Orson Card - Il gioco di Ender

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Il gioco di Ender: краткое содержание, описание и аннотация

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Gli alieni, minacciosi esseri dall’aspetto insettoide, hanno attaccato due volte la Terra e questa guerra il governo del mondo ha deciso di creare una razza di genii militari, di allevare bambini al di fuori del mondo normale e istruirli nelle arti marziali tramite una serie di “giochi di guerra” e di combattimenti simulati basati sull’uso del computer.
Ender Wiggin, l’eroe di questo magnifico romanzo, è un genio tra i genii: nato con le doti di un superbo comandante e condottiero di uomini, viene forzato a una precoce maturità attraverso un addestramento continuo e pressante. Toccherà a lui, unico a vincere tutti i “giochi”, assumere il comando, al momento opportuno, delle forze terrestri effettive: sarà lui a guidare le astronavi umane e i computer che dirigono la gittata dei missili contro il nemico. Con questo Il gioco di Ender, Orson Scott Card, uno dei migliori autori della fantascienza moderna, è riuscito a rinnovare uno dei temi più classici di questo genere letterario, quello dell’addestramento dei cadetti spaziali, e si è imposto, vincendo tutti i maggiori premi del 1986, a fianco dei Dickson e degli Heinlein e di tutti i grandi maestri di questo filone narrativo.

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Comunque era tardi per cambiare percorso, così tenne lo sguardo dritto avanti a sé e sperimentò lievi movimenti delle braccia e delle gambe per mantenere l’assetto di volo. Soltanto all’ultimo momento s’accorse di aver mirato con troppa precisione sul bersaglio: non sarebbe atterratto accanto ad Alai, stava per arrivargli dritto addosso.

— Ehi, afferrami le mani! — gridò Alai.

Ender allungò le braccia verso le sue. Alai riuscì così ad ammortizzare l’impatto, quindi lo aiutò a fermarsi senza danni alla parete.

— Ottima mossa — approvò Ender. — Dovremmo fare pratica in questo genere di cosa.

— Lo penso anch’io, solo che tutti quanti sono là che girano come trottole — disse Alai. — Mi chiedo cosa succederebbe se ci spingessimo avanti insieme. Dovremmo esser capaci di proiettarci l’un contro l’altro in direzioni opposte, no?

— Sicuro.

— D’accordo?

Era un’ammissione che fra loro le cose non erano state troppo liscie. Sei d’accordo che tu e io si possa fare qualcosa insieme? Per tutta risposta Ender prese Alai per un polso e si preparò al balzo.

— Pronto? — chiese Alai. — Andiamo!

A causa della diversa energia con cui s’erano dati la spinta, i due cominciarono a ruotare l’uno intorno all’altro. Ender compì alcuni lievi movimenti col braccio libero, poi allungò una gamba. La rotazione rallentò. Ripeté la manovra ed essa s’interruppe. Ora stavano volando avanti in assetto stabile.

— Hai una buona testa, Ender — disse Alai. Quello era il suo complimento migliore. — Procediamo alla spinta, prima di finire nel mucchio degli altri.

— E poi troviamoci insieme in quell’angolo là. — Ender aveva messo una testa di ponte in campo nemico, e non voleva vederla svanire.

— L’ultimo che arriva paga all’altro dieci scorregge in una bottiglia del latte — disse Alai.

Con lenta prudenza manovrarono fino a trovarsi faccia a faccia, mani unite e ginocchia a contatto.

— Riusciremo a evitare gli altri? — si preoccupò Alai.

— Per tutto dev’esserci una prima volta — disse Ender.

Distesero le braccia di scatto. La spinta diede loro più velocità di quel che s’aspettavano. Ender urtò in un paio di ragazzi, e fu deviato in una direzione inattesa. Gli occorse qualche istante per orientarsi rispetto all’angolo in cui avrebbe dovuto incontrare Alai, mentre l’altro già volava in quella direzione. In fretta calcolò un percorso che avrebbe incluso due rimbalzi, per evitare un folto gruppo di compagni.

Quando Ender giunse al traguardo, Alai s’era agganciato alle tre ringhiere dell’angolo e stava fingendo di dormire.

— Hai vinto tu.

— Mi aspetto le tue dieci scorregge migliori — disse Alai.

— Le ho già messe nel tuo armadietto. Non te ne sei accorto?

— Credevo che fossero le mie calze.

— Qui nessuno di noi porta più calze.

— Ah, già. — Qualcosa che ricordava loro quanto fossero lontani da casa. Parte della soddisfazione provata nel navigare abilmente nell’aria si dissolse.

— Cosa succede se spari addosso a qualcuno? — domandò Alai.

— Non lo so.

— Perché non cerchiamo di scoprirlo?

Ender scosse il capo. — Potremmo ferire qualcuno.

— Volevo dire, perché non ci spariamo l’un l’altro, magari in un piede, o qualcosa del genere. Io non sono Bernard, non ho mai torturato un gatto per vedere se si torce.

— Ah!

— Non può essere troppo pericoloso, altrimenti non avrebbero dato queste pistole a dei ragazzi.

— Adesso ci considerano soldati.

— Sparami in un piede.

— No, spara tu a me.

— Va bene, spariamoci a vicenda.

Fu quel che fecero, e all’istante Ender sentì la gamba della tuta farsi rigida, immobilizzandosi all’articolazione del ginocchio e della caviglia.

— Sei congelato? — chiese Alai.

— Gamba dura come un legno.

— Congeliamo qualcun altro — propose Alai. — La nostra prima azione bellica: tu e io contro tutti loro.

Sogghignarono, poi Ender disse: — Meglio invitare anche Bernard.

Alai inarcò un sopracciglio. — Oh?

— E Shen.

— Quello scodinzolante vermiciattolo nero?

Ender decise che Alai stava scherzando. — Ehi, non tutti possiamo vantare dei genitori neri.

Alai mugolò: — Mio nonno avrebbe potuto frustarti per una frase come questa.

— O forse ci avrebbe bevuto sopra, e il mio anche.

— D’accordo. Recuperiamo Bernard e Shen, e congeliamo questa frotta di Scorpioni.

Venti minuti più tardi tutti i ragazzi in sala erano congelati, salvo Ender, Bernard, Shen e Alai. I quattro si appollaiarono su una ringhiera e risero dello spettacolo che si presentava loro, finché nel locale non entrò Dap.

— Vedo che avete appreso l’uso del vostro equipaggiamento — disse. Poi azionò un piccolo apparecchio che aveva in mano. I ragazzi che fluttuavano qua e là cominciarono a spostarsi lentamente verso la parete in cui si aprivano gli ingressi. Dap si mosse fra i ragazzi congelati, toccandoli e rendendo di nuovo flessibili le loro tute. Ognuno protestava impermalito che Bernard e Alai avevano agito scorrettamente, colpendoli quando loro non erano pronti.

— E perché non eravate pronti? — chiese Dap. — Vi siete messi le tute nello stesso momento. Ma voi avete perso tempo svolazzando attorno come polli senza testa. Piantatela di frignare e cominciamo a lavorare sul serio.

Ender notò che davano per scontato che i capi di quella battaglia fossero stati Bernard e Alai. Meglio così , pensò. Bernard sapeva che lui e Alai avevano imparato insieme l’uso delle pistole, e che dunque erano amici, perciò poteva dedurne che lui s’era unito al suo gruppo. Ma le cose stavano diversamente: Ender s’era aggregato a un nuovo gruppo. Quello di Alai. Un gruppo a cui anche Bernard s’era unito.

La cosa non risultò evidente a tutti; Bernard continuava a fare il capoccia e a dare ordini a questo e a quello. Ma Alai adesso aveva mano in ogni questione della camerata, e quando Bernard eccedeva era lui che interveniva per placarlo. Quando fu loro chiesto di scegliere il nome del capogruppo, la scelta fu quasi unanime in favore di Alai. Bernard brontolò scontrosamente per qualche giorno, poi si adattò, e i ragazzi trovarono una certa unità in quel nuovo schema. Il gruppo non era più suddiviso in fazione interna di Bernard, neutrali, e fuoricasta tipo Ender. Alai era il ponte fra di loro.

Ender sedeva sulla branda con il banco elettronico girato sulle ginocchia. I ragazzi stavano studiando ognuno per conto proprio, e lui aveva chiamato sullo schermo del desco una Partita Libera. Era un gioco di tipo strano e bislacco, nel quale il computer della Scuola inseriva a getto continuo elementi nuovi creando una sorta di labirinto che il giocatore doveva esplorare. Era possibile restare alle prese con situazioni a piacere, almeno per un poco, ma bastava lasciarle scorrere perché qualcos’altro prendesse il loro posto.

Talvolta erano cose divertenti, talaltra eccitanti, e lui era costretto a stare sempre sul chi vive per non essere ucciso. Era già morto una gran quantità di volte, ma la cosa era normale, faceva parte del gioco: capitava d’essere uccisi ripetutamente, prima di scovare il modo di procedere oltre gli ostacoli.

La sua figura sullo schermo aveva cominciato in forma di ragazzino. Nei tentativi seguenti lo aveva trasformato in un orsacchiotto. Adesso era un grosso topo, con mani lunghe e delicate. Ender fece correre la figura sotto un gran mucchio di mobili sfasciati. L’aveva fatta competere a lungo contro un gatto, ma questo aveva finito per annoiarlo: troppo facile eluderlo, ora che conosceva tutti i segreti di quei mobili.

Non attraverso la tana del topo stavolta , disse a se stesso. Non ne posso più del Gigante. È una partita insensata, e non posso vincere mai. Qualunque sia la mia scelta, è sbagliata.

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