«Oscar, il tuo volto sta diventando paonazzo.» Greta allungò un braccio.
Lui allontanò di scatto il polso. «Smettila di tentare di sentirmi il polso. Sai che odio quando lo fai. Ascoltami con attenzione, sto facendo in modo che una certa persona mi ami davvero. Sto facendo tutto questo per te, Greta. Sono assolutamente serio, possiamo farlo domani mattina. Una lunga vacanza insieme in Maine, in qualche romantica capanna. Dirò a Lana di affittarne una, lei sa come fare.»
Greta sbarrò gli occhi. «Cosa? Domani? Lana? Noi due nella natura incontaminata? Ma non possiamo abbandonare la piccola ragazza del Kama Sutra, Clare Lana Ramachandran!»
Oscar la fissò. «Cosa hai detto?»
«Mi dispiace. Non volevo dire questo di Lana. Lei non può farci nulla se ti ama. Ma non mi dispiace di quello che ho detto su Clare. Hai bevuto qualcosa con lei! Me lo ha detto Kevin.»
Oscar era sbalordito. «Ma come siamo arrivati a questo argomento?»
Il viso di Greta divenne rosso di rabbia. «Io ci penso sempre anche se non lo dico mai ad alta voce! Clare, Lana, la moglie del senatore, Moira, tutte quelle donne affascinati con le unghie smaltate che vogliono metterti addosso i loro artigli…»
«Greta, smettila. Fidati di me! Ti sto chiedendo di sposarmi. Ma senti, Moira! Mettitelo in testa: ciò che ti offro è vero, solido, permanente. Dimmelo una volta per tutte: mi sposerai?»
«Cosa? Moira è una della tua krew, vero? È venuta a chiederti scusa.»
«Ma Moira lavora per Huey! Quand’è che l’hai vista?»
«Moira è venuta nel mio ufficio. Mi ha portato un nuovo filtro dell’aria. È stata molto carina.»
Oscar fissò con orrore il filtro fissato al gomito. Adesso si era abituato. Erano dappertutto, erano così innocui. Stavano ripulendo il miasma lasciato dal gas biologico usato come cavallo di Troia da Huey. «Oh, Greta. Ma come hai potuto accettare un regalo da quella donna?»
«Ha detto che si trattava di un tuo regalo. Vedi, odora di rose.» Diede una pacca sulla scatoletta, poi sollevò lo sguardo con un’espressione dolorosa e stupita, mentre una terribile consapevolezza iniziava a sorgere nella sua mente. «Oh, tesoro, pensavo che lo sapessi. Pensavo che tu sapessi tutto.»
Il Collaboratorio era stato progettato per affrontare la contaminazione biologica. Fu necessario isolare l’intero edificio dell’amministrazione. Il gas emesso dal falso filtro dell’aria era stato progettato in maniera particolarmente ingegnosa: particelle grandi pochi micron e simili al polline. Le particelle risalivano lungo il tratto nasale come una presa indolore di cocaina, poi il loro contenuto filtrava oltre la barriera emato-encefalica del cervello e operava effetti misteriosi e ai limiti della stregoneria.
Oscar e Greta, dopo avere stancamente indossato delle tute di decontaminazione, furono trasportati, con i volti arrossati e l’andatura barcollante, nella clinica della Zona Calda. Lì vennero lavati e sottoposti a un esame minuzioso. La buona notizie fu immediata: non stavano morendo. La cattiva notizia ci mise un po’ più di tempo ad arrivare. La loro pressione sanguigna era alta, i volti erano congestionati, la loro andatura e la loro postura avevano risentito dell’avvelenamento, soffrivano di strane turbe del linguaggio. Gli esami eseguiti con la tomografia a emissione di positroni mostrarono due macchie rosse altamente anormali di elaborazione cognitiva, due zone calde itineranti quando il cervello avrebbe dovuto averne soltanto una. Il ritmo primario delle onde cerebrali era accompagnato da un chiaro ritmo secondario.
Oscar era stato avvelenato, gentilmente, lentamente, proprio mentre pronunciava il discorso più importante della sua vita. Quella terribile consapevolezza lo fece piombare in una rabbia quasi animale. La reazione rivelò un’altra qualità degna di nota del suo cervello avvelenato: poteva pensare a due cose contemporaneamente, ma questo lo affaticava a tal punto da fargli perdere il controllo sui propri impulsi.
Un’infermiera si offrì di somministrargli un sedativo. Oscar rispose in tono gentile di sentirsi un po’ iperattivo e accentuò quell’impressione urlando un diluvio di insulti personali e prendendo a calci una parete. Questo comportamento provocò l’immediata somministrazione del sedativo, con risultante doppia incoscienza.
A mezzogiorno, Oscar era di nuovo vigile, si sentiva simultaneamente stordito e pronto a scattare. Andò a trovare Greta, ospitata in una cella di decontaminazione separata. Greta aveva trascorso una nottata molto tranquilla. Adesso era seduta sul letto d’ospedale, le gambe piegate, le braccia in grembo, lo sguardo fisso nel vuoto. Non gli parlò, non lo vide neppure. Era completamente sveglia, ma profondamente immersa dentro di sé, in maniera assolutamente indescrivibile.
Un’infermiera tenne d’occhio Oscar mentre fissava Greta provando una sensazione dolceamara. Amaro, dolce; amaro/dolce: dolceamaro. Greta era in estasi, in perfetto silenzio, voracemente immersa in sé; Greta non era mai sembrata così simile a se stessa. Toccarla sarebbe stata un vero sacrilegio.
Accompagnato dall’infermiera, Oscar tornò nella sua cella. Si chiese quali effetti l’avvelenamento avesse avuto su Greta. Sembrava colpire ogni persona in maniera diversa. Forse c’erano tanti modi di pensare doppio quanti ce n’erano di pensare singolo.
Quando chiudeva gli occhi, Oscar riusciva a somatizzare quella sensazione. Era come se il suo cranio sovraffollato ospitasse un paio di vesciche, liquide e cedevoli, come se avesse una coppia yin-yang incorporata. Uno dei fuochi dell’attenzione era ‘in primo piano’, l’altro sullo ‘sfondo’, e quando quello in primo piano affiorava nella coscienza diretta, l’altro scivolava dietro di lui. E al loro interno avevano spazi pulsanti. Spazi che contenevano il nucleo nascente di altri flussi di coscienza. Come icone viventi, in attesa di un tocco mentale per essere visualizzate nella coscienza.
Kevin entrò nella cella. Oscar lo sentì zoppicare, fu pienamente cosciente della sua presenza; ci volle uno strano momento per comprendere che avrebbe dovuto fare la fatica di aprire gli occhi e di guardare.
«Grazie a Dio sei qui!» sbottò.
«Ecco quello che mi piace di te» replicò Kevin, ammiccando. «Il tuo entusiasmo.»
Con uno sforzo, Oscar non rispose nulla. Se si impegnava a fondo, riusciva a controllare l’impulso di gridare ad alta voce i propri sentimenti. Tutto quello che doveva fare era premere la lingua contro il palato, stringere i denti e respirare ritmicamente attraverso il naso.
«Non hai un’aria tanto malconcia» commentò Kevin in tono meditabondo. «Sei un po’ rosso e hai il collo rigido come quello di una giraffa sotto anfetamina, ma non sembri pazzo.»
«Io non sono pazzo. Sono soltanto diverso.»
«Uh-uhu.» Kevin prese una sedia di metallo disinfettata e concesse un po’ di sollievo ai suoi piedi doloranti. «Ecco, ehm, scusami per quel problema di sicurezza.»
«Sono cose che capitano.»
«Sì. Vedi, il vero problema erano tutte le persone di Boston che facevano parte della krew di Bambakias. La moglie del senatore poi… Si è data un mucchio da fare per convincerti che avrei dovuto chiudere un occhio sulla faccenda della portavoce. Sai, il fatto che tu e quella pupa eravate stati insieme e tutto il resto. Grandioso, ho pensato, meglio seppellire tutto; ma poi, entra questa Moira Matarazzo che era l’ ex portavoce del senatore… Vedi, a un certo punto ho perso il filo. Ecco tutto. Non sono stato capace di gestire la faccenda. Tutti questi tizi di Boston che facevano parte della krew di Bambakias, e gli ex membri e i membri degli ex membri; senti, nessuno riuscirebbe a stare dietro a queste stronzate. Al diavolo, non so neppure se io faccio ancora parte della tua krew!»
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