Dagli albori della loro civiltà alla guerra che aveva spazzato via il loro pianeta natale, Ender ne riassumeva la storia come fosse un racconto tramandato oralmente dall’antichità. Quando arrivò a parlare della Grande Madre, l’unica regina riconosciuta nella sua epoca, colei che per prima aveva stabilito di allevare e istruire le giovani regine invece di ucciderle per non avere rivali, rallentò il ritmo della narrazione e disse di quante volte ella era stata costretta a distruggere quei frutti del suo corpo, le piccole regine che d’istinto le si rivoltavano contro, finché non ne partorì una che capiva il significato profondo dell’armonia e della collaborazione.
Questa era stata una novità rivoluzionaria per il loro mondo: due regine che si amavano e si aiutavano l’un l’altra invece di battersi furiosamente. Sotto di loro gli alveari si moltiplicarono, divennero forti e civili; prosperarono ed ebbero figlie capaci di vivere in pace. Quello era stato l’inizio di un regno destinato ad evolversi su molti pianeti.
«Ah, se soltanto avessimo saputo comunicare con voi!» sospirava l’immaginaria regina della storia di Ender. «Ma poiché ciò non accadde, vi chiediamo solo questo: che ci ricordiate, noi regine e operaie che vi combattemmo, non come nemiche ma come sventurate e tragiche sorelle, a cui Dio o il Fato o l’Evoluzione aveva dato una forma ahimè diversa dalla vostra. Se fossimo riusciti a stringerci la mano, ci saremmo apparsi l’un l’altro come creature uguali. E invece ci siamo uccisi a vicenda. Ma nonostante ciò i nostri spiriti vi danno il benvenuto, oggi, come ospiti onorati. Venite sui nostri mondi, amici della Terra; abitate i nostri tunnel, ridate la vita ai nostri campi, e ciò che non è più fatto dalle nostre mani siano le vostre a farlo in pace. Germogliate per loro, alberi e fiori. Sole, scalda questi nostri fratelli. E tu, buona terra, sii fertile per loro. Purché la vita continui, questa è l’eredità che gli lasciamo, e sia per sempre la loro casa.»
Il libro che Ender aveva scritto non era lungo, comunque conteneva tutti i fatti buoni o malvagi che erano a conoscenza della regina non ancora nata. E non lo firmò col suo nome, bensì con un titolo che aveva voluto darsi:
L’ARALDO DEI DEFUNTI
Sulla Terra il libro fu pubblicato senza molto scalpore, ma ne furono distribuite tante copie che già pochi mesi dopo era difficile credere che qualcuno non ne conoscesse il contenuto. Molti lo trovarono interessante; una ristretta minoranza prese alcuni dei suoi aspetti fin troppo sul serio. Questi diedero inizio a un culto basato sulla fratellanza universale e sul principio che, quando uno di essi moriva, aveva il diritto di avere accanto a sé un altro confratello, l’Araldo dei Defunti, il quale narrava la vita e le opere dello scomparso con le parole che lui stesso avrebbe usato, ma con spietata verità e senza celare i difetti né sottolineare le virtù. Quelli che si dedicarono a simili servizi funebri destarono spesso sconcerto e disagio fra i parenti del defunto, ma vi fu anche chi ritenne che la sua vita dovesse servire d’insegnamento a qualcun altro, anche per gli errori in essa contenuti, e s’impegnò a lasciarla scritta affinché alla sua conclusione vi fosse un Araldo che dicesse la verità come per la sua stessa bocca.
Sulla Terra essa rimase una religione fra le tante. Ma per quelli che avevano attraversato lo spazio per abitare nei tunnel delle regine degli alveari, e per coltivare i campi un tempo appartenuti agli alveari, spesso questa fu la sola religione. E non ci fu colonia che non avesse il suo Araldo dei Defunti.
Nessuno seppe, e nessuno in realtà volle sapere, chi fosse stato il primo degli Araldi. Ender preferì non dirlo.
All’età di venticinque anni Valentine finì l’ultimo volume della sua storia delle guerre contro gli Scorpioni. Ad esso accluse il testo completo del piccolo libro di Ender, senza però rivelare il nome dell’autore.
Fu allora che l’anziano Egemone della Terra, Peter Wiggin, ormai settantasettenne e sofferente di gravi disturbi cardiaci, si mise in contatto con lei, via ansible.
— Io so chi l’ha scritto — le disse il fratello. — Ebbene, se lui può dar voce alle parole degli Scorpioni, sicuramente potrà farlo anche per me.
Ender parlò così con lui a mezzo ansible, e Peter gli raccontò la storia della sua vita senza omettere nessuno dei suoi crimini né le azioni che avevano portato vantaggi a qualcun altro. E quando Peter morì, Ender scrisse un secondo volume ancora a firma dell’Araldo dei Defunti. I due libri, insieme, vennero chiamati La Regina dell’Alveare e l’Egemone , e furono considerati scritti sacri.
— Coraggio, Val — disse un giorno a sua sorella. — Voliamo via, e andiamo a vivere per sempre.
— Non ci è concesso — rispose Valentine. — Ci sono miracoli che neppure la velocità relativistica può fare, Ender.
— Dobbiamo andarcene. Sento che qui potrei perfino trovare la felicità.
— Allora rimani.
— Ho vissuto troppo a lungo col mio dolore. Non voglio sapere che persona sarei senza di esso.
Così si imbarcarono su un’astronave e viaggiarono di pianeta in pianeta. Dovunque si fermarono lui fu soltanto Andrew Wiggin, Araldo itinerante dei defunti, e lei fu soltanto una storica di nome Valentine, che metteva per iscritto le opere dei vivi mentre lui dava voce alle storie dei defunti. E in ognuno di quei luoghi Ender portò sempre con sé il prezioso bozzolo di seta bianca, in cerca del mondo in cui la regina dell’alveare avrebbe potuto risvegliarsi e crescere, e vivere in pace.
La sua fu una lunga ricerca.
FINE