

Sui giornali dei giorni seguenti nessun particolare modificava le prime notizie, e i pezzi riguardanti la disgrazia erano ridotti a poche righe. Notizie più recenti godevano l’onore della prima pagina che si occupava particolarmente di un naufragio avvenuto nell’Atlantico. Ma Graham ne aveva abbastanza di incidenti e non si soffermò a leggerne il resoconto. In nessun giornale, si accennava alla valigia scomparsa.

Finita la lettura, lo scienziato chiamò un taxi e si fece portare a casa. Appena arrivato, si affrettò a telefonare a tutti i quotidiani perché ogni giorno, per sette giorni, pubblicassero il seguente annuncio: Lauta ricompensa a chi riporterà una valigia di cuoio scuro, recante nell’angolo superiore le iniziali C.E.G., o il suo contenuto. La valigia è andata smarrita nel disastro ferroviario di Nottington.

In seguito telefonò a un autonoleggio perché gli fosse tenuta a disposizione una buona macchina veloce. Un quarto d’ora più tardi entrò in possesso di una elegante cabriolet, e si mise al volante, sistemando un pacco sul sedile accanto.

Guidò piano, destreggiandosi in mezzo al traffico intenso, ma appena fuori dell’abitato, premette sull’acceleratore e in un’ora giunse sul posto del disastro. Fermata la macchina su un lato della provinciale, si avviò a piedi attraverso un prato per raggiungere la strada ferrata. Le rotaie erano già state riparate, i resti del convoglio portati via. Questo fatto limitava assai le sue speranze di ritrovare il bagaglio. Tuttavia Graham cominciò a cercare minuziosamente lungo entrambi i lati del binario, nelle siepi e sui campi laterali. Percorse così mezzo chilometro, e non una buca, non un ciuffo d’erba sfuggì alle ricerche. Trovò una quantità enorme di cose, bottigliette, pacchetti di sigarette, bottoni, bicchieri di carta, strisce di chewing-gum, e altri oggetti ancora, ma non trovò quello che cercava.

Fece ritorno alla macchina e riprese il viaggio, questa volta in direzione di Isling.

Fermandosi appena il tempo necessario per una rapida colazione, giunse al paese alle prime ore del pomeriggio. Senza perdere un minuto, imboccò la Vadia e arrivò al Cimitero del Diavolo. Preso con sé il pacco, chiuse la macchina ed entrò, dirigendosi verso il punto dei suoi precedenti scavi. Una breve occhiata gli rivelò che dopo di lui nessuno aveva messo piede nella necropoli. Senza perdere tempo si mise a rimuovere la terra interrompendosi di tanto in tanto per non affaticarsi troppo. La testa non gli pulsava dolorosamente anche perché il lavoro non richiedeva uno sforzo eccessivo dato che il terreno era già smosso. Scavò a lungo, e il cuore gli dava un balzo ogni volta che la pala urtava una pietra. Alla fine arrivò alla grande lastra verde, e si fermò per riprendere fiato. Era deluso e gli ci volle un po’ per rassegnarsi al fallimento. Dunque la statuetta non era lì!

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