«No, potrebbe essere graziosa, se solo si sforzasse di esserlo. Il viso è leggermente asimmetrico ed è chiaro che non va mai dal parrucchiere» notò Audrey con occhio clinico. «Ma è alta e sottile. Potrebbe indossare dei begli abiti. Sicuramente Donna riuscirebbe a valorizzarla al massimo.»
«Non credo che Donna abbia voglia di affrontare questa fatica improba» obiettò Argow.
«Ho già una fidanzata, grazie» tagliò corto Oscar. «Ma, visto che hai ancora il file sullo schermo: di cosa si occupa esattamente la dottoressa Penninger?»
«È una neurologa. Una neurologa che studia il sistema nervoso degli animali. Una volta ha vinto un premio importante per qualcosa chiamato ‘farmacocinetica dei radionuclidi’.»
«Quindi svolge ancora attività di ricerca?» domandò Oscar. «Da quanto tempo fa parte del consiglio direttivo?»
«Adesso controllo» rispose subito Audrey premendo alcuni tasti. «È stata qui a Buna per sei anni… Sei anni di lavoro in questo posto, riesci a immaginarlo? Non c’è da meravigliarsi se sembra così nervosa… Secondo questo dossier, sono quattro mesi che è stata nominata a capo della divisione Strumenti.»
«Allora è davvero annoiata» commentò Oscar. «È il suo lavoro ad annoiarla. Questo è molto, molto interessante. Prendine nota, Audrey.»
«Dici sul serio?»
«Ma certo. E invitiamola a cena.»
Oscar aveva organizzato un’uscita in pullman, un picnic per una parte della sua krew. Serviva a tenere in piedi la pietosa illusione della ‘vacanza’, li teneva lontani per un po’ dall’onnipresente sorveglianza elettronica e, soprattutto, offriva la possibilità di dimenticare per qualche ora il senso di oppressione psichica esercitato dalla cupola del Collaboratorio.
Parcheggiarono il pullman sul ciglio della strada in un parco statale chiamato Big Thicket. Il parco era un’area molto estesa del Texas che, sorprendentemente, era sfuggita al dilagare dell’agricoltura e al processo di antropizzazione. Non sarebbe stato del tutto appropriato definire quel parco una ‘terra incontaminata’, dal momento che i cambiamenti climatici l’avevano notevolmente danneggiata, ma per gente proveniente dal Massachusetts quel caos di dimensioni texane costituiva una piacevole novità.
La giornata era nuvolosa e umida, persino un po’ fredda, ma era piacevole trovarsi di fronte a un vero e proprio clima. Le folate di vento che spazzavano il parco non erano esattamente quella che viene definita ‘aria fresca’ — l’aria del Texas orientale era considerevolmente meno fresca di quella filtrata che si respirava all’interno del Collaboratorio — ma aveva un odore molto intenso, sapeva di un mondo dotato di orizzonti. Inoltre, i gitanti avevano il forno a gas portatile di Fontenot per riscaldarsi. Fontenot l’aveva appena acquistato, usato ma in buone condizioni, dal proprietario di una macelleria cajun a Mamou. Il forno era stato ricavato da un barile di petrolio; era annerito dal calore, funzionava a propano e aveva beccucci di ottone. Aveva l’aria di essere stato costruito da un ubriaco durante il Mardi Gras.
Quel posto, molto lontano dal Collaboratorio, era ideale per parlare in linea e fare qualche telefonata senza essere controllati. Ormai le microspie erano diventate molto economiche: in un’epoca in cui i telefoni cellulari costavano meno di una confezione di birra da sei, i dispositivi di spionaggio costavano quanto una busta di coriandoli. Ma una microspia economica non sarebbe stata in grado di trasmettere dati fino a Buna, a sessanta miglia di distanza. Una microspia molto costosa, d’altra parte, sarebbe stata scoperta dalle apparecchiature, altrettanto costose, di Fontenot. Questo significava che chiunque poteva parlare liberamente.
«Allora, come va con la nuova casa, Jules?»
«Procede, procede» rispose Fontenot in tono soddisfatto. «Dovresti venire a vederla. Potremmo prendere la mia barca nuova di zecca. Ci divertiremmo un mondo.»
«Mi farebbe piacere» mentì Oscar, diplomatico come sempre.
Fontenot sparse il basilico tritato e le cipolle sul suo roux bollito, poi si buttò a pesce sul pasticcio fritto, innaffiandolo con whiskey a profusione. «Qualcuno mi aprirebbe il contenitore del ghiaccio?»
Oscar si alzò dal contenitore e aprì il coperchio isolante. «Cosa ti serve?»
«Quelle astriche.»
«Le cosa?»
«Istriche.»
«Cosa?»
«Vuole dire le ostriche» intervenne Negi Estabrook.
«D’accordo» rispose Oscar. Individuò una busta con i molluschi nel contenitore.
«Adesso bisogna fare bollire l’acqua» Fontenot avvertì Negi con la sua strascicata pronuncia cajun. «Aggiungi un altro po’ di quella salsa piccante.»
«Io so come preparare una zuppa, Jules» replicò Negi in tono piuttosto teso. «Ho una laurea in alimentazione.»
«Ma non una zuppa cajun, ragazza.»
«Quella cajun non è una cucina difficile» ribatté la donna in tono paziente. Negi aveva sessant’anni; Fontenot era l’unico membro della krew che osasse chiamarla ‘ragazza’. «Sostanzialmente la cucina cajun è una cucina rustica francese di antichissima tradizione. Usa molto peperoncino. E lardo. Tonnellate di lardo tutt’altro che salutari.»
Fontenot fece una smorfia. «Avete sentito tutti? Parla così solo per ferire i miei sentimenti.»
Negi rise. «Come se tu ne avessi!»
«Sapete» intervenne Oscar, «mi è venuta una buona idea.»
«Spara pure» lo invitò Fontenot.
«La nostra situazione nel dormitorio all’interno del Collaboratorio è chiaramente insostenibile. E neanche la città di Buna ha la possibilità di ospitarci in maniera decente. Buna non è mai stata una vera e propria città: è fatta di serre, fiorai, piccoli motel scalcinati e di qualche industria leggera in declino. Purtroppo la città non possiede un luogo adatto in cui stabilirci; un posto dove potremmo, per esempio, ricevere una commissione del Senato in visita. Perciò, costruiamocelo noi il nostro albergo.»
Fred Dillen, il lavandaio della krew, che fungeva anche da custode, mise giù la sua birra. «Il nostro albergo?»
«Perché no? Sono due settimane che ci stiamo riposando qui, a Buna. Abbiamo ripreso fiato. È arrivato il momento di riorganizzarci e di lasciare sul serio una traccia tangibile del nostro passaggio. Possiamo creare un albergo. È sicuramente alla portata dei nostri mezzi e delle nostre capacità. Dopo tutto, è sempre stata la nostra tattica migliore per le campagne. Gli altri candidati si dedicherebbero ai raduni, cercherebbero di lavorarsi i media. Ma Alcott Bambakias potrebbe radunare una moltitudine di gente per la campagna, offrendo loro un alloggio permanente.»
«Vuoi dire che dovremmo costruire un albergo per ricavarci un profitto?»
«Be’, prima di tutto per nostra comodità, ma poi, certo, anche per guadagnare qualcosa, è naturale. Potremmo farci inviare i progetti e il software dalla ditta di Bambakias. Siamo sicuramente capaci di costruire la struttura e, soprattutto, siamo perfettamente in grado di gestire un albergo. A pensarci bene, una campagna politica itinerante è fondamentalmente un albergo mobile. Ma, in questo caso, noi resteremo in un unico posto, saranno gli altri a venire da noi. E poi ci pagheranno anche.»
«Cavolo!» commentò Fred. «Che mossa bizzarra, assolutamente insolita…»
«Credo che ce la possiamo fare. Potete tutti continuare a svolgere i ruoli che avete ricoperto durante la campagna. Negi, tu puoi occuparti della cucina. Fred, tu invece ti occuperai della lavanderia e delle camere. Corky gestirà il servizio di accoglienza ospiti e la reception. Rebecca si occuperà della sicurezza fisica e, occasionalmente, fungerà da massaggiatrice. Collaboreremo tutti quanti e, se dovessimo averne bisogno, possiamo assumere a tempo determinato qualcuno del posto. E guadagneremo un po’ di soldi.»
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