Bruce Sterling - Caos U.S.A.

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Caos U.S.A.: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel 2044 gli Stati Uniti stanno andando in pezzi. I fondi federali per le basi militari sono ridotti al punto che l’aeronautica americana deruba gli automobilisti sulle autostrade. L’ingegneria genetica si evolve senza alcuna regola, e vaste fasce di popolazione sono diventate tribù nomadi che vagano su mezzi di trasporto a basso costo, supportate da una tecnologia in totale decadenza. I cinesi hanno superato gli USA nel controllo delle reti globali e hanno messo on line i software americani dichiarandoli liberi e a disposizione di tutti. L’effetto serra ha scaldato il clima, i poli si stanno sciogliendo e la guerra fredda è ricominciata contro un’Olanda minacciata dalle acque. Su questo sfondo si muove Oscar Valparaiso, un improbabile eroe con un grosso scheletro nell’armadio. Oscar è un professionista della politica, e con l’aiuto della neuroIoga Greta Penninger cercherà di ostacolare i piani di un senatore ossessionato dalla manipolazione genetica. Assieme i due vogliono scatenare la nuova Rivoluzione, ricordando all’America le neglette utopie di libertà e uguaglianza.

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Il Senato statale, tutto nelle mani di Huey, nominò subito un nuovo governatore. Si trattava di una bella e giovane donna di colore di New Orleans, una ex reginetta di bellezza, una donna tanto avvenente (almeno per essere un funzionario dell’esecutivo) che le telecamere dei media globali non riuscivano a staccarle gli obiettivi di dosso.

Il primo atto del governatore come capo dell’esecutivo fu di perdonare tutti i membri del precedente governo dello Stato, incluso, soprattutto, Green Huey. Il secondo atto fu di formalizzare le relazioni — ‘formali e informali’ — dello stato della Louisiana con i Regolatori. Da quel momento in poi, i Regolatori sarebbero divenuti i fedeli membri locali di una CDIA estesa a livello nazionale, modellata direttamente sull’agenzia federale che il saggio presidente, nella sua infinita bontà, aveva imposto alla repubblica americana. Qualcuno fece notare che alcuni ospiti haitiani dello Stato della Louisiana erano ancora prigionieri dei federali e il nuovo governatore, poiché era di origine haitiana, chiese che venisse loro concessa la grazia.

Una intraprendente krew mediatica — ovviamente dopo avere ricevuto una soffiata — riuscì a localizzare e intervistare alcuni degli haitiani che avevano passato il tempo nel loro kraal medico federale. Gli haitiani, dopo essere stati strappati alle loro abitazioni e sottoposti a una seria infinita di esami clinici, naturalmente espressero un forte desiderio di tornare al loro villaggio nelle paludi. Però, in fin dei conti, si trattava soltanto di haitiani, dunque nessuno prestò molta attenzione ai loro desideri. Rimasero nella loro prigione da immigrati illegali, mentre il presidente attendeva che l’ex governatore facesse la mossa successiva.

* * *

Sulla questione del Collaboratorio nazionale di Buna e sui suoi frenetici riformatori, il presidente non disse e non fece praticamente nulla. Evidentemente aveva pensieri più importanti per la testa e quel presidente era nella posizione di fare in modo che i suoi pensieri fossero sempre alla ribalta.

Con la fine improvvisa e sorprendente della guerra, il folle moto di immigrazione verso Buna si ridusse fino a trasformarsi in un rivolo. Poi, cominciò il moto in direzione opposta. Le persone avevano visto abbastanza. I curiosi, i falsi nomadi e i modaioli più superficiali iniziarono a rendersi conto che una società del dopo effetto serra che fosse affascinante, non commerciale e animata da dissidenti intellettuali non faceva per tutti. Vivere lì significava svolgere un mucchio di lavoro. Il semplice fatto che non utilizzasse denaro non significava che non si dovesse lavorare: era vero esattamente il contrario. Quell’unione tra la scienza e una defezione economica di massa avrebbe richiesto una mole enorme di lavoro e un costante sforzo altruistico; molto di esso sarebbe stato necessariamente sprecato in esperimenti che sarebbero falliti, in strade che sarebbe stato meglio non imboccare e su nozioni affascinanti dal punto di vista intellettuale ma che, ben presto, si trasformavano in assurdi vicoli ciechi.

A Buna, oltre i continui festeggiamenti, doveva svolgersi una ricerca scientifica molto rigorosa: la ‘scienza’ come nuova ossessiva potenza, perché adesso era divenuta l’arte per l’arte, la scienza per la scienza. Era un’impresa destinata a una minuscola frazione demografica, totalmente divorata dalla curiosità intellettuale. Adesso tutta l’aria fritta di fervore intellettuale sarebbe uscita dalla cupola e la fredda aria della realtà l’avrebbe resa umida e spiacevole al tocco.

Lavorare nel comitato per la normalità non era stimolante quanto lo era stato in quelli precedenti. Il lavoro era sempre stato stancante, ma i membri non si erano mai annoiati.

Adesso Greta e Oscar stavano scoprendo di avere dei brevi momenti in cui potevano pensare a se stessi. Momenti in cui potevano parlare, e non per l’opinione pubblica. Momenti in cui gli affari di governo conducevano altrove gli altri membri del comitato. Momenti in cui rimanevano da soli.

Oscar si guardò intorno nella sala vuota. Sembrava la fotografia della sua anima: troppo illuminata, vuota, piena di rifiuti.

«È finita, Greta. La campagna è finita. Abbiamo vinto. Siamo al potere. Adesso dobbiamo consolidarci, dobbiamo imparare a governare. Non siamo più ribelli, perché non possiamo guidare marce o proclamare scioperi contro noi stessi. Non possiamo neppure ribellarci contro il presidente: ci sta benevolmente ignorando, applicando il più classico dei comportamenti passivi-aggressivi. Ci sta dando corda. Vuole vedere se ce la faremo, oppure se ci impiccheremo da soli. Adesso dobbiamo fare i conti con la realtà. Dobbiamo stabilizzare la situazione.»

«Stavo proprio aspettando che dicessi questo. Che finalmente era finita, che non ero più Giovanna d’Arco.»

«Io ti ho dipinto come Giovanna d’Arco perché è di questo tipo di immagine che un candidato ha bisogno quando conduce una crociata eroica. Tu non sei certo Giovanna d’Arco. Lei era un genio militare di quindici anni che sentiva voci nella testa. Tu non senti alcuna voce. I rumori che hai sentito durante tutto questo tempo non erano le voci degli angeli, ma una brillante campagna di pubbliche relazioni. Giovanna d’Arco fu condannata al rogo. Fu arrostita. Io non ho messo su questa faccenda affinché tu finissi bruciata. Io non voglio che tu finisca bruciata, Greta. Non ne vale la pena.»

«E allora cosa vuoi da me, Oscar? Tu vuoi una Giovanna d’Arco che, in qualche modo, se la cava, sopravvive. Una contadina schizoide che costruisce un grande castello e poi cosa diventa? Una duchessa francese? Una contadina in sontuose vesti di broccato?»

«E con un principe. Okay?»

«Ma perché il principe dovrebbe davvero avere bisogno di lei? Voglio dire, nel lungo periodo.»

«Be’, il candidato più ovvio sarebbe stato Gilles de Rais — ma è chiaro che quel tizio perse di vista il quadro generale. Non importa; le analogie storiche sono valide fino a un certo punto. Adesso sto parlando di te e di me. Siamo arrivati alla fine della strada. Adesso dobbiamo prendere una decisione. Dobbiamo piantare le tende.»

Greta chiuse gli occhi, fece alcuni respiri profondi. La sala era perfettamente silenziosa, tranne il lieve sibilo dei filtri dell’aria. Lo stress aveva fatto peggiorare le sue allergie; adesso si portava dietro i filtri dell’aria come se fossero borsette. «E così, alla fin fine, tutto questo riguarda me e te.»

«Sì, è così.»

«No. Lascia che ti dica qualcosa su te e me. Quando ti ho visto per la prima volta, ero assolutamente scettica. Non volevo alcun problema. Ma tu continuavi a provocarmi. E io pensavo: ma cosa sta facendo? È un funzionario politico. Io non ho nulla che gli serve. Io sto gettando via la mia vita in questo consiglio, tentando di ottenere un vero e proprio equipaggiamento. E non riuscivo a fare neppure questo. Ma poi mi è venuta in mente questa ipotesi assurda: a questo tizio io piaccio e basta. Pensa che io sia sexy. Vuole venire a letto con me. Era davvero così semplice.» Respirò a fondo. «E poi ho pensato: Greta, questa è davvero una pessima idea. Ma qual è la cosa peggiore che possa capitarmi? Mi troveranno a letto con questo tizio, mi faranno una bella ramanzina e mi sbatteranno fuori dal consiglio. Una prospettiva meravigliosa! Allora potrò tornare al mio laboratorio! E poi mi sono detta: guardalo! È giovane, è attraente, scrive dei bigliettini molto divertenti, manda degli enormi mazzi di fiori. E in lui c’è qualcosa di diverso.»

Greta lo guardò. Oscar non si stava perdendo neppure una parola. Aveva l’impressione di avere atteso per tutta la vita quel discorso.

«Io mi sono innamorata di te, Oscar. So che è vero perché tu sei l’unico uomo di cui sia mai stata gelosa; in precedenza non mi ero mai concessa questo lusso emotivo. Io ti amo e, con mia grande meraviglia, scopro che sei il mio esemplare preferito. Io ti amo davvero per quello che sei, dentro e fuori. E abbiamo avuto una bella storia, in cui mi sono buttata senza alcun timore, perché, alla fin fine, la tua qualità migliore è che sei temporaneo. Non sei il mio destino. Non sei il mio principe. Nella mia vita sei soltanto un visitatore, un commesso viaggiatore.»

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