Joe Haldeman - Guerra eterna

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La guerra, ci insegna l’autore, non è mai una cosa piacevole. E in una guerra che dura 1200 anni, le probabilità di sopravvivenza sono prossime a zero. Iniziata nel 1997, la guerra contro la razza extraterrestre dei Taurani si trascina avanti pesantemente, un secolo dopo l’altro. I soldati che la combattono viaggiano tra le stelle a velocità prossime a quelle della luce, e invecchiano soltanto di pochi mesi ad ogni viaggio, mentre i secoli si susseguono rapidamente sulla Terra: una Terra che ad ogni licenza diventa sempre più irriconoscibile.
Il soldato Mandella inizia come fuciliere: è di leva, non ama né la vita militare né il modo con cui gli alti comandi trattano lui, i suoi compagni e in sostanza anche il nemico. Ma, nonostante queste sue avversioni, il semplice espediente di non farsi uccidere in qualche scaramuccia o in qualche esercitazione (assai più pericolose che non i veri combattimenti) lo porta a diventare maggiore, a capo di qualche… secolo. E parallelamente all’inglorioso svolgersi della Guerra Eterna, vediamo i cambiamenti della società terrestre in 1200 anni: i mutamenti di abitudini e di prospettive culturali, estrapolati da Haldeman in modo quanto mai plausibile. Un grande romanzo, che ha giustamente meritato i massimi premi della fantascienza.

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— Altri otto trasporti truppe — disse Charlie. — Cinque minuti. Il tempo necessario perché gli altri arrivino qui.

Quindi intendevano attaccare in due ondate. Almeno due. Cosa avrei fatto io, al posto del comandante taurano? Non era una domanda troppo assurda: i taurani erano privi d’immaginazione e tendevano a copiare gli schemi umani.

La prima ondata sarebbe stata un attacco suicida, da kamikaze, per ammorbidirci e valutare le nostre difese. Poi la seconda sarebbe stata più metodica, e avrebbe completato il lavoro. O viceversa: il primo gruppo avrebbe avuto a disposizione venti minuti per trincerarsi; poi il secondo l’avrebbe scavalcato e ci avrebbe colpiti duramente in un dato punto… avrebbe sfondato il perimetro e invasa la base.

O forse avevano mandato due gruppi solo perché il due era un numero magico. Oppure erano in grado di lanciare solo otto trasporti truppe alla volta; e sarebbe stato un guaio, perché voleva dire che i trasporti erano grossi. In situazioni diverse i taurani avevano usato trasporti che contenevano da un minimo di quattro soldati a un massimo di centoventotto.

Tre minuti. — Fissai la schiera dei monitor che mostravano varie sezioni del campo minato. Se avevamo fortuna, sarebbero atterrati là, per prudenza. O forse l’avrebbero sorvolato a quota abbastanza bassa da fare esplodere le mine.

Mi sentivo vagamente colpevole. Ero al sicuro nella mia tana, a scarabocchiare, pronto a lanciare ordini. Cosa ne pensavano del loro comandante assenteista quei settanta agnelli votati al sacrificio?

Poi ricordai quello che avevo pensato io del capitano Stott durante la prima missione, quando aveva preferito starsene al sicuro in orbita mentre noi combattevamo al suolo. L’impeto di quel ricordo d’odio fu così forte che dovetti mordermi le labbra per ricacciare la nausea.

— Hilleboe, è in grado di badare al laser da sola?

— Non vedo perché no, signore.

Lasciai cadere la penna e mi alzai. — Charlie, occupati della coordinazione dell’unità: puoi farlo anche meglio di me. Io vado su.

— Non glielo consiglierei, signore.

— Diavolo, William, no. Non fare l’idiota.

— Io non accetto ordini, io li do…

— Non sopravviveresti per dieci secondi, lassù — disse Charlie.

— Correrò gli stessi rischi di tutti gli altri.

— Non hai capito quello che voglio dire. Ti uccideranno loro !

— I nostri? Assurdo. So che non hanno molta simpatia per me, ma…

— Non hai ascoltato le frequenze delle squadre? — No, non parlavano la mia varietà d’inglese, quando comunicavano tra loro. — Pensano che li abbia mandati là fuori per punizione, per vigliaccheria. Dopo che avevi detto loro che erano liberi di andare nella cupola.

— Non è stato così, signore? — fece la Hilleboe.

— Punirli? No, naturalmente no. — Non consciamente. — Li ho mandati su perché mi occorreva… Il tenente Brill non gli ha detto niente?

— No, che io abbia sentito — fece Charlie. — Forse era troppo occupata per sintonizzarsi.

O forse era d’accordo con loro. — Sarà meglio che…

— Là! — urlò la Hilleboe. Il primo trasporto nemico era visibile su uno dei monitor del campo minato; gli altri apparvero dopo un secondo. Arrivavano da tutte le direzioni e non erano neppure distribuiti equamente intorno alla base. Cinque nel quadrante nord-est e uno solo in quello sud-ovest. Trasmisi l’informazione alla Brill.

Ma avevamo previsto esattamente il loro ragionamento: stavano per scendere tutti sul cerchio minato. Uno arrivò abbastanza vicino da fare esplodere uno degli ordigni a tachioni. L’esplosione colpì l’estremità posteriore del veicolo bizzarramente aerodinamico, gli fece compiere una giravolta completa e lo fece precipitare di muso. I portelli laterali si aprirono, e ne strisciarono fuori i taurani. Erano dodici: quattro, probabilmente, erano rimasti dentro. Se tutti gli altri trasporti contenevano sedici soldati, erano numericamente di poco superiori a noi.

Nella prima ondata.

Gli altri sette veicoli atterrarono senza incidenti e, sì, c’erano sedici taurani su ciascuno. La Brill spostò un paio di squadre per conformarsi alla concentrazione delle truppe nemiche, e attese.

I taurani avanzarono rapidi attraverso il campo minato, spiccando balzi all’unisono come robot dalle gambe arcuate e dal torso massiccio, senza variare l’andatura neppure quando uno di loro veniva fatto a pezzi da una mina, il che accadde undici volte.

Quando comparvero all’orizzonte, risultò evidente la ragione di quella distribuzione apparentemente casuale: avevano analizzato in anticipo le linee di avvicinamento che avrebbero offerto loro la massima copertura, grazie ai detriti sollevati dai missili. Ce l’avrebbero fatta ad arrivare a un paio di chilometri dalla base prima che potessimo averli chiaramente sulla linea di tiro. E i loro scafandri avevano circuiti di potenziamento come i nostri: quindi potevano coprire un chilometro in meno di un minuto.

La Brill fece aprire immediatamente il fuoco ai suoi, probabilmente più per tener alto il loro morale che per la speranza di colpire davvero i nemici. Probabilmente qualcuno lo falciarono, anche se era difficile capirlo. Se non altro, i razzi a tachioni facevano una gran scena, trasformando i macigni in ghiaietta.

I taurani risposero al fuoco con qualche arma simile ai razzi a tachioni, o forse esattamente identica. Ma era difficile che facessero centro: i nostri erano al livello del suolo o anche più sotto, e se il razzo non colpiva qualcosa, continuava a procedere in eterno, amen. Comunque colpirono uno dei laser, e la scossa che arrivò fino a noi fu tale da farmi rimpiangere che non ci fossimo rintanati un po’ più giù di venti metri.

I laser da un gigawatt non ci servivano a niente. I taurani dovevano aver calcolato in anticipo la loro linea di tiro, e giravano al largo. Fu una fortuna, perché indusse Charlie a distogliere per un attimo l’attenzione dal monitor dei laser.

— Cosa diavolo…

— Che c’è, Charlie? — Io non distolsi gli occhi dai monitor. Aspettavo che succedesse qualcosa.

— L’astronave, l’incrociatore… è sparito. — Guardai lo schermo olografico. Aveva ragione: le sole luci rosse che restavano erano quelle dei trasporti.

— Dov’è andato? — chiesi, stupidamente.

— Torniamo indietro. — Charlie programmò lo schermo perché tornasse indietro di un paio di minuti, e regolò la scala in modo che nel cubo si vedessero sia il pianeta sia la collapsar. Apparve l’incrociatore, e con esso tre punti verdi. Il nostro "vigliacco", che attaccava l’astronave nemica con due soli missili.

Ma aveva avuto un po’ di aiuto da parte delle leggi della fisica.

Invece di entrare nel campo della collapsar, lo aveva soltanto sfiorato, girandogli intorno, con una traiettoria simile a quella di un sasso scagliato da una fionda. Ne era uscito a nove decimi della velocità della luce, e i missili erano partiti a 0,99 c, puntando diritti verso l’incrociatore nemico. Il nostro pianeta era a circa mille secondi-luce dalla collapsar, e perciò l’astronave taurana aveva avuto solo dieci secondi di tempo per avvistare e fermare entrambi i missili. E a quella velocità, venire colpiti da una bomba nova o da uno sputo era lo stesso.

Il primo missile aveva disintegrato l’incrociatore; l’altro, che lo seguiva a 0,01 secondo, proseguì per piombare sul pianeta. Il caccia mancò il pianeta di poche centinaia di chilometri e schizzò via nello spazio, decelerando al massimo, venticinque gravità. Sarebbe ritornato in un paio di mesi.

Ma i taurani non avevano intenzione di aspettare. Si stavano avvicinando ormai alle nostre linee quanto bastava perché si potesse incominciare a usare i laser; ma erano anche a tiro dei lanciagranate. Un macigno abbastanza grosso poteva ripararli dal fuoco dei laser, ma le granate e i razzi facevano strage.

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