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Ursula Le Guin: La mano sinistra delle tenebre

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Ursula Le Guin La mano sinistra delle tenebre

La mano sinistra delle tenebre: краткое содержание, описание и аннотация

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Il romanzo racconta la storia di un solitario messaggero, Genly Ai, e della sua missione su Inverno, un pianeta sconosciuto e ghiacciato, i cui abitanti possono scegliere — e cambiare — il proprio sesso. Scopo della missione è accelerare l'ingresso di Inverno nell'Ecumene, la lega dei mondi civilizzati, e per far ciò Ai dovrà farsi strada nelle sottili trame dei governanti, si troverà a combattere per la sua stessa sopravvivenza ma, soprattutto, dovrà essere pronto ad aprirsi a un mondo nuovo e diverso e a confrontarsi con una sfida più alta: che cosa è «alieno» e che cosa è «umano»?

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— Ho freddo da quando sono giunto su questo mondo.

— Come lo chiamate, questo mondo, nella vostra lingua?

— Gethen.

— Non gli avete dato un nome vostro?

— Sì, l'hanno fatto i Primi Investigatori. L'hanno chiamato Inverno.

Ci eravamo fermati sul cancello che dava all'esterno, tra le mura che racchiudevano il giardino. Fuori, il terreno e i tetti del Palazzo erano sagome fosche, cupe, che si ergevano qua e là, a diverse altezze, una massa confusa immersa nel fosco chiarore della neve notturna che scendeva sfarfallando dal cielo plumbeo, dove le nubi erano squarciate là dove galleggiava sanguigna la luna, e quella massa era rischiarata, a intervalli diversi, dalle feritoie dorate, confuse delle finestre. Là in piedi, sotto la stretta arcata, sollevai lo sguardo, chiedendomi se anche quella chiave di volta fosse stata murata con una calcina di ossa e di sangue. Estraven si congedò da me e mi voltò le spalle; non era mai troppo espansivo, nei suoi saluti e nei suoi addii. Io camminai per i cortili e i viali silenziosi del Palazzo, e i miei stivali scricchiolavano sulla neve sottile rischiarata dalla luna, e poi mi diressi verso casa, attraverso le strade profonde della città. Avevo freddo, ero sfiduciato, e ossessionato dalla perfidia, e dalla solitudine, e anche dalla paura.

CAPITOLO SECONDO

Il luogo nella tormenta

Da una collezione di registrazioni sonore di «storie del focolare» Nord Karhidi, negli archivi del Collegio degli Storici di Erhenrang, narratore ignoto, registrata durante il regno di Argaven VIII.

Circa duecento anni fa nel Focolare di Shath alla frontiera di Pering c'erano due fratelli che si erano scambiati la promessa solenne di un reciproco kemmeri. In quei giorni, come ancora oggi, a due fratelli era permesso il reciproco kemmer fino a quando uno di essi non desse alla luce un figlio, ma dopo questo essi dovevano separarsi; così non era mai permesso loro di giurarsi il kemmer, ed essere kemmeri, per la vita intera. Eppure essi avevano fatto proprio questo. Quando venne concepito un figlio, il Lord di Shath comandò loro di rompere il loro voto, e di non incontrarsi mai più in kemmer. Nell'udire questo comando uno dei due, colui che portava il bambino, disperò e non volle ascoltare conforto o consiglio, e procuratosi del veleno, si uccise. Allora il popolo del Focolare si sollevò contro l'altro fratello e lo scacciò dal Focolare e dal Dominio, gettando sopra di lui la vergogna del suicidio. E poiché il suo stesso Lord lo aveva esiliato, e la sua storia lo precedeva, nessuno volle accettarlo, ma dopo i tre giorni di ospitalità tutti lo scacciavano dalle loro porte, come un fuorilegge. E così egli andò di luogo in luogo, fino a quando non vide che non era rimasta cortesia per lui nella sua terra, e il suo delitto non sarebbe stato perdonato. Non aveva creduto che potesse finire così, essendo giovane e non ancora indurito dalla vita. Quando egli vide che era davvero così, invece, ritornò attraversando il paese fino a Shath, e come un esule si fermò sulla soglia del Focolare Esterno. Questo egli disse ai suoi compagni di focolare, riuniti là:

— Io ho perso la faccia tra gli uomini. Nessuno mi vede. Io parlo e nessuno mi sente. Io vengo e nessuno mi dà il benvenuto. Non c'è posto accanto al fuoco per me, né cibo sul tavolo per me, né un letto fatto per me ove io possa riposare. Eppure ho ancora il mio nome: Getheren è il mio nome. Quel nome io lo getto su questo Focolare come una maledizione, e con esso pongo la mia vergogna. Tenete questo e quella per me. Ora senza nome io andrò a cercare la mia morte. — Allora alcuni degli uomini del focolare balzarono in piedi, con grida e tumulto, con l'intento di ucciderlo, perché l'assassinio è un'ombra più lieve del suicidio su una casa. Egli riuscì a sfuggire loro, e corse a settentrione, sopra la terra, verso il Ghiaccio, distanziando tutti coloro che lo inseguivano. Costoro ritornarono tutti, scoraggiati, a Shath. Ma Getheren proseguì, e dopo due giorni di viaggio giunse davanti al Ghiaccio di Pering.

Per due giorni viaggiò in direzione nord, sul Ghiaccio. Non aveva cibo con sé, né riparo oltre il suo mantello. Sul Ghiaccio nulla cresce, e non si muovono animali. Era il mese di Susmy e le prime grandi nevi cadevano in quei giorni e in quelle notti. Egli andò solo, attraverso la bufera. Durante il secondo giorno, capì che era sempre più debole. Durante la seconda notte, dovette sdraiarsi e dormire per un poco. Durante il terzo mattino nel destarsi vide che le sue mani erano state morse dal gelo, e così pure i suoi piedi, anche se non aveva potuto togliersi gli stivali per guardarli, non potendo ormai più usare le proprie mani. Cominciò a muoversi in avanti, strisciando, reggendosi con i gomiti e le ginocchia. Non aveva alcuna ragione di fare questo, poiché non aveva importanza che egli morisse in un luogo oppure in un altro, sul Ghiaccio, ma sentiva dentro di sé l'urgenza di muoversi, di andare ancora più a nord.

Dopo molto tempo la neve cessò di cadere intorno a lui, e il vento di soffiare. Il sole apparve, brillante. Non poteva vedere lontano, davanti a sé, nel suo strisciare, perché il pelo del suo cappuccio gli cadeva sugli occhi. Non provando più alcun senso di freddo nelle gambe e nelle braccia e sul viso, pensò che il gelo della tormenta lo avesse paralizzato. Eppure poteva ancora muoversi. La neve che si stendeva sopra il ghiacciaio gli sembrava strana, come se si trattasse di un'erba bianca che cresceva nel ghiaccio. Si piegava al suo tocco, e si raddrizzava di nuovo, come fili d'erba. Smise di strisciare e si rialzò, mettendosi a sedere, alzando il cappuccio, in modo da poter guardare intorno. A perdita d'occhio, fino a dove giungeva il suo sguardo, si stendevano campi di erba-neve, bianca e scintillante. C'erano gruppi di alberi bianchi, e sui rami bianchi crescevano foglie bianche. Il sole splendeva, e non c'era vento, e tutto era bianco.

Getheren si tolse i guanti e si guardò le mani. Erano bianche come la neve. Eppure il gonfiore del gelo era sparito, e poteva usare le dita, e alzarsi in piedi. Non sentiva dolore, né fame, né freddo.

Vide lontano, sopra il ghiaccio, a nord, una bianca torre come la torre di un Dominio, e da questo luogo molto lontano una persona veniva camminando verso di lui. Dopo qualche tempo Getheren poté vedere che questa persona era nuda, che la sua pelle era tutta bianca, e i suoi capelli erano tutti bianchi. La persona si avvicinò ancora, e fu abbastanza vicina da poterle parlare. Getheren disse:

— Chi sei tu?

L'uomo bianco disse:

— Io sono il tuo fratello e kemmeri, Hode.

Hode era il nome del suo fratello che si era ucciso. E Getheren vide che l'uomo bianco era suo fratello in corpo e lineamenti. Ma non c'era più vita nelle sue viscere, e la sua voce suonava sottile come lo sbriciolarsi del ghiaccio.

Getheren domandò:

— Quale luogo è mai questo?

Hode rispose:

— Questo è il luogo della tormenta. Noi che ci uccidiamo abitiamo qui. Qui tu e io potremo mantenere il nostro voto.

Getheren era spaventato, e disse:

— Io non voglio restare qui. Se tu fossi venuto con me, lontano dal nostro Focolare, nelle terre del sud, avremmo potuto restare assieme e mantenere il nostro voto per tutta la vita, e nessun uomo avrebbe mai conosciuto la nostra trasgressione. Ma tu hai spezzato il tuo voto, gettandolo via insieme alla tua vita. E ora tu non puoi dire il mio nome.

Questo era vero. Hode mosse le labbra bianche, ma non riuscì a dire il nome di suo fratello.

Si avvicinò in fretta a Getheren, tendendo le braccia per trattenerlo, e lo prese per la mano sinistra. Getheren si liberò e fuggì. Corse verso sud, e correndo vide sorgere davanti a lui una bianca parete di neve che cadeva, e quando entrò in quella parete di tormenta cadde di nuovo in ginocchio, e non poté più correre, ma solo strisciare.

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