Bruce Sterling - Caos U.S.A.

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Caos U.S.A.: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel 2044 gli Stati Uniti stanno andando in pezzi. I fondi federali per le basi militari sono ridotti al punto che l’aeronautica americana deruba gli automobilisti sulle autostrade. L’ingegneria genetica si evolve senza alcuna regola, e vaste fasce di popolazione sono diventate tribù nomadi che vagano su mezzi di trasporto a basso costo, supportate da una tecnologia in totale decadenza. I cinesi hanno superato gli USA nel controllo delle reti globali e hanno messo on line i software americani dichiarandoli liberi e a disposizione di tutti. L’effetto serra ha scaldato il clima, i poli si stanno sciogliendo e la guerra fredda è ricominciata contro un’Olanda minacciata dalle acque. Su questo sfondo si muove Oscar Valparaiso, un improbabile eroe con un grosso scheletro nell’armadio. Oscar è un professionista della politica, e con l’aiuto della neuroIoga Greta Penninger cercherà di ostacolare i piani di un senatore ossessionato dalla manipolazione genetica. Assieme i due vogliono scatenare la nuova Rivoluzione, ricordando all’America le neglette utopie di libertà e uguaglianza.

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«Nomadi dell’aria» commentò Fontenot, socchiudendo gli occhi.

«Si stanno dirigendo verso est» notò Oscar.

«Green Huey usa il pugno di ferro nei confronti delle associazioni per il tempo libero.» Fontenot depose la sua ciotola, si alzò con aria decisa ed entrò nel pullman per dare un’occhiata alle sue macchine. Aveva la tipica espressione seria di quando lavorava.

La krew di Oscar riprese a mangiare, adesso in silenzio e con determinazione. Nessuno provò il bisogno di dire ad alta voce quello che sapevano tutti: presto sarebbero arrivati molti più nomadi.

Fontenot riemerse dal pullman, dove aveva analizzato i rapporti sul traffico stradale. «È probabile che tra non molto saremo costretti ad andare via» annunciò. «I Regolatori si sono riuniti nella riserva di Alabama-Coushatta e ora stanno procedendo in questa direzione. Questi prolet del posto sono tutt’altro che remissivi.»

«Be’, anche noi siamo stranieri qui non te lo dimenticare» ribatté Negi. La donna aveva vissuto per strada, ai vecchi tempi in cui i senzatetto non disponevano di cellulari e computer portatili.

Dieci minuti dopo arrivarono due scout nomadi su un sidecar. Indossavano abiti invernali: kilt, poncho a strisce ed enormi mantelli di stoffa ruvida meravigliosamente ricamati con vecchi marchi di multinazionali del ventesimo secolo. La loro pelle luccicava per effetto di uno spesso strato di grasso isolante, che serviva a proteggerli dal vento. Calzavano stivaletti che arrivavano a metà polpaccio, realizzati in una sostanza che, per aspetto e lucentezza, ricordava molto il vinile.

Gli scout si fermarono, scesero e cominciarono a camminare. Erano silenziosi e avevano un contegno orgoglioso; con sé avevano delle videocamere cellulari. Quello che aveva guidato la moto stava masticando una grossa barretta di cibo artificiale verde, simile a erba alfalfa compressa.

Oscar fece loro cenno di avvicinarsi. In effetti era chiaro che quei nomadi non erano i leggendari Regolatori, ma vagabondi texani, molto meno avanzati nei loro costumi peculiari rispetto ai prolet della Louisiana. Parlavano solo spagnolo. Lo spagnolo che Oscar aveva appreso durante la sua infanzia era alquanto arrugginito e Donna Nunez non era nei dintorni; Rebecca Pataki, però, aveva un’infarinatura di quella lingua.

I nomadi si complimentarono gentilmente con loro per il pullman e offrirono delle barrette vegetali. Oscar e Rebecca rifiutarono educatamente e offrirono a loro volta del gumbo all’ostrica. I nomadi trangugiarono con cautela gli avanzi dello stufato caldo, profondendosi in complimenti per il suo sapore. Non appena i grassi animali cominciarono a circolare nelle loro arterie, divennero meno sospettosi. Indagarono, cercando di non dare nell’occhio, sulla disponibilità di metallo da riciclare: per caso non avevano chiodi, ferro, rame? Corky Shoeki, che era il maggiordomo del campo e l’esperto di riciclaggio, regalò loro qualche scatoletta vuota che si trovava nel pullman.

Oscar osservò con preoccupazione i computer dei nomadi. Non usavano tastiere standard: avevano eliminato la disposizione QWERTY, adottandone un’altra maggiormente efficiente. Quei relitti umani non digitavano neppure come persone normali. Il che, stranamente, irritò Oscar molto più del fatto che quei nomadi fossero dei fuorilegge messicani.

Muovendosi come se avessero avuto a disposizione tutto il tempo del mondo — e in effetti era proprio così — i due uomini se ne andarono. Il traffico sull’autostrada era improvvisamente diminuito. La gente aveva subodorato l’imminente spostamento dell’orda dei Regolatori e stava già evitando le strade. Passarono due auto della polizia con le luci intermittenti accese, ma non le sirene. Le tribù nomadi non avevano paura della polizia locale. Erano troppo numerose perché le si potesse arrestare con tranquillità e, in ogni caso, i prolet avevano la loro polizia.

Comparve l’avanguardia del convoglio dei Regolatori. Camion e pullman di plastica che procedevano a una velocità di circa trenta miglia orarie, centellinando il consumo di benzina e cercando di ridurre al minimo il logorio dei loro motori. Poi giunse il nucleo centrale dell’orda, la base tecnica dei nomadi. Camion con pianale e autobotti carichi di tutto l’equipaggiamento necessario per la coltivazione: mietitrici, frantoi, saldatori, rulli, vasche di fermentazione, tubi e valvole. I nomadi si nutrivano delle erbacce raccolte ai bordi delle strade e di lievito manipolato geneticamente. Le donne indossavano gonne, scialli e veli, si vedevano frotte di bambini, i loro corpi sottili e scattanti erano coperti da abiti patchwork cuciti a mano e perline multicolori.

Oscar era ipnotizzato dallo spettacolo. Non si trattava di emarginati morti di fame del Nord-Est, gente che tirava avanti con cibo economico e l’aiuto dell’assistenza pubblica. Quelle erano persone che si erano radunate in un’orda e avevano deciso di uscire ‘fuori’. Erano stanchi di un sistema che non offriva loro niente e così ne avevano inventato uno a loro misura.

La krew fece pulizia nel posto in cui si era svolto il picnic. Fontenot si rimise al lavoro, cercando una strada per tornare al Collaboratorio che consentisse loro di evitare l’orda in movimento. Fontenot li avrebbe scortati fin lì, rimorchiando il forno cajun ammaccato con il suo fuoristrada elettrico. Nel caso fossero stati bloccati da un’orda di Regolatori, sarebbero stati abbastanza al sicuro, chiusi nel guscio metallico del loro pullman. Anche se la situazione era piuttosto improbabile, si sarebbero mescolati all’orda.

All’improvviso il telefono di Oscar squillò. «Oh, no, Oscar» ironizzò Rebecca. «Di nuovo quel tuo telefono.»

«Stavo aspettando questa chiamata» replicò Oscar. «Scusatemi.» Andò sul retro del pullman, mentre gli altri continuavano a fare i bagagli.

Era la sua fidanzata, Clare, di nuovo a Boston. «Come stai, Oscar?»

«Bene. Tutto sommato, le cose quaggiù stanno andando benone. La situazione è molto interessante. Come va la vita lì, alla fattoria? Mi manchi.»

«La tua casa è a posto» rispose Clara. Troppo in fretta.

Nella calma di Oscar si aprì una sottilissima crepa. Non ti agitare, pensò. Non saltare subito alle conclusioni. Non è una come le altre, è Clare. Si tratta di Clare, ce la puoi fare.

Oscar desiderò affrontare direttamente il problema. No, sarebbe molto stupido. Giraci intorno. Lascia che sia lei ad aprirsi per prima. Cerca di essere brillante, usa tutto il tuo fascino. Conversa piacevolmente. Trova un argomento neutro. Ma, in quel momento, non sarebbe riuscito a trovarne uno neppure se fosse stata in gioco la sua vita.

«Abbiamo fatto un picnic» disse infine.

«Sembra bello. Mi sarebbe piaciuto partecipare.»

«Anche a me avrebbe fatto piacere» ribatté Oscar, poi ebbe un’ispirazione improvvisa. «Che ne dici? Puoi venire quaggiù? Abbiamo dei progetti, sono certo che ti interesserebbero.»

«Non posso venire in Texas adesso.»

«Hai sentito della situazione della base aerea in Louisiana, vero? Il senatore sta facendo lo sciopero della fame. Qui ho delle ottime fonti. È una storia piena di sostanza, potresti prendere un aereo e raggiungermi, potresti occuparti del punto di vista dei locali.»

«Penso che il tuo amico Sosik abbia già imbastito tutta la storia» rispose Clare. «Io non mi occupo più della situazione politica di Boston.»

«Cosa?» Oscar era stordito. «Perché no?»

«La rete mi ha assegnato un altro incarico. Vogliono che vada in Olanda.»

«In Olanda? E tu cosa hai risposto?»

«Oscar, io sono una giornalista politica. Come potrei non andare a L’Aia? È la guerra fredda, è la più grande occasione della mia carriera.»

«D’accordo, ma quanto tempo durerà il tuo incarico oltreoceano?»

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