«Be’, questo dipende da come me la caverò.»
Il cervello di Oscar cominciò a ronzare. «Questo lo capisco. Naturalmente cercherai di fare del tuo meglio. Però… la situazione diplomatica… gli olandesi sono così pronti alla provocazione. Sono dei veri estremisti.»
«Ma certo che sono estremisti, Oscar. Il loro paese sta affondando. Anche noi saremmo degli estremisti, se la maggior parte dell’America fosse sommersa sotto il livello del mare. Adesso gli olandesi hanno tutto da perdere, sono proprio con le spalle al muro. È per questo che sono così interessanti.»
«Tu non parli olandese, però.»
«Lì parlano tutti inglese, sai.»
«Gli olandesi sono radicali militanti. Sono pericolosi. Fanno delle richieste assurde agli americani, ce l’hanno sul serio con noi.»
«Io sono un reporter, Oscar. Non posso spaventarmi con tanta facilità.»
«Quindi hai davvero intenzione di partire» concluse Oscar in tono triste. «Stai per lasciarmi, vero?»
«Non voglio metterla su questo piano…»
Oscar fissò con sguardo assente il retro del pullman. All’improvviso, ebbe l’impressione che il suo involucro assolutamente liscio fosse qualcosa di orribile, di alieno. Lo aveva strappato alla sua casa, alla camera da letto in cui dormiva la sua donna. Il pullman lo aveva rapito. Gli volse le spalle e iniziò a camminare con il telefono, procedendo alla cieca, verso gli intricati boschi del Texas. «No» rispose. «Lo so. È il nostro lavoro. Sono le nostre carriere. E io sono stato il primo. Ho accettato un lavoro impegnativo e ti ho lasciata. Non è così? Ti ho lasciato sola e sono ancora via. Sono molto lontano e non so quando tornerò.»
«Be’,» replicò Clare «l’hai detto tu, non io. Ma questa è la pura verità.»
«E così non posso incolparti di nulla. Se lo facessi, sarei un ipocrita, non ti pare? Entrambi sapevamo che poteva accadere una cosa del genere. Il nostro non è mai stato un legame ufficiale.»
«Già.»
«È stata una relazione.»
«A me piaceva.»
«È stata bella, no? È stata molto bella, fin quando è durata.»
Clare sospirò. «No, Oscar, non posso permetterti di parlare così. Non dire queste cose, non sarebbe giusto. È stata più che bella. È stata grandiosa, una storia ideale. Voglio dire, per me tu sei stato una fonte fantastica di informazioni. Non hai mai cercato di rifilarmi informazioni manipolate e hai mentito di rado, soltanto quando era strettamente necessario. Mi hai permesso di vivere in casa tua. Mi hai presentato a tutti i tuoi amici ricchi e influenti. Mi hai aiutato nella mia carriera. Non hai mai alzato la voce con me. Sei stato un vero gentiluomo. Tu sei un uomo brillante, il fidanzato ideale.»
«Sei così dolce.» Oscar sentiva che stava per avere un’emorragia.
«Mi dispiace davvero di non essere mai stata capace di… sai… superare quella faccenda del tuo problema personale.»
«Non preoccuparti,» la rassicurò Oscar con una certa amarezza, «ci sono abituato.»
«Sai, è… è una di quelle tragedie permanenti. Capisci, come per me il fatto di appartenere a una minoranza.»
Oscar sospirò. «Clare, io non credo che qualcuno ce l’abbia davvero con te perché sei un’anglosassone di razza bianca.»
«Ti sbagli, la vita è dura per chi fa parte di una minoranza razziale. È così. Ecco, tu più di chiunque altro dovresti capire cosa vuol dire. So che non si può fare nulla per il modo in cui si è nati, però… be’, questa è una delle ragioni per cui voglio accettare l’incarico in Olanda. Molti bianchi sono fuggiti dall’America in Europa… La mia famiglia è lì, sai? Le mie radici sono lì. Credo che questo potrebbe aiutarmi, in qualche modo.»
Oscar non riusciva più a respirare.
«Tesoro, mi sento un verme, ho l’impressione di averti deluso.»
«No, è meglio così» la tranquillizzò Oscar. «Fa molto male, ma sarebbe stato sicuramente più doloroso trascinare la cosa fingendo. Lasciamoci da amici.»
«Potrei tornare, sai. Non devi essere così frettoloso. Non devi fare subito testa o croce. Perché si tratta di me, della tua amica Clare, capisci? Non è una decisione di management.»
«No, diamoci un taglio netto» replicò Oscar in tono fermo. «È meglio per noi. Per entrambi.»
«Va bene. Se sei sicuro, credo di poterti capire. Arrivederci, Oscar.»
«È finita, Clare. Arrivederci.» Oscar interruppe la comunicazione, poi scagliò il telefono tra gli alberi.
«Non funziona mai nulla!» gridò rivolto verso il cielo grigio, in cui si alzavano nubi di polvere rossastre. «Non riesco mai a far funzionare niente!»
Oscar strappò un pezzo di nastro adesivo da una bobina gialla e l’avvolse intorno a un mattone, quindi vi passò sopra uno scanner portatile, attivando il nastro. Era circa l’una del mattino. Il vento, che proveniva dagli alti pini scuri, soffiava umido e forte, ma Oscar stava lavorando duro e il clima sembrava tristemente appropriato al suo umore.
«Sono una pietra angolare» annunciò il mattone.
«Buon per te» grugnì Oscar.
«Sono una pietra angolare. Spostami di cinque passi sulla tua sinistra.»
Oscar ignorò quest’ultima richiesta e fissò rapidamente il nastro su altri sei mattoni. Fece passare lo scanner su ognuno di essi, quindi spostò di lato l’ultimo mattone per passare al livello successivo nella pila.
Non appena lo prese tra le mani protette dai guanti, l’ultimo mattone lo avvertì «Non installarmi ancora. Installa prima quella pietra angolare.»
«Ma certo» gli rispose Oscar. Il sistema di costruzione era abbastanza intelligente da possedere un limitato vocabolario tecnico. Sfortunatamente, però, non era in grado di udire molto bene le parole. I minuscoli microfoni incorporati nel nastro parlante erano assai meno efficaci degli altoparlanti grandi quanto l’unghia di un pollice. Tuttavia, era difficile non replicare a un blocco di cemento che si esprimeva con tanta grazia e autorità. Le voce proveniente dai nastri somigliava a quella di Franklin Roosevelt.
Era stato Bambakias a creare quel sistema di costruzione. Come tutte le creazioni dell’architetto, era estremamente funzionale, ma anche ricco di idiosincratici tocchi di eleganza. Oscar aveva piena fiducia nel sistema, una fede pragmatica, maturata attraverso una cospicua esperienza empirica. Aveva lavorato come un mulo in molti dei siti di costruzione creati da Bambakias. Nessuno, d’altra parte, era mai riuscito a conquistarsi la fiducia di Alcott Bambakias, oppure a entrare nel circolo dei suoi protetti, senza prima sobbarcarsi una dose non indifferente di duro lavoro.
Il duro lavoro, in effetti, costituiva il cuore e l’anima del salotto intellettuale di Bambakias. W. Alcott Bambakias nutriva un discreto numero di idee eterodosse, tra le quali, però, primeggiava la profonda convinzione che i sicofanti e gli artisti dell’imbroglio si stancano molto facilmente. Come molti altri membri della moderna classe superiore, il senatore era sempre pronto a compiere gesti munifici, a gettare alla folla ducati d’oro. Naturalmente la sua generosità attirava numerosi parassiti, ma lui sapeva come sbarazzarsi dei ‘soldati per un’estate e dei patrioti del bel tempo’, come si ostinava a chiamarli, esigendo frequenti prestazioni di brutale lavoro fisico. «Sarà divertente» annunciava con un ghigno feroce arrotolandosi le maniche dei suoi abiti di sartoria. «Otterremo dei grandi risultati.»
Bambakias non era un operaio a giornata. Era un uomo colto e benestante, sua moglie era una nota collezionista d’arte. Ed era proprio per questo che la coppia provava un perverso piacere nel farsi venire le vesciche alle mani, nello strapparsi i tendini e nel sudare come maiali. Il volto dell’architetto, di una bellezza matura, che non nascondeva i segni del tempo, si illuminava di una smagliante espressione da noblesse oblige mentre faticava nella sua tuta da falso operaio e nel suo cinto erniario. La sua elegante moglie traeva un evidente piacere masochistico nel sollevare l’equipaggiamento da costruzione mentre i suoi lineamenti finemente cesellati assumevano la stessa espressione decisa di una top model intenta a sollevare pesi in palestra.
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