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Donald Wandrei: I giganti di pietra

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Donald Wandrei I giganti di pietra

I giganti di pietra: краткое содержание, описание и аннотация

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Quale segreto legame stringe in una sola terrificante identità il misterioso tempio preistorico di Stonehenge, in Inghilterra, al punto piú solitario dei globo, l’isola di Pasqua, sperduta con le sue enigmatiche statue antichissime nell’immensa distesa equorea del Pacifico meridionale? Perché una catena di tremende sciagure è connessa alla indescrivibile statuetta verdastra, vibrante, antica di milioni di anni, dalle origini cosmiche, trovata da un archeologo in un cimitero abbandonato? E che cosa si cela nell’intrico dell’immensa rete di gallerie sotterranee, che sembrano collegare tra loro le misteriose sedi di entità e vicende che si direbbero incomprensibili all’uomo, antitetiche al suo destino e alla sua natura? Con Giganti di Pietra, Donald Wandrei segna una tappa fulgida nella letteratura dell’orrore e del mistero cosmico, aprendo nuove prospettive alla letteratura d’anticipazione e di fantasia, e rinnovando la tradizionale materia del romanzo “gotico” con le risorse piú recenti della narrativa fantascientifica. I Giganti di Pietra è un romanzo che non si dimentica facilmente!

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Ascoltò attentamente e di nuovo intese lo strano borbottio. Era veramente il temporale o si trattava del battito del suo cuore? O era qualcosa all’interno dello scompartimento? Concentrò l’attenzione, e il rumore crebbe d’intensità. Adesso era una voce che gridava parole incomprensibili e disumane, giungendo da una lontananza infinita.

N’ga n’ga rhthl’g cheti ust s g’lgggar septhulchu nyrcg s thargoth k’tuhl s brogg meargoth s bh’rw’ lutl ubwcthughu dägoth…

Non una sillaba di quel linguaggio aveva senso per Graham. Il suono diventava sempre più forte, riecheggiando in lui come lo sciacquio di un’onda, lo eccitava e lo esaltava, l’opprimeva e l’angosciava con una forza che lui non aveva mai conosciuto.

Ivetri tremarono, l’aria vibrò sotto l’impeto della voce. Graham si sentì afferrare dal turbinio di un gorgo, si tappò le orecchie con le mani per non sentire. Ma le parole erano in lui, attorno a lui, sempre più forti, sempre più forti…

Poi fu il buio, e il freddo, e la sensazione di uno spazio così sconfinato da superare ogni capacità d’intendere, quasi un abisso senza fine, e il terrore…

Un lampo verde sorse dal nulla. Lontano si alzò acuto l’urlo di una donna subito seguito dallo stridio dei freni contro il metallo delle ruote. Il pavimento sembrò congiungersi al soffitto, e Graham, rannicchiato in se stesso, tese una mano per prendere la sua valigia, ma afferrò solo l’aria.

Abbandonata a se stessa, la valigia piombò fuori dello sportello contorto. Tenebre e silenzio avvolsero l’uomo.

3

Graham aprì gli occhi in un piccolo letto bianco. L’aria era impregnata dall’odore di disinfettante, e la testa gli rintronava dolorosamente come sotto i colpi di un martello.

Faticò un poco a raccogliere le idee: l’ospedale, il disastro ferroviario, un viaggio in treno, una statuetta verde, il cimitero di Isling, e la voce nella notte… Cercò di rizzarsi a sedere, ma lo sforzo gli procurò una fitta dolorosissima che lo fece ricadere sul guanciale. Alzando un braccio poté rendersi conto di avere la testa completamente fasciata. Per un momento che gli sembrò eterno, Graham rimase immobile aspettando che il mal di testa diventasse sopportabile.

Lì, in quell’atmosfera d’ospedale, la sua avventura pareva lontana e inverosimile. Ma doveva essere stata invece terribilmente reale, a giudicare dalle fasciature! Senza dubbio era merito della sua buona stella se l’aveva scampata. In quanto alla statuetta, quando gli avrebbero ridato la valigia…

Ricordò improvvisamente di aver visto per l’ultima volta la valigia mentre cadeva fuori dallo sportello. E la fantastica figurina era là dentro! Se fosse andata perduta… ma no, impossibile, il bagaglio doveva essere stato trovato sul luogo dell’incidente dalle squadre di soccorso e consegnato alle autorità competenti. Faticosamente Graham si girò su un fianco guardandosi attorno: con uno sforzo notevole, e guadagnandosi un afflusso sanguigno che gli accrebbe il dolore, riuscì a dare un’occhiata anche sotto il letto, ma della valigia nessuna traccia. Forse era stata depositata nel guardaroba dell’ospedale. Certo era anche possibile che fosse rimasta schiacciata nel disastro, ma la statuetta di Isling era di un materiale tanto duro che niente avrebbe potutospezzarla.Inogni caso era inutile che si affannasse prima di averne un vero motivo.

Si mise allora a pensare all’incubo che aveva preceduto di un attimo la tragedia, ma i particolari sfuggivano alla sua comprensione. Ricordava vagamente un bizzarro miscuglio di allucinazioni e di realtà, il tutto colorato di verde, tinta che l’aveva accompagnato per l’intera giornata. Risentì fortissimo il dolore alla testa: evidentemente il fatto di pensare nuoceva al suo stato, ma non gli riusciva di fare altrimenti.

Calcolò di essere sveglio da circa un quarto d’ora. Puntando i gomiti e muovendosi con infinite precauzioni, riuscì a tirarsi più in su e poté raggiungere il campanello che si trovava sopra la testiera del letto. Suonò. Dopo qualche minuto entrò una giovane infermiera, bionda, florida, sorridente, e graziosa.

«Avete suonato?»

«No, cosa vi salta in testa?Icampanelli suonano sempre da soli» disse Graham bruscamente. Non poteva sopportare le domande stupide soprattutto se era una donna a farle.

La ragazza accentuò il suo sorriso.

«Se volessi rispondervi nel medesimo tono, direi che sir Warren ha trapiantato in voi un po’ del suo cervello» disse.

«Sir Warren?»

«Sì, signore, il medico chirurgo. Vi ha operato ieri, per una frattura alla base cranica e commozione cerebrale. Un’operazione senza importanza, s’intende!»

Graham incassò.

«D’accordo. Me la sono meritata, questa risposta.»

Sir Warren era un famoso specialista, noto per le sue operazioni sul cervello, ed era amico di Graham.Aveva anche offerto alcuni pezzi interessanti al Museo.

«Vorrei sapere dove sono, e da quando sono qui» riprese lo scienziato.

«Ospedale Middletown, camera sette uno tre» disse l’infermiera. «Siete nostro ospite da ieri mattina. Vi hanno portato qui subito dopo l’incidente, e dieci minuti dopo il vostro arrivo eravate in sala operatoria.»

«Avete tra le mie cose personali una valigia scura, non molto grande?»

«Non lo so, ma posso informarmi.»

«Volete farlo subito, per favore? La cosa è per me di importanza capitale, Spero di non disturbarvi troppo.»

L’infermiera fece una maestosa conversione a sinistra e uscì dalla camera.

Tornò qualche minuto più tardi, per dire: «Non c’è nessuna valigia depositata a vostro nome, purtroppo. Voi eravate un caso dei più urgenti, e quando siete arrivato non avevate che i vostri vestiti.»

«È proprio quello che temevo» disse Graham, contrariato. «E quanto tempo dovrei stare qui?»

«Almeno una settimana.»

Era un nuovo colpo inferto alle sue speranze: una settimana! Come avrebbe potuto ritrovare la sua preziosa valigia dopo sette giorni? Decise di lasciare l’ospedale, con o senza permesso, assai prima di quel termine.

L’infermiera gli porse un bicchiere nel quale aveva versato alcune gocce da una boccetta.

«Bevete questo» gli disse.

Graham obbedì, e il terribile mal di testa scomparve immediatamente. L’infermiera non era ancora uscita che già lo scienziato si era assopito. Si svegliò verso sera, e vide sir Warren accanto al letto. Il più succintamente possibile, Graham spiegò al chirurgo le ragioni che gli imponevano di lasciare l’ospedale prima del termine fissato, ed ebbe la gradita sorpresa di sentirsi rispondere che avrebbe potuto andarsene nel giro di due o tre giorni. La ferita era stata superficiale e l’operazione aveva interessato solo una piccola parte del cranio. Naturalmente bisognava che evitasse anche il più piccolo colpo alla testa per non compromettere la saldatura dell’osso e la cicatrizzazione della pelle.

«È stato un intervento rapido. Quello che può causare maggiori noie è invece la commozione cerebrale» spiegò sir Warren. «Gli effetti del trauma possono farsi sentire magari tra parecchi mesi, o anni, sotto forma di improvvisi stordimenti, e forti emicranie con gli stessi sintomi dei tumori. Noi abbiamo fatto del nostro meglio. Ora, se voi chiedete di andarvene, devo avvertirvi che potete farlo ma a vostro rischio e pericolo. Perciò fate attenzione: niente strapazzi.»

Igiorni seguenti passarono con una lentezza esasperante e Graham ingannò il tempo facendo progetti e cercando di ricordare ogni particolare che potesse essergli di aiuto per capire il fenomeno al quale aveva assistito. Niente da fare! Era un autentico vicolo cieco! Bisognava che ritrovasse la statuetta, a tutti i costi. Ormai era diventata una ossessione, una mania. Quella immagine era senza dubbio la chiave del mistero. In quanto alla presenza soprannaturale, ciclopica, che si era scatenata nello scompartimento del treno, fino a che punto era legata a quell’oggetto?

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